Nuova caduta di Giuseppe Sala nella Via Crucis verso Palazzo Marino. Il candidato sindaco del Pd a Milano, secondo il settimanale Panorama, è ineleggibile: perché è di fatto ancora commissario di governo per Expo. Ha dato le dimissioni dal consiglio d’amministrazione (mandandole al Comune di Milano che lo aveva indicato), ma non si è dimesso da commissario governativo, sostiene il giornale.
Rispondono fonti di Palazzo Chigi: le dimissioni sono state presentate alla presidenza del Consiglio il 15 gennaio 2016 e protocollate il 18 gennaio. Dunque tutto a posto. Ma c’è un documento che contraddice l’abbandono da parte di Sala del ruolo di commissario: è il rendiconto dell’esercizio Expo 2015, firmato da Sala proprio come commissario di governo, il 3 febbraio 2016. Due settimane dopo la data indicata da Palazzo Chigi come quella delle dimissioni. Dunque delle due l’una: o le dimissioni non ci sono, e allora il governo mente per salvare la candidatura di Sala a Milano, oppure Sala, non più commissario, ha compiuto un falso, firmando un documento come commissario quando non lo era più.
Altri due candidati sindaci a Milano, il radicale Marco Cappato e il Cinquestelle Gianluca Corrado, annunciano che presenteranno un ricorso contro la candidatura di Sala, come pure Manfredi Palmeri, della lista di Stefano Parisi. Anche perché, sostengono, non bastano le dimissioni: per conferire pienezza legale all’uscita dal ruolo di commissario di governo, è necessario un “atto formale di pari efficacia costituzionale”. Poiché Sala è stato nominato da un decreto del presidente del Consiglio, ci dev’essere un altro decreto, che notifica l’accoglimento delle dimissioni e nomina un sostituto, oppure sopprime la carica.
Di tale decreto governativo non c’è traccia. E non è cosa che si possa fare nei prossimi giorni, non è un passaggio sanabile da qui in avanti: il decreto deve essere firmato dal presidente del Consiglio entro l’8 maggio 2016, data di presentazione delle candidature. Altrimenti, in base alla legge Severino, scatta l’incandidabilità.
C’è un ulteriore atto che complica la vicenda: Sala il 28 ottobre 2015 è stato nominato nel consiglio d’amministrazione di Cassa depositi e prestiti (Cdp). Ha dovuto per questo firmare una dichiarazione in cui ha garantito di non avere cause d’incompatibilità con la nuova carica. Tra le cause d’incompatibilità, nella stessa dichiarazione è espressamente indicato l’incarico di commissario governativo. Ma, a ottobre, Sala commissario lo era ancora: ha dichiarato il falso?
Ecco dunque un sublime groviglio in cui le incompatibilità s’intrecciano e s’intersecano tre ruoli: quelli di commissario Expo, consigliere Cdp, candidato sindaco. Dai comunicati e controcomunicati di ieri, Sala ne esce come un commissario intermittente: il 28 ottobre dichiara di non esserlo, eppure lo è, dice il governo, almeno fino al 15 gennaio; il 15 gennaio si dimette, secondo Palazzo Chigi, e non lo è più; il 3 febbraio lo è ancora.
Una nota distribuita dallo staff di Sala complica ulteriormente – se possibile – la situazione. Dice testualmente: le dimissioni “inviate al consiglio d’amministrazione di Expo lo hanno fatto automaticamente decadere anche da commissario”. Sembrerebbe affermare che non sono dunque necessarie anche le dimissioni da commissario, poiché bastano quelle da membro del cda, annunciate il 18 dicembre 2015 e perfezionate due mesi dopo. È, come si vede, una linea difensiva diversa da quella di Palazzo Chigi.
“Vicenda surreale”, replica Sala. Che sottolinea “non il merito, peraltro ridicolo, dei fatti, ma l’atteggiamento di una certa stampa militante a cui anche Panorama finisce per accodarsi. Con il vicedirettore Maurizio Tortorella candidato insieme a Stefano Parisi, il fu glorioso settimanale si presta a una meschina provocazione”.
Risponde Tortorella: “Queste sgradevolezze si qualificano da sole e danno piena evidenza del nervosismo e della confusione che agitano il candidato sindaco. La stessa confusione che forse giustifica le tante firme che Sala ha apposto con evidente inconsapevolezza di quanto sottoscriveva”.
Il riferimento è anche alle precedenti polemiche sulle “dimenticanze” di Sala, che ha firmato una dichiarazione ai sensi della legge sulla trasparenza in cui non ha dichiarato di possedere una casa in Svizzera e quote di una società in Romania, mentre ha indicato la sua villa in Liguria come “terreno”.
Oggi il radicale Marco Cappato spiegherà alla stampa le sue prossime mosse su Sala incandidabile, mentre il Movimento 5 stelle di Milano ha già deciso che depositerà entro venerdi 13 aprile un ricorso urgente al Tar, il Tribunale amministrativo regionale della Lombardia, in cui porrà due questioni: l’incandidabilità di Sala a sindaco in quanto ancora commissario di governo; e l’incompatibilità tra incarico Expo e incarico nella Cassa depositi e prestiti. Il Tar dovrà pronunciarsi entro tre giorni lavorativi, quindi prevedibilmente entro il 18 maggio. La strada verso Palazzo Marino sembra irta di ostacoli.
(Il Fatto quotidiano, 12 maggio 2016)
Incandidabile? Le incompatibilità
e i conflitti d’interessi di Giuseppe Sala
Tanto rumore per nulla, dice Giuseppe Sala. Il problema della ineleggibilità a sindaco, in quanto ancora commissario Expo, non esiste: “Ho mandato le dimissioni il 15 gennaio”. Eppure ha firmato il Rendiconto 2015 il 3 febbraio, come ha documentato ieri dal Fatto quotidiano. “Se vogliamo essere precisi”, risponde il candidato del centrosinistra a Milano, “ho firmato anche il bilancio pochi giorni fa. E nessuno ha avuto nulla da dire: sono atti formali che si fanno. Ormai siamo alle accuse surreali. Le mie dimissioni sono state mandate regolarmente e protocollate da Palazzo Chigi”.
In effetti, Sala ha firmato anche la “Situazione dei conti Expo al 31 dicembre 2015 e 18 febbraio 2016”. Un documento (che certifica una perdita d’esercizio a fine 2015 di quasi 24 milioni) datato 27 aprile 2016: più di tre mesi dopo le dimissioni mandate a Palazzo Chigi e protocollate, secondo la presidenza del Consiglio, il 18 gennaio. E allora: a che titolo Sala continua a firmare atti Expo?
Se lo chiedono anche i Radicali del candidato sindaco Marco Cappato e i Cinquestelle di Gianluca Corrado. “La nota di Palazzo Chigi sulle dimissioni non precisa nulla e la questione rimane aperta”, ribadisce Cappato, che ha presentato un esposto alla Procura della Repubblica, all’Autorità nazionale anticorruzione di Raffaele Cantone e all’Antitrust. “Sala continua a firmare atti Expo e d’altra parte non esiste un decreto del governo che sancisca l’accettazione delle dimissioni”.
Il candidato sindaco Cinquestelle Corrado, invece, presenterà oggi un ricorso urgente al Tar, il Tribunale amministrativo regionale della Lombardia, che si dovrà pronunciare entro mercoledì 18 maggio. L’esposto sosterrà l’incandidabilità di Sala perché non esiste un decreto del governo che recepisca le sue dimissioni da commissario Expo; e perché, secondo la Legge Severino, non si possono candidare sindaco alcune figure, tra cui i consiglieri di Cassa depositi e prestiti.
“Essere in Cdp è un conflitto d’interessi insormontabile”, sostiene anche Cappato. “Sala ha nel suo programma di sindaco la vendita di parte di Sea (aeroporti milanesi). Ma socio di minoranza di Sea è F2i, controllata da Cassa depositi e prestiti. E ancora: Cdp sta rinegoziando il debito della Città metropolitana, la ex Provincia di Milano di cui è sindaco il sindaco di Milano. Una parte del debito di Città metropolitana è nei confronti di Expo spa”. È evidente un inestricabile conflitto d’interessi fra i tre ruoli che Sala vuol giocare in partita: sindaco di Milano, commissario Expo, consigliere Cdp.
“La precisazione di Palazzo Chigi non precisa nulla. Perché Sala ha continuato a firmare atti anche dopo la sua supposta data di dimissioni. Sala deve comunque dimettersi subito da Cassa depositi e prestiti”, insiste Cappato, che se la prende anche con il candidato sindaco del centrodestra Stefano Parisi: “Fa lo splendido dicendo che la gente non è interessata a questi problemi. È un’affermazione grave e superficiale: il rispetto delle regole deve interessare tutti”.
Anche il candidato della lista civica e di sinistra Milano in Comune, Basilio Rizzo, chiede un passo indietro di Sala: “Se non saranno spiegate le sue incompatibilità, il dottor Sala non potrà partecipare alle elezioni perché le regole devono essere rispettate sempre e da tutti. Non ci possono essere intoccabili”. Sala si difende facendo la vittima: “È l’ennesima puntata del fango che mi viene gettato addosso. Ne arriverà ancora, perché sono dei professionisti dell’infamia”.
(Il Fatto quotidiano, 13 maggio 2016)
“Le firme sugli atti Expo lo fanno restare in carica.
Dunque è incandidabile”. Parola di giurista
Un gomitolo – Carlo Emilia Gadda direbbe gnommero – avvolge Giuseppe Sala. Gioca tre ruoli in partita: candidato sindaco, commissario Expo, consigliere di Cassa depositi e prestiti. Difficile districare i tre fili in cui si è aggrovigliato. “Ho dato le dimissioni da commissario Expo il 10 gennaio”, sostiene l’aspirante primo cittadino del centrosinistra a Milano. “Manca però un atto d’accettazione delle dimissioni da parte del governo”, rispondono Marco Cappato e Gianluca Corrado, candidati sindaco dei Radicali e dei Cinquestelle, che fanno partire esposti e ricorsi.
E poi ci sono atti Expo firmati da Sala ben dopo la data delle dimissioni: il 3 febbraio (“Rendiconto 2015”) e addirittura il 27 aprile (“Situazione dei conti Expo al 31 dicembre 2015 e 18 febbraio 2016”). Questi revocano le dimissioni e rendono Sala incandidabile. A sostenerlo è il professor Francesco Saverio Marini, ordinario di Diritto pubblico all’università di Roma Tor Vergata, che quotidianamente ha a che fare con i gomitoli della legge e della pubblica amministrazione.
“L’ineleggibilità è regolata dall’articolo 60 del Tuel, il Testo Unico Enti Locali”, spiega Marini. “Non sono eleggibili a sindaco e altre cariche, nel territorio nel quale esercitano le loro funzioni, i commissari di governo e altri funzionari dello Stato”. Le dimissioni però annullano l’incandidabilità e Sala le ha date il 10 gennaio 2016 con effetto dal 1 febbraio. Sono state protocollate da Palazzo Chigi il 18 gennaio, ha fatto sapere la presidenza del Consiglio. “Sì, il comma 3 chiarisce che le cause di ineleggibilità non hanno effetto se l’interessato cessa dalle funzioni per dimissioni o altro”, prosegue il professor Marini.
È però necessario un atto che accolga le dimissioni. “Sì, il comma 5 aggiunge che la pubblica amministrazione è tenuta a promulgarlo entro cinque giorni dalla richiesta”. In questo caso la presidenza del Consiglio non ha promulgato nulla. “Ma ove l’amministrazione non provveda”, prosegue il comma 5, “la domanda di dimissioni ha comunque effetto dal quinto giorno successivo alla presentazione”. Fine della polemica? No, argomenta Marini: “Deve esserci, dice la legge, anche ‘l’effettiva cessazione delle funzioni’. E il comma 6 aggiunge che la cessazione delle funzioni esige la ‘effettiva astensione da ogni atto inerente all’ufficio rivestito’. Se ci sono atti d’ufficio compiuti dopo le dimissioni, questi le interrompono e dunque rendono incandidabile il commissario”.
Sala dunque è “tornato” commissario di governo quando ha firmato il “Rendiconto” del 3 febbraio e la “Situazione” del 27 aprile. E ciò lo esclude, secondo la legge, dalla competizione elettorale. È l’aspetto giuridico di una vicenda politicamente perfino ancor più complessa. Lo gnommero sarà forse roba da azzeccagarbugli, ma le regole sono regole e devono valere per tutti. Certo la politica è stata incauta a lasciarsi avvolgere dai fili delle incompatibilità. I vertici del Pd, con la candidatura Sala, si sono messi in una situazione che ogni giorno procura nuove preoccupazioni e fa perdere qualche voto. Qualcuno comincia a pentirsi della scelta fatta, dovendo impegnarsi in una campagna elettorale tutta in difesa, giocata non per convincere gli elettori di quanto è bravo Sala, ma di quanto è pericoloso il centrodestra (il “fascioleghismo”).
Ormai però, a questo punto, è praticamente impossibile fare marcia indietro. Avevano ipotizzato una marcia trionfale di Mr. Expo verso Palazzo Marino, sospinto dal vento gagliardo dell’esposizione universale e, fino a qualche settimana fa, senza concorrenti di un centrodestra in confusione. Invece Sala è stato avvolto dai fili delle sue leggerezze, delle sue incompatibilità, delle sue “dimenticanze” (dalla casa in Svizzera agli affari in Romania). “È fango che mi gettano addosso gli avversari politici”, reagisce. Ma, a guardare i fatti, molto ha fatto da sé.
Ora, con quell’atto del 27 aprile diventato un boomerang, Sala ha firmato finalmente anche i conti di Expo. Buoni, dicono i sostenitori. Ma evidenziano che nell’operazione Expo sono stati impiegati 2,2 miliardi di fondi pubblici e che i ricavi (biglietti, sponsorizzazioni, royalties) sono solo 700 milioni, in parte non incassati. Non un grande risultato, per chi vorrebbe far pesare la propria immagine di manager. E poi: perché il bilancio l’ha firmato Sala, che il 27 aprile non era più né amministratore delegato né commissario? perché non l’hanno sottoscritto i nuovi amministratori che lo hanno sostituito? “Sono atti formali che si fanno”, risponde Sala. Ma si fanno se contemporaneamente non si è candidati sindaco, altrimenti si viene risucchiati nell’incandidabilità.
(Il Fatto quotidiano, 14 maggio 2016)