“La Cina è in crisi”, “la Cina rallenta”, “L’economia cinese è al collasso”, “la Cina è sommersa dai debiti”. Questi sono soltanto alcuni dei titoli che abbiamo letto sulla stampa italiana e internazionale nelle ultime settimane. E’ doveroso dunque capire come stanno veramente le cose. Con quattro testi proveremo ad inquadrare in modo oggettivo lo stato di salute effettiva dell’economia cinese.
Una premessa è dovuta: sono circa 30 anni che i media occidentali lanciano allarmi, rivelatisi sempre infondati, sull’imminente implosione della Cina. Inoltre, considerando la centralità cinese nell’economia globale, alla cui crescita contribuisce dal 2006 al 2021 per circa il 30% l’anno, non sarebbe opportuno enfatizzare più del dovuto i problemi e le contraddizione di una determinata congiuntura mondiale. Ancor più irrazionale è poi imbattersi in articoli che non riescono a dissimulare una certa soddisfazione nel paventare un ipotetico collasso dell’economia cinese: cosa che sarebbe una iattura per l’intero mondo.
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Cominciamo dunque ad analizzare i principali indicatori economici sullo stato di salute dell’economia cinese.
Si è molto parlato di import-export e di disoccupazione giovanile, numeri che fanno effettivamente riflettere e con cui Pechino dovrà fare i conti nei prossimi mesi. Eppure, la situazione economia cinese è complessivamente stabile, con un PIL cresciuto su base annua del 5,5% nella prima metà del 2023. È pur vero che l’incremento trimestre-su-trimestre ha evidenziato una flessione tra aprile e giugno (+0,8), ma parliamo pur sempre di una crescita molto superiore a quelle registrate su base annua, nello stesso periodo, in UE (+0,3%) e negli Stati Uniti (+2%). Se nel caso della Cina si arriva addirittura a parlare di collasso, nel secondo caso, Europa, si parla di “attività economica contenuta”. Già questa discrepanza di giudizio è indicativa di quanto si debba essere cauti quando si leggono notizie sulla Repubblica popolare.
A dirci che l’economia del Dragone è in consolidamento sono peraltro, più nello specifico, gli indici PMI. Quello manifatturiero è in risalita da tre mesi consecutivi e ad agosto era già tornato in prossimità dei 50 punti, soglia determinante per stabilire se il comparto è in espansione o in contrazione. Ciò significa che la fiducia delle imprese di settore sta aumentando in modo strutturato e coerente con l’andamento dell’economia reale. Dei 21 settori analizzati, ne risultavano in fase espansiva 10 a luglio e 12 ad agosto. Inoltre, gli investimenti fissi, sempre su base annua, sono cresciuti nella prima metà dell’anno del 3,8%, e le esportazioni di automobile hanno fatto registrare un +75%, solo per fare un altro esempio.
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Per quanto riguarda le attività non manifatturiere, che comprendono i servizi e le costruzioni, il PMI è rimasto sempre nettamente al di sopra dei 50 punti sin dall’inizio della nuova fase “Covid-free” (gennaio 2023). Calato leggermente tra luglio e agosto, lo scorso mese il valore ha comunque toccato quota 51, trainato soprattutto da trasporti, ricettività e ristorazione. Bene anche le costruzioni, con un indice relativo salito nello stesso periodo da 51,2 a 53,8.
Di converso, osservando i dati dell’Eurozona, la discesa dell’indice PMI manifatturiero si è intensificata a giugno (43,4), dodicesimo mese consecutivo di contrazione, per poi toccare il fondo a luglio (42,7). Il valore di agosto segna una prima timidissima ripresa (43,5).
La crisi inflazionistica che sta colpendo il Vecchio Continente pesa anche in Cina, ormai dal 2020 primo partner commerciale dell’UE, soprattutto alla voce relativa agli ordini dall’estero: ciò nonostante, anche la bilancia commerciale cinese continua a tenere. Ad agosto le esportazioni sono cresciute rispetto a luglio (ma non su base annua) e nella prima metà dell’anno il volume commerciale complessivo è cresciuto del 2,1%.
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L’autore Fabio Massimo Parenti è professore associato di studi internazionali e Ph.D. in Geopolitica e Geoeconomia
2023-09-20