È molto difficile per noi comunicare come ci sentiamo dopo la sentenza di assoluzione di Andrea Buscemi dall’accusa di stalking nei confronti di Patrizia Pagliarone: incredule, indignate, arrabbiate, deluse… e potremmo continuare a lungo. Che quella sentenza sia stata pronunciata da una donna è poco influente, ben conosciamo quanto l’appartenenza di genere spesso sia estranea a chi riveste un ruolo, ci dispiace constatarlo, ma non ci scandalizza! Prosciolto “perché il fatto non costituisce reato”, aspetteremo le motivazioni della giudice, ma ci pare incredibile che la quantità e la tipologia delle prove, le testimonianze professionalmente qualificate, le perizie espletate anche dal tribunale non siano bastate a provare, che purtroppo i fatti accaduti sono “reati” che hanno provocato in chi li ha subiti profondi danni esistenziali. Questo processo ha una sua storia, che forse pochi conoscono, la prima denuncia è del dicembre 2009, ma il processo è iniziato solo nel novembre 2013, quattro anni sono un tempo inaccettabile per istruire un processo! Una risposta tempestiva della giustizia è fondamentale per la protezione immediata delle vittime.E’ stato difficile e doloroso assistere a tutte le fasi processuali, resistere in silenzio pur osservando l’aggressività degli interrogatori alla parte offesa, e sentire la sofferenza di Patrizia, pressata da domande ripetitive e assillanti. Se tutto questo è stato vissuto da tutte noi come un abuso personale, una violenza aggiunta a tutte quelle che aveva già subito Patrizia, un classico esempio di vittimizzazione secondaria, è indicibile lo sconcerto per la sentenza. Ci chiediamo cosa vuol dire “il fatto non costituisce reato”? Eppure la violenza di genere è definita dal diritto internazionale, ci sono leggi nel nostro paese che ben descrivono le varie tipologie (maltrattamenti, abusi, stalking…); c’è un’ampia letteratura scientifica sulle cause, le dinamiche e le conseguenze delle violenze; i centriantiviolenza, nati dal movimento delle donne, hanno elaborato e diffuso saperi, hanno insegnato che la violenza è strutturale, e che c’è bisogno dell’impegno delle istituzioni, delle forze dell’ordine, dei servizi sociali e sanitari, della scuola, per cambiare una cultura storicamente imbevuta di stereotipi e pregiudizi sulle donne. A Pisa le istituzioni hanno ascoltato e sono dieci anni che la rete locale collabora e agisce concretamente, anche per questo le donne che denunciano sono il 25 per cento, a fronte di un dato nazionale che è inferiore al 10 per cento. Ci chiediamo come una donna possa vivere una sentenza come questa o altre recenti, magari una donna che si è rivolta a Pronto Soccorso perchè è stata picchiata ed è entrata nel percorso Codice Rosa? O una delle migliaia di donne che chiedono aiuto al numero nazionale 1522 e vengono indirizzate al centro antiviolenza più vicino? Oppure una ragazza che viene tempestata da migliaia di sms offensivi, minacciata, inseguita, ma è ancora indecisa se denunciare l’ex che la perseguita? Noi che ascoltiamo le donne da più di venti anni, sappiamo che la decisione di rivolgersi alla giustizia penale è sempre sofferta e avviene quando non c’è altra possibilità per proteggere sé e spesso anche i/le propri/e figli/e. E’ facile immaginare quali dubbi e paure questa sentenza alimenterà nelle donne che subiscono violenza, e quanto lavoro in più sarà necessario per sostenerle nel percorso legale. Ma noi continuiamo a credere che il cambiamento non si fermi, che prevarrà una giustizia capace di riconoscere la violenza maschile contro le donne, in primis, come una violazione dei diritti umani, al di là delle differenti fattispecie penali. Crediamo e sosteniamo Patrizia e tutte le donne che subiscono violenza: ieri, oggi e domani.
Associazione Casa della Donna
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Casa delle donne Pisa – LETTERA APERTA