Un messaggio si ripete nei grandi media: il Governo di Cuba deve “liberalizzare” l’economia in risposta alle misure adottate dagli USA, all’ “ammorbidire” parzialmente il loro blocco all’isola.
Per spiegare le ultime misure della Casa Bianca, che consentono l’esportazione, a credito, di alcuni prodotti a Cuba (1), l’emittente pubblica tedesca Deutsche Welle contattava il suo corrispondente nelle Borsa di New York (2): ”Che effetto economico avrà questo allentamento delle sanzioni?” -chiedeva la presentatrice-. “Dipenderà in gran parte dall’azione intrapresa dal Governo cubano per liberalizzare la propria economia” -rispondeva il corrispondente-.
È un messaggio che ripete tutto il sistema mediatico. Nel quotidiano spagnolo “El Mundo” si leggeva, qualche settimana fa, che il “disgelo” tra Cuba e gli USA avanza ad un ritmo molto lento “per la decisione di l’Avana di non ‘allentare’ troppo il controllo dell’economia” (3 ).
Il canale spagnolo La Sexta ci diceva nel suo informativo (4): “Obama e Castro sembra che comincino ad essere in sintonia. Ma per molti, sia all’interno che all’esterno dell’isola ciò non basta”. Ma, che cosa è che non basta? La risposta la dava l’unico analista intervistato: il neoliberale Carlos Malamud (5), appartenente al think tank del destrorso Real Instituto Elcano (6): “Se Cuba non fa passi verso una maggiore apertura, sia del sistema economico che del sistema politico -anche se questo sarà molto più difficile- sarà impossibile che questioni come l’embargo o la Legge Helms-Burton possano essere abrogate dal Congresso USA”. Pertanto, solo se Cuba muove la “pedina”, avrà la sua ricompensa: “Con questo, Obama potrebbe fare miracoli davanti ad un Congresso ed un Senato che da gennaio avrà maggioranza repubblicana”.
E’ lo stesso ricatto di 50 anni fa: se Cuba vuole liberarsi del blocco, dovrà realizzare i cambi che esigono gli USA, i centri di analisi ed i grandi mezzi di comunicazione (7). Con una priorità ora: un’ “apertura economica” o “liberalizzazione” che porti verso l’accettazione di un sistema economico capitalista. Non importa se questo va contro la volontà del popolo cubano, come approvato nelle 163000 assemblee che, nel 2011, segnarono la tabella di marcia degli attuali cambiamenti economici dentro il socialismo (8).
Per anni dominava un messaggio nei media: che il blocco USA era un un mero pretesto del Governo cubano per nascondere il suo fallimento economico, e che appena incideva sull’economia dell’isola (9). Oggi pochi osano sostenere lo stesso, quando, in un solo anno di timide misure di Obama, l’economia cubana è cresciuta del 4%, un’eccezione nella regione, che ha contratto il suo PIL -secondo la CEPAL- di uno 0,4% (10).
Tuttavia, ci sono media specialisti nel camuffare o minimizzare gli effetti del blocco. Oppure addossarli al Governo cubano. Il quotidiano spagnolo “El Mundo”, enumerava le difficoltà e le carenze dei servizi di comunicazione sull’isola, “telefonare (tra Cuba e USA) costa dieci volte di più” che tra il Messico e USA, o “un’ora di connessione Internet (costa) 2 pesos convertibili, ciò che è il 9% dello stipendio medio” a Cuba (11). Il motivo, ovviamente, non è il blocco, ma -parole testuali- “le restrizioni imposte da entrambi i paesi”. Da entrambi i paesi? Non furono gli USA che proibirono alle loro aziende, per anni, di connettere Cuba agli anelli in fibra ottica, rallentando e rendendo così più costose le sue connessioni? (12)
“El Mundo” ci dice, inoltre, che “la posta ordinaria (tra Cuba e USA) (…) non esisteva fino a solo una settimana fa, quando i due governi hanno annunciato la loro intenzione di ripristinare il servizio postale”. Entrambi i governi? Non fu il governo USA quello che sospese, nel 1963, il servizio di posta verso Cuba? (13)
Dopo un anno di dialogo bilaterale, è nota l’irrequietezza che produce, nei grandi media ed in importanti circoli di potere politico (14), che Cuba non abbia piegato le ginocchia né realizzato concessioni sui principi. Il quotidiano “El Mundo”, si lamentava che nell’ “approccio” “sostenuto da Obama (…) c’era una carota ma nessun bastone”. “Gli USA non hanno imposto condizioni al processo”, “di cui ha approfittato Raul Castro per fare richieste senza far concessioni” (15).
E’ iniziato il secondo anno di questo dialogo verso la normalizzazione delle relazioni Cuba-USA. E nei media ancora dovranno continuare… ad inghiottire saliva.
José Manzaneda, coordinatore di Cubainformación
Traduzione Francesco Monterisi
19 Feb 2016