Questo lavoro assume come metodo di analisi e come orizzonte culturale il «punto di vista» del costituzionalismo moderno, deducibile dai contenuti valoriali dell’art.16 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789 e dai contenuti prescrittivi dei Principi fondamentali della Costituzione italiana del 1948, nella convinzione che essi costituiscono un’irrinunciabile garanzia delle conquiste della civiltà giuridica e il presupposto di ogni «progresso civile sociale politico»
2 . I principi ed i valori sanciti da ambedue i documenti, rappresentano il fondamento di legittimazione delle odierne democrazie e quindi dei vigenti sistemi costituzionali. La natura precettiva dei Principi fondamentali della Costituzione richiede, in particolare, l’adozione di un approccio ermeneutico caratterizzato da una «funzione critica e prescrittiva». I giuristi e specie i costituzionalisti non dovrebbero adoperare pertanto metodi d’indagine puramente analitici, che rischiano di tradursi in un «mero descrittivismo» o in un «ambiguo tecnicismo fine a sé stesso».
3 . La «valenza normativa della Costituzione e del suo diritto».
4. Comporta infatti lo svolgimento di un controllo sull’«aderenza» o sulla «distanza» delle norme esaminate rispetto ai fini perseguiti dalla Costituzione e specie rispetto all’attuazione del programma di emancipazione personale e sociale prescritto dall’art. 3, co. 2, della Costituzione.
5 . Il compito dei costituzionalisti è certamente quello di analizzare ed accertare i significati dei dati normativi, ma anche e soprattutto quello di valutarli sulla base dei principi di libertà e di eguaglianza posti a fondamento della Costituzione. La prospettiva del costituzionalismo non è infatti neutra, bensì assiologica e dunque non incline a ritenere che qualsiasi normativa che disciplini un assetto istituzionale, configurandone gli organi, le competenze e gli obiettivi, possa ritenersi di per sé adeguata a garantire e sviluppare la libertà e l’eguaglianza. Il metodo del positivismo giuridico risulta indispensabile per analizzare e ricostruire gli istituti ed i sistemi normativi, ma se usato in termini assoluti risulta insufficiente ed anzi «pericoloso per il costituzionalismo, perché inidoneo a riproporlo», e ad «alimentarne le ragioni, a fronte delle trasformazioni attuali della produzione normativa che gli stati realizzano mediante atti di diritto internazionale», i quali «cospirano» ad affermare una «globalizzazione senza Costituzione», «reinventando un “giuridico” svincolato dalle domande della democrazia» e proteso a realizzare una «universalizzazione elitaria» e «discriminante», nel cui ambito i diritti vengono proclamati per tutti, ma il cui esercizio viene riservato a pochi, ossia alle oligarchie economiche che finiscono così col concentrare nelle loro mani una smisurata accumulazione di potere. Il costituzionalismo rivendica pertanto la necessità di conferire al «positivismo giuridico» il «nuovo e diverso ruolo» di «strumento di lotta per il diritto […], il che significa rinnovare le ragioni del costituzionalismo» approfondendo, da un lato, i contenuti dei diritti costituzionali e riaffermandone l’«universalità minacciata e contratta» nell’era della crisi della globalizzazione e, dall’altro, provando ad individuare ed a costruire le istituzioni, i poteri e gli strumenti capaci di inverarli «nell’effettività degli ordinamenti».
6 . In tale prospettiva, bisognerebbe superare il mito della neutralità della scienza giuridica, per dar vita ad un giuspositivismo ispirato ai principi democratico-sociali della Costituzione. Nell’ultimo trentennio è prevalsa invece la tendenza ad assimilare il nostro modello costituzionale ai modelli costituzionali liberaldemocratici degli altri Paesi europei e «probabilmente ciò spiega perché nell’opinione maggioritaria degli studiosi […] il nostro costituzionalismo repubblicano non sarebbe sconfessato dalle dinamiche dell’assetto sovranazionale», che infatti vengono considerate «perfettamente coerenti con gli assunti liberal-democratici basilari».
7 . Se si considerano però le vicende storiche che hanno portato alla fondazione della Repubblica democratica fondata sul lavoro con la quale si è voluto superare non solo il regime fascista ma anche lo stato liberale-autoritario e se si tiene presente l’impianto unitario della Costituzione, imperniato sull’intreccio tra i principi della democrazia politica, della democrazia economica e della democrazia sociale, non si può non rilevare come a partire dall’adozione del «paradigma Maastricht», sia iniziato un lungo declino che ci sta «trascinando nella più profonda regressione».
8 . L’obiettivo perseguito da questo lavoro è dunque quello di tentare di comprendere le «ragioni profonde» che hanno condotto l’Italia e l’Europa, «passo dopo passo, sino all’orlo di un precipizio», analizzando, in una prospettiva storica, «i fatti e gli atti» attraverso i quali le classi dirigenti hanno costruito una gabbia sovranazionale entro cui costringere gli indirizzi politici ed economici nazionali, impedendogli di perseguire le finalità sociali prescritte dalle Costituzioni del secondo dopoguerra. Solo esaminando i passaggi fondamentali del processo storico e le trasformazioni che avvengono nel campo del pensiero compreso quello giuridico, diviene possibile evitare di incorrere in una visione mitologica dell’UEM ed individuare le «prospettive concrete».
9 . Per riprendere un percorso democratico e progressivo capace di ristabilire la pace e la giustizia sociale tra le nazioni ed entro le nazioni, che oggi si trovano avvolte nelle spire della crisi della globalizzazione. Vorrei richiamare a questo proposito una preziosa indicazione metodologica contenuta nell’introduzione del volume delle Opere Filosofico-politiche ed estetiche di Francesco Mario Pagano, il giurista che elaborò il testo della Costituzione della Repubblica Napoletana del 1799 e che fu condannato a morte a seguito della cupa reazione sanfedista del restaurato assolutismo regio. Messa nell’introduzione, compendiando mirabilmente la concezione materialistica della storia di Pagano, scrisse: «per chi guarda gli avvenimenti come tanti anelli isolati, la storia non è che una lanterna magica: ma chi scopre la concatenazione di questi anelli, chi indaga la serie e il nesso degli avvenimenti, può far della storia una filosofia».