di Laura Naka Antonelli
ROMA (WSI) – La ripresa economica dell’Italia continua a confermarsi una favola. Bisogna andare a spulciare tra i principali quotidiani e riviste mondiali per avere una fotografia obiettiva delle condizioni in cui versa l’economia italiana. Ironico come spesso si abbia l’occasione di capire il reale stato di salute del paese, gli alert sulle banche italiane, o il semplice elenco dei problemi che stanno mettendo in ginocchio l’Italia, più attraverso la stampa estera che non attraverso quella italiana (a parte blog e giornali di opposizione al governo che spesso lanciano il grido di “al lupo” per ragioni prettamente politiche).
Certo, i dati macroeconomici che vengono pubblicati da ormai diversi mesi non sono più da bollettino di guerra e la recessione sembra essere stata archiviata. La parola sembra è tuttavia d’obbligo, in quanto la crisi rimane in agguato: il segno meno davanti al PIL non risulterà dai numeri dell’Istat, ma diversi sono gli italiani che, intervistati per strada, affermano di non intravedere ancora un punto di svolta per il paese o meglio, per le loro stesse tasche.
Industria italiana spaccata in due: adottare il modello tedesco?
Anche dal fronte macro, questa settimana non è stata positiva per l’Italia: produzione industriale rimasta praticamente ferma e dati sul PIL sempre da zero virgola. Certo, le cose non sono andate bene neanche all’Eurozona, che ha assistito anch’essa a un calo inatteso a marzo della produzione industriale. Idem per il PIL, che ha fatto peggio di quanto era stato reso noto in via preliminare.
Tuttavia l’Italia deve fare i conti, rispetto all’Europa, con ben due spade di Damocle che pendono sulla sua testa: il problema del debito, che non è stato mai così alto, e il problema delle banche, i cui bilanci in diversi casi sono carichi di sofferenze. Il tutto, in un contesto industriale che è chiaramente affaticato da anni di crisi, ma anche da anni di scarsa innovazione.
In un’intervista rilasciata a Firstonline, Patrizio Bianchi, economista industriale e assessore della Regione Emilia-Romagna, dice senza mezzi termini:
“L’industria italiana è spaccata in due, tra chi sa stare sui mercati internazionali e chi è rimasto nel giardino di casa: per rilanciarla occorre una strategia capace di collegare innovazione, competenze, networking. La Germania si è mossa bene su questo terreno e nulla impedisce di prendere ispirazione dai tedeschi”.
La Germania, insomma, rimane un modello da perseguire. Lo promuove in modo fiero lo stesso ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schaeuble, sottolineando che gli altri paesi dovrebbero adottare il modello economico tedesco, e affermando come il gigantesco surplus delle partite correnti del paese sia un segnale della forza dell’industria tedesca e della competitività delle esportazioni. In quanto tale, secondo Schaeuble, il surplus dovrebbe essere a suo avviso celebrato, non criticato.
D’altronde, i dati danno ragione al falco tedesco. Proprio oggi, è stato reso noto che nel primo trimestre del 2016 la Germania ha assistito a una accelerazione del Pil dello 0,7%, al ritmo più forte in due anni, a fronte di un anemico +0,3% dell’Italia.
Di fatto, la Germania è cresciuta a un tasso più che doppio rispetto all’Italia e si è confermata motore dell’economia dell’Eurozona, che invece ha fatto +0,5%, rispetto al +0,6% inizialmente reso noto.
Carsten Brzeski, economista presso ING, ha parlato a tal proposito di una crescita “davvero impressionante”, facendo notare tra l’altro che i fattori della crescita tedesca sono cambiati.
“Inizialmente sostenuta dalle esportazioni e da una forte produzione industriale, l’economia (tedesca) è al momento stimolata molto di più dai consumi privati, dalle costruzioni e da una fetta di esportazioni. Guardando in avanti, almeno nel breve termine, questo nuovo mix di crescita dovrebbe sostenere ulterioramente la crescita”. Brzeski ha ammesso tra l’altro che “il tessuto industriale ha subito un rallentamento significativo”.
In tutto questo, se la Germania fa meglio dell’Eurozona, l’Italia fa peggio. E l’ottimismo di Renzi sempre più si scontra con l’opinione degli esperti, che non riescono proprio a condividere l’entusiasmo del premier.
“Per l’economia italiana il tempo sta per scadere”
Sul Telegraph, nelle ultime ore è stata pubblicata un’analisi di Ambrose Evans-Pritchard, che sembra avere tutte le caratteristiche di una sentenza.
“Per l’economia italiana il tempo sta per scadere. Dopo sette anni di espansione globale, il paese è ancora intrappolato in una situazione di debito-deflazione e fa ancora fronte a una crisi bancaria che non riesce a combattere, visti i limiti paralizzanti dell’Unione monetaria (..) Ogni anno, Roma spera in un calo del rapporto tra debito e Pil, e ogni anno tale rapporto sale. La ragione è sempre la stessa. Le condizioni deflazionistiche impediscono al Pil nominale di salire in modo sufficiente da superare la crescita del debito”.
Evans-Pritchard ricorda che il “debito/PIl è stato del 121% nel 2011, del 123% nel 2012, del 129% nel 2013″ e del 132,7% lo scorso anno. E se non è cresciuto di più è stato per il calo del petrolio, dell’euro e per “la polvere magica del Quantitative easing della Bce di Mario Draghi. Ma:
“questo triplo stimolo si sta già smorzando, prima che il paese riesca a sfuggire alla trappola della stagnazione“.
Ma è nel titolo che è contenuto il messaggio dell’opinionista del Telegraph:
“Italy must choose between the euro and its own economic survival”, ovvero, “l’Italia deve scegliere tra l’euro e la sua stessa sopravvivenza economica”.
Così ammette Simon Tilford del Centre for European Reform.
“L’Italia è incredibilmente vulnerabile. Ha attraversato l’intera fase di recupero senza segnare alcuna crescita. L’inflazione core viaggia a livelli pericolosamente bassi. Il governo non ha quasi più alcuna munizione per combattere la recessione”.
Di qui, la questione – ormai viva da anni – se rimanere o meno nell’euro. L’ultimo sondaggio Ipsos Mori mostra che il 48% degli italiani voterebbe per lasciare sia l’ UE che l’euro, se ne avesse modo.
“La disastrosa avventura con l’euro, Italia in trappola”
Ma l’articolo di Evans-Pritchard è molto interessante perchè ripercorre “la disastrosa avventura con l’euro”, che è “lunga e complessa”.
“Il paese vantava un grande surplus commerciale con la Germania alla metà degli anni ’90, prima che i tassi di cambio venissero trasformati in fissi, per l’eternità. Quelli erano i giorni in cui (l’Italia) poteva ancora svalutare (la lira), provocando l’irritazione delle camere di commercio della Germania.
“E’ sufficiente dire che l’Italia ha perso il 30% di competitività contro la Germania – competitività misurata dal costo del lavoro unitario – nei 15 anni successivi, sia in quanto la Germania ha messo sotto pressione i salari, per avvantaggiarsi sugli altri (paesi dell’Eurozona),sia perchè la globalizzazione ha interessato i due paesi in modi diversi. L’Italia è scivolata in una situazione di “equilibrio negativo” e la sua produttività è scesa -5,9% dal 2.000: un collasso da togliere il respiro”.
L’articolo continua, mettendo in evidenza che “l’Italia ora non può più liberarsi dalla trappola”, e che “il risultato davanti ai nostri occhi è una implosione industriale”. A ciò si aggiunge una crisi bancaria che mette in evidenza le disfunzioni dell’Unione monetaria europea, e che peggiora giorno dopo giorno. Riferimento a Unicredit, che ha “perso la metà del suo valore negli ultimi sei mesi, emblema di un settore intoccabile con 360 miliardi di crediti deteriorati, il 19% dei bilanci bancari italiani”.
“Si tratta della percentuale più alta tra i paesi del G20, sebbene qualcuno dica che il vero numero della Cina sia vicino. Le banche devono ancora svalutare sofferenze per 86,3 miliardi, ma non lo hanno fatto per una ragione. I loro ratio di capitale sono troppo bassi; di conseguenza (le banche) sono attanagliate dalla paura di essere costrette a operazioni di ricapitalizzazioni, così come temeno una ristrutturazione dei crediti, in base alla nuova legge del “bail in”.
“L’orrore di chi ha perso tutto. Fondo Atlante aumenta rischio sistemico. Bce sbaglia”
“Tutto ciò è politicamente esplosivo. Decine di migliaia di risparmiatori italiani di piccole banche regionali sono state già colpite dalla scure, apprendendo con orrore di aver ceduto i loro risparmi senza saperlo. Bankitalia ha detto che la legge del bail in dell’Ue è diventata ‘fonte di gravi rischi di liquidità e di instabilità finanziaria” e che, in quanto tale, dovrebbe essere rivista prima che scateni una corsa agli sportelli”.
Così Lorenzo Codogno, ex responsabile economista presso il Tesoro, ora alla London School of Economic.
L’Italia “le ha provate tutte”, ma la politica di vigilanza della Bce ha peggiorato le cose.
“(La Bce) continua a chiedere alle banche di aumentare capitale. E’ normale avere un alto livello di crediti deteriorati dopo una recessione lunga e profonda, dunque la Bce non dovrebbe agire in questo modo. Sta praticamente aumentando l’instabilità”.
E sulla soluzione del fondo Atlante, Silvia Merler del think tank Bruegel afferma che si tratta di uno strumento che trascina le banche più solide in un pantano, aumentando il rischio sistemico.
L’Italia sarebbe insomma in un vicolo cieco. Ma in tutto questo Renzi si concentra sui “gufi” che lo criticano. Il disfattismo, di certo, non è una soluzione. Ma neanche il far finta che le cose non esistano. Le parole di Renzi hanno un tono trionfalistico che riporta alla mente quelli di un altro premier, poi praticamente cacciato dall’Europa: Silvio Berlusconi.
13 maggio 2016