di Domenico Marino
Il successo dei social media fondamentalmente risiede nella possibilità di chiunque, perversamente lo voglia, di dare un’idea di sé diversa da quello che è veramente.
Incapaci e timorosi come spesso “siamo” di dimostrare noi stessi; influenzati, plagiati da qualcuno che ci dice che come siamo non va bene.
Allora si pubblicano post con contenuti falsi – ma che hanno un seguito a causa di quante volte vengono “pompati” dal web – per darsi un qualche tono, e si pubblicano foto ritoccate per farsi vedere più belli e ammiccanti.
Insomma “siamo” abbacinati dal falso quanto effimero protagonismo a portata di “click”.
Oggi l’immagine è tutto non importa se poi siamo bacati dentro, consunti dal verme dell’omologazione.
Effetto omologazione che porta gran parte delle persone a seguire il trend del momento, che un “influencer” (leggi imbonitore) pagato da chissà chi – multinazionali soprattutto – stabilisce per tutti.
Non importa se poi quei contenuti siano palesemente falsi, beceri, di cattivo gusto o peggio ancora razzisti e reazionari. Poco importa! Bisogna seguire la massa pilotata a monte col telecomando da chi ha l’utilità di farlo.
Il meccanismo poi va da sé, quasi fosse un motore perpetuo, poiché in una società dell’apparenza per l’apparenza contano i “like” quindi si pubblicano a cascata notizie, foto, video che a prescindere se veri o falsi, se violenti o meno, comunque permettono un effetto “like” appunto.
“Una bugia fa in tempo a viaggiare per mezzo mondo mentre la verità si sta ancora allacciando le scarpe.” era solito dire Mark Twain.
In tempi di @social questo è ancora più tristemente vero.
Un tragico “effetto gregge” secondo il quale una volta che hai indirizzato la prima pecora, meglio se è una pecora che il “mainstream” dice di essere VIP – un pecorone per così dire.. – tutte le altre pecore si accoderanno belanti per istinto animale.
Allora si diventa meccanicamente razzisti perché pubblicare post contro gli immigrati “tira” di più in questa fase di burrasca sociale dove spira un mortifero vento di destra. Non si pubblicano approfondimenti perché vale la stessa considerazione di cui prima. Non si fa leva sui buoni sentimenti o sul raziocinio perché poi si viene tacciati di “buonismo” o “intellettualismo” e via discorrendo verso l’omologazione al ribasso, verso l’imbruttimento sociale.
Oggi, ahinoi, è di moda essere orgogliosi, essere cattivi, ignoranti e @sociali.
D’altro canto la televisione ( The idiot box come la chiamano gli inglesi) piuttosto che la Fox o Netflix, che in buona parte indirizzano e formano il gusto di massa, pullulano di fiction dedicata a mafiosi, assassini, spacciatori, “narcos”, serial killer, terroristi e altro genere di bestiario umano; e tra le righe dicono, ad una società facilmente suggestionabile dal successo materiale a prescindere, quanto è “affascinante” essere al di fuori della legge, gangster ricchi, pieni di donne e (tristemente dico io) famosi.
In questo sonno letargico della ragione si diventa così razzisti, fascisti, mentitori, – ma guai a farlo notare – senza purtroppo la consapevolezza di esserne “portatori insani”. Questo facilita e fomenta i populismi che sono stati sempre per loro natura destrorsi e si finisce di seguito col portare “acqua con le orecchie” a quella classe dominante che si è sempre caratterizzata palesemente o cripticamente di razzismo, fascismo e mendacità.
Ecco così che spopolano sul web e purtroppo di riflesso anche nella politica reale gente falsa, ipocrita, pericolosa, perché portatrice di odio, come Trump, Salvini, Orban, Bolsonaro e via discorrendo..Gente che usa il linguaggio gridato per tenere a bada il pensiero (altrui).
Ne consegue che lo spirito critico è ridotto al lumicino, chi pensa è “fottuto” perché viene emarginato da chi è indotto per idiozia e imbarbarimento a seguire un “trend” acriticamente.
Pensare d’altronde può risultare una fatica e allora è meglio che qualcuno pensi per noi. Così ci facciamo portatori di parole “sporche”che altri hanno stabilito per noi, che i media in mano alla classe dominante ci ficcano letteralmente in testa. e un luogo comune “come una freccia dall’arco scocca, vola veloce di bocca in bocca”.
Un giovane Bertolt Brecht, appena ventiduenne annotò: “La nostra biancheria ci appartiene, e di quando in quando la laviamo. Le nostre parole spesso non ci appartengono e non le laviamo mai”.