“Lotta di classe e riforme istituzionali”. Dal modello processuale (Quaderno 1 del Lavoratore) al federalismo e “Lotta tra medici e l’attuale governo in mano ai liberisti …”
di Angelo Ruggeri
“CONFLITI DI CLASSE E ‘RIFORME ISITUZIONALI’. Dall’abbattimento del PROPORZIONALE al rafforzamento dell’ESECUTIVO”, al “federalismo” (titolo del Q. 1 de Il Lavoratore, con l’aggiunta: “al federalismo”). ”Dalle USSL della Repubblica delle autonomie alla ASL del ‘fallimentare’ e ‘mortale’ ‘federalismo sanitario”.
In una fase in cui necessita un “pensiero lungo”, nel trasmettere l’articolo di Città Futura “Scontro tra medici e governo”, di A. Bartoloni, torna utile la riflessione – tratta dal Q. 1 de Il Lavoratore, di cui sopra, citiamo il titolo, con la sola aggiunta “al federalismo” – su come il SSN le USSL nacquero in forza del modello processuale col quale il movimento di massa perveniva a creare nuove forme istituzionali coerenti con la Costituzione che occorre tornare ad attuarla nel campo sanitario.
Il significativo articolo di Città Futura, segnala un ulteriore aspetto della degenerazione del presidenzialistico federalismo, sia istituzionale che sanitario (il presidenzialismo è una forma di potere: presidenzialistico è anche il manager capo di una ASL o della sanità regionale, oltre che sindaci e presidente di Regione eletti direttamente), che come ogni federalismo si fonda sul centralismo dei vertici regionali e del governo statale.
Donde che da un lato ci sono le corporazioni mediche “in mano ad una banda di reazionari” e dall’altro “il governo in mano ad una banda di liberisti” come scrive Bartoloni. Non ci sono, cioè, le assemblee elettive, ne quelle Regionali ne il Parlamento nazionale ma, come è nella natura del federalismo e quindi anche del federalismo sanitario, c’è solo il dispotico governo dello Stato, che in tal modo sopratutto in questi mesi, viola la Costituzione che attribuisce non allo stato ma alla Repubblica delle autonomie (cioè non Repubblica “federalista”) il compito di garantire la salute. E per Repubblica si intende non lo Stato ma anzitutto il sistema delle autonomie locali, cioè le assemblee territoriali e i comuni, rispetto alle quali il governo non deve governare ma deve ubbidire, specie nel campo della salute. Perché la salute è la funzione più sociale che esiste, per cui non può essere affidata all’antisociale centralismo di ”mandrilli” del potere, che dal governo vogliono comandare anziché eseguire gli indirizzi e le iniziative delle assemblee elettive: la Costituzione affida il potere di indirizzo e il potere di iniziativa al Parlamento e alle assemblee elettive locali e regionali non ai loro esecutivi di governo. Potere di indirizzo e di iniziativa delle assemblee elettive che risulta espropriato e dal governo e dal suo capo, e dai presidenti di regione e sindaci elettivi.
Cosi che ci troviamo in un quadro esattamente rovesciato rispetto al contesto processuale in cui il movimento di massa ‘inventò’ le USSL come strumento e proiezione delle assemblee comunali, delle autonomie locali. In una processualità che vale la pena di essere sottolineata per poter comprendere oggi, che cosa serve e come procedere per riprendere il processo necessario per superare le conseguenze anche mortali intrinseche al campo della medicina e dell’attuale sistema sanitario.
Riportare una breve parte dal Q. 1 del Centro Il Lavoratore, serve per ricordarci come deve essere un SSN della Repubblica, quale era quello disegnato dalla Riforma sanitaria, fondato sulle USSL nate nel fuoco di lotte di massa e di una concezione processuale (propriamente marxiana), che attuando la Costituzione portò anche ad una concezione alternativa del diritto e ad “inventare” nuove forme istituzionali, come e non solo le USSL la cui “soppressione” ha portato alla “demolizione” dell’organizzazione sanitaria primaria e di base che, dal canto suo, l’epidemia ha solo esplicitato in modo più eclatante portando a gravissime e mortali conseguenze intrinsecamente espressive dell’aziendalizzazione derivante dal rovesciamento dei principi e delle istituzioni sanitarie della Riforma.
Aziendalizzazione volta ad imporre anzitutto il potere di una tradizionale medicina di classe borghese e una capitalizzazione della sanità, che ha derivato il rilancio del centralismo ospedaliero e di una medicina curativa, anziché preventiva, fondata sulla valorizzazione dei margini di profitto degli investimenti tecnologici delle imprese private, sia nelle cliniche private che in quelle pubbliche: con anche l’uso privato della tecnologia, della informatica e del personale della sanità pubblica( di cui è un es. l’extramoenia).
Di tutto e tale insieme del SSN di cui la pandemia ha solo ulteriormente evidenziato l’antisocialità delle forme di dominio gerarchizzato di una sanità poco salutare, le ambiguità e le distorsive inefficienze e contrarietà ai fini di interesse sociale del federalismo sanitario – anticostituzionale come il federalismo istituzionale – e della sussidiarietà orizzontale applicata anche alle funzioni pubbliche, che la Carta del lavoro fascista aveva già introdotta ma solo per le attività economiche.
L’ESECUTIVO DI GOVERNO NON DEVE GOVERNARE MA ESEGUIRE ( dal cap. ”La Lotta contro il centro-sinistra e la politica dei redditi, per l’attuazione della Costituzione” della Relazione di Angelo Ruggeri, in Q.1 de Il Lavoratore”):
<<… Negli anni ’60 la lotta rivendicativa dei lavoratori era forte proprio perché forte era la strategia di attuazione della Costituzione, che a sua volta traeva forza da una strategia di lotta, quella per la programmazione democratica e fece si che il duro scontro tra PCI e Psi avesse come suo epicentro la lotta al centro-sinistra come portatore della politica dei redditi. La caduta degli anni ’90, inizia già da quando con l’ XI Congresso della Cgil si è rinunciato al controllo dei “Piani d’impresa” e alla programmazione… asserendo come necessarie regole di coesistenza con il sistema delle imprese (Dai Piani d’impresa alla democrazia economica, Thema n.6/86, speciale in vista del Congresso nazionale Cgil)
<<….(negli anni 60)…, la lotta sociale ha fatto maturare anche la domanda di un governo democratico dell’economia, con un concorso attivo della soggettività operaia, del sindacato e dei partiti, soprattutto di quello comunista.
LE DUE CULTURE E IL MODELLO PROCESSUALE
Tale strategia caratterizza tutti gli anni ’60, anni che sono segnati dall’impatto sempre più forte del sistema delle partecipazioni statali come base di una programmazione che nella cultura cattolica nasce dall’idea di uno sviluppo dell’impresa pubblica: “se abbiamo la manopola dell’impresa pubblica possiamo manovrare l’economia“. Questo era venuto maturando nella cultura cattolica.
Nella cultura comunista invece, l’idea era quella del Piano, della pianificazione. Non c’era però un pianismo legato alla concezione sovietica, ma legato alle forme concrete da cui poteva attivarsi un processo. Processo o processualità che nella terminologia comunista, è sempre stato una formula dominante. Dominante perché tutto nella realtà è un processo. Tanto che la risposta comunista a Bobbio, a proposito della teoria dello Stato, quando Bobbio chiedeva “Ma voi che modello avete“, è stata : quello di un modello processuale. Questo perché in una concezione marxista dello Stato, lo Stato è proiezione dei rapporti economici e sociali e, allora, non può e non deve prefigurare un modello formale a priori. Questo può essere fatto solo dalla cultura borghese perché fondata su un aprioristico modello di Stato che vuole mantenere così come è sempre stato sino ad ora.
Per ciò, per chi è come Bobbio, che è uno storico della filosofia del diritto più che un giurista, la cultura giuridica è solo cultura descrittiva, finisce con il ritenere che non sia possibile avere un’altra concezione, perché egli ha la cultura giuridica propria di uno Stato già esistente e “assicurato” nella sua esistenza, altrimenti non potrebbe avere una cultura giuridica descrittiva.
Mentre invece la visione processuale dei comunisti non può non rifiutare una visione puramente descrittiva delle forme dello Stato borghese esistente e deve fondarsi su delle modalità processuali capaci di produrre “innovazioni” giuridiche fuori dalle descrizioni della cultura giuridica tradizionale, come è stato nel caso della “invenzione” delle USSL. Innovazione, del resto, avvenuto già con la elaborazione stessa della Costituzione che ha “innovato” le descrizioni giuridiche delle forme istituzionali tradizionali e che, per fare un altro esempio, è in un altro senso avvenuto con l’invenzione delle Circoscrizioni. Circoscrizioni che non avrebbero mai potuto essere trovate in nessuna descrizione delle forme istituzionali esistenti e che non potevano che essere inventate, come è avvenuto, se non nel vivo dell’esperienza politica e sociale, e non quindi da una formulazione giuridica astratta come dimostra il fatto che sarebbe impossibile trovare le Circoscrizioni in un qualsiasi testo di cultura giuridica.
Le USSL previste dalla Legge di riforma sanitaria del 1978, sono state forse l’ultimo esempio di questa capacità processuale e sociale di invenzione di nuove forme istituzionali, fuori da ogni modello giuridico descrittivo ma, nate alla fine o sull’inerzia della grande spinta del 68-69, sono diventate subito oggetto e preda di una disputa da parte dei giuristi tradizionali per riportare le USSL, contro quanto previsto dalla legge di riforma, dentro i modelli giuridici tradizionali. Infatti, mentre la legge di riforma non definiva l’USSL ne come ente ne come azienda, i giuristi messi all’opera dalle regioni, le Regioni stesse, tutte, e i partiti, tutti, fecero a gara per identificare e ridefinire le USSL nell’ambito dei tradizionali modelli di Ente o azienda.
Alla testa di questa operazione di “retroguardia” furono le Regioni “rosse” e la Lombardia che compi il capolavoro di una doppia separazione dell’USSL dagli enti locali e dal territorio, sanitarizzando la sanità sotto ulteriori forme aziendali nella fattispecie di comitati di gestione più rispondenti alle forme dei consorzi che altro, e collocando queste “aziende” all’interno di un Ente territoriale, i famigerati Erz: una doppia separazione dai Consigli comunali.
Questa attuazione e gestione aziendalistica e privatistica della legge sanitaria da parte delle Regioni, portò al fallimento che tutti sanno, ma fu utilizzato, nella subalternità della ‘sinistra’, per rimuovere l’intero sistema di Riforma sanitaria che l’ONU indicava come il prototipo più avanzato di riferimento per ogni riforma della sanità nel mondo, anziché per rimuovere le forme di gestione giuridiche e privatistiche tradizionali che ne hanno provocato la disfunzione e la degenerazione.
Gli anni ’60, e successivamente gli anni ’70, con le Regioni, come istituto della programmazione economica nazionale, i Piani di settore, i Contratti-riforma, la Riforma sanitaria, ecc., sono quindi stati un momento qualificante di una processualità che ha prodotto anche istituzionali rapporti inediti e innovazioni teoriche per una concezione “alternativa” del diritto collegata alla crescita delle esperienze reali; e lo scoppio del ’68 è stato il momento di una sintesi sociale e di massa superiore rispetto al fatto di una Costituzione che era stata “bloccata” e che cominciava ad irrompere nella società sulle gambe, appunto, dei movimenti di massa. Tanto che subito dopo è stata la società ad irrompere nelle istituzioni, sbloccando la Costituzione e trasformandole con le Regioni e tutto il resto … ( A. Ruggeri, “Costituzione e lotta di classe”, Quaderno 1 del Centro “Il Lavoratore”).
Il rovesciamento delle Unità socio sanitarie locali in aziende o Enti, concretizzatosi dopo il 2001 nelle federalistiche aziende centralizzate regionalmente, è stata e rimane parte del rovesciamento della costituzionale concezione autonomistica, sociale, territoriale, democratica e di programmazione dal basso, in cui centrale è il territorio e tutta la strumentazione territoriale abrogata dalla anti-costituzionale concezione federalista, cioè dal gerarchico dominio burocratico dall’alto sul territorio, da parte degli esecutivi regionali in combutta col governo centrale, che in una concorrenza tra vertici sono però uniti dalle forme “presidenzialisticamente” dominanti e sul Parlamento e sulle assemblee elettive regionali e locali … l’opposto di quando le unita sanitarie erano espressione delle assemblee elettive comunali ora espropriate del loro ruolo di autorità sanitarie del territorio …. con le conseguenti reazionarie corporativizzazione delle professioni e dei mestieri privi di ogni riferimento democratico sociale nel proprio territorio …