di Claudia Cernigoi
Dopo le recenti elezioni europee ed amministrative appare necessario fare una seria analisi di cosa si intenda oggi per “sinistra” in questo Paese. Genericamente viene considerato “di sinistra” il Partito democratico, che oggi come oggi sembra assomigliare più alla vecchia “balena bianca” democristiana, depurata però da quel minimo di garantismo assistenziale che aveva caratterizzato la passata DC ed il cui governo, sotto la pressione dei movimenti di lotta, dei sindacati e dei partiti di sinistra aveva introdotto quello stato sociale che viene invece da anni demolito, grazie anche al fondamentale intervento del PD, che in materia di tagli si sta dimostrando non secondo a nessuno, considerando anche il taglio che Renzi si è posto come basilare per la sua gestione politica, l’abolizione del Senato (e censura per chi non ci sta, come ha dimostrato il caso Mineo).
Se il PD di Renzi viene considerato “di sinistra”, con tutta la sua politica di demolizione dei diritti e delle garanzie sociali, e governa di fatto con l’accordo degli ex berlusconiani (la “destra”), l’unica opposizione di un certo spessore (però politicamente nulla, se non pericolosa, in quanto rappresenta lo sfogo del più retrivo qualunquismo forcaiolo italiano) è rappresentata dal Movimento 5 stelle, che si proclama né di destra né di sinistra (però al Parlamento europeo hanno deciso di rapportarsi col partito UKIP di Farage, in Italia caldeggiano collaborazioni con CasaPound mentre a Livorno, dopo avere eletto il sindaco, si dichiarano “di sinistra”).
Ciò che viene a mancare a questo punto è una forza politica in grado di creare opposizione sociale di sinistra, in pratica una forza politica che si richiami agli ideali comunisti e non a quelli della sinistra borghese che pensa molto ai diritti civili ma poco a quelli sociali (ad esempio chi scrive trova agghiacciante la campagna per la legalizzazione dell’eutanasia mentre non esiste mobilitazione per denunciare la situazione disastrosa della sanità pubblica).
La forza politica che avrebbe dovuto incarnare questi contenuti alle ultime elezioni europee è la coalizione che si è creata attorno al leader di Syriza, Aleksis Tsipras, coalizione di riferimento della Sinistra europea (che comprende i partiti comunisti e della sinistra cosiddetta radicale, come la Linke tedesca).
In Italia a sostenere Tsipras non è stata però, come sarebbe sembrato logico, un coagulo degli svariati partiti comunisti che esistono nel nostro Paese, è stata invece creata una formazione atipica, partita da un appello lanciato da una persona singola, la giornalista della Stampa Barbara Spinelli, che ha avuto il sostegno di altri “saggi”, intellettuali di tutto rispetto ma non provenienti dalla sinistra di classe né da quella di lotta, come Moni Ovadia, Andrea Camilleri, Marco Revelli; e poi l’ex Lotta continua Guido Viale col gruppo gravitante attorno al quotidiano il Manifesto, che da anni sta cercando, dopo i tentativi falliti di Alba e di Cambiare si può, di dare vita ad un “nuovo soggetto politico” il cui scopo dovrebbe essere quello di fare piazza pulita dei “vecchi” partiti di sinistra, nella fattispecie quelli comunisti.
All’appello, oltre ad una serie di “comitati” che nascevano in base al fatto che chiunque poteva creare un comitato di sostegno accreditandosi via internet (metodo un po’ sui generis, dato che ad esempio a Trieste si sono formati due comitati distinti che fino ad un certo punto non sapevano l’uno dell’esistenza dell’altro, ma questo è il nuovo modo di fare politica, baby) hanno poi aderito Rifondazione comunista, Sinistra ecologia e libertà, il Partito dei Comunisti italiani ed Azione civile, che hanno accolto la richiesta dei “saggi” di mettere in secondo piano i partiti e di scegliere i candidati tra coloro che negli ultimi dieci anni non avevano avuto incarichi amministrativi, dirigenziali od elettivi nei partiti e nelle istituzioni, né erano stati candidati “di spicco” (?) per qualche lista.
La decisione finale sulle candidature e sulla linea da portare avanti in campagna elettorale è stata quindi avocata da questo gruppo di autoconvocati “saggi”, Spinelli in testa, che hanno deciso chi e dove candidare, a loro insindacabile giudizio. Che nel contesto abbiano deciso di candidare innanzitutto se stessi (Spinelli addirittura in due collegi, Ovadia e Camilleri, quest’ultimo allontanatosi poi per dissidi relativi alla candidatura di Luca Casarini) con la clausola di dimettersi, una volta eletti, per fare spazio ad altri (cosa che peraltro non comprendiamo, dato che se uno non ha intenzione di essere eletto è inutile che si candidi, a meno che non voglia costituire un filtro nei confronti dell’elezione degli altri candidati), non sembra, a chi scrive, una particolare garanzia di trasparenza e correttezza, ma evidentemente ciò è piaciuto ai sostenitori della neonata Lista Tsipras, che non hanno sollevato obiezioni.
Non intendiamo ora entrare nel merito della scelta delle candidature (il ripescaggio di vecchi arnesi come Luca Casarini, che pensavamo fosse stato superato dalla storia, o il lancio in politica di un altro esponente della stampa borghese, l’editorialista della Repubblica Curzio Maltese; ma anche l’esclusione di esponenti dei Comunisti italiani ed il rifiuto di candidare un/a rappresentante della minoranza slovena nel Nordest, con la motivazione che “non avrebbe portato voti”), né del modo sconclusionato e schizofrenico in cui è stata condotta la campagna elettorale a Trieste, dove i comitati elettorali pretendevano contemporaneamente che i partiti politici non si facessero vedere con i propri simboli ma che si attivassero più degli altri, in quanto possessori di strutture organizzative. Né intendiamo soffermarci più di tanto sulla mancanza di coerenza della “saggia” Spinelli, che dopo avere deciso le proprie candidature in due collegi, con la promessa di dimettersi per dare spazio a chi veniva dietro di lei, alla fine, dopo un tira-molla di qualche giorno, ha deciso di accettare l’elezione, a scapito del secondo eletto al Centro, rappresentante di Sel (mentre Ovadia, capolista al Nordovest, ha mantenuto l’impegno permettendo quindi la nomina di Maltese). Che a rimetterci sia stato un esponente di Sel, e non l’eletta di Rifondazione, può sembrare curioso se si considera che un paio di giorni prima era stata Sel a ribadire il proprio desiderio di autonomia politica dalla Lista anche dopo le elezioni.
Queste sono le basi di chiarezza su cui oggi, dopo un risultato elettorale decisamente mediocre (l’elezione dei tre deputati è stata possibile solo grazie al drastico calo di votanti, dato che i voti raccolti, che avrebbero dovuto, a logica, convogliare quelli di Rivoluzione civile e Sel dell’anno scorso, sono invece risultati inferiori a quelli della sola RC) che è stato però interpretato come una grande vittoria, i fautori della lista Tsipras hanno sancito la “necessità” di proseguire l’esperienza dando vita ad una “Syriza italiana” che rappresenti una “sinistra degna di questo nome” (così si è espresso il segretario di Rifondazione Paolo Ferrero).
In pratica, i partiti della coalizione dovrebbero d’ora in poi annullarsi come soggetti politici indipendenti per confluire in una “cosa” al momento ancora priva di una linea chiara. Come non tenere conto del fatto che non una parola è stata spesa dalla coalizione in merito all’avanzata golpista ucraina ed al massacro dei comunisti operato dalle organizzazioni paramilitari naziste?
E del resto, cosa hanno in comune i militanti dei partiti comunisti che dovrebbero evaporare in nome di questo unificazione, con gli intellettuali che hanno dato vita all’idea di una Syriza de noantri?
Da buon principio avrebbe dovuto quantomeno suscitare dei dubbi in chi si richiama ancora all’idea comunista (nel senso più ampio del termine, non solo del bolscevismo di guerra), il fatto che una persona come Barbara Spinelli, che ha iniziato la sua attività giornalistica alla Repubblica ed ora scrive sulla Stampa, che è una delle poche giornaliste accreditate a prendere parte alle riunioni del Bilderberg e che non ha mai espresso simpatie per una sinistra di classe, decida di punto in bianco di diventare punto di riferimento e di coagulazione di una formazione politica che dovrebbe assorbire e di conseguenza eliminare dalla scena pubblica tutti i partiti a sinistra del PD.
Spinelli e Maltese fanno parte di quello che viene definito “partito della Repubblica” (inteso come quotidiano), che da anni conduce una propria battaglia contro tutti quelli che vengono definiti “cespugli”, cioè i partiti e gli schieramenti minori visti come intralci alla governabilità; ma che già venticinque anni fa ha avuto una parte non indifferente nella trasformazione del PCI in un partito “americano”, che di sinistra non ha più niente tranne l’autodefinirsi tale.
Tra i “saggi” troviamo anche lo zoccolo duro degli intellettuali che fanno capo al Manifesto, il quotidiano che prosegue imperterrito da decenni a pontificare, dalla sua torre d’avorio, su come dovrebbero agire gli esponenti della sinistra; dove questi intellettuali si guardano bene all’entrare a fare parte di qualcuno dei partiti ai quali vorrebbero dettare la linea. Il Manifesto, che, guarda caso, si trovava sull’orlo della chiusura per motivi economici e che proprio in contemporanea con la creazione della lista Tsipras ha ricevuto nuova linfa monetaria da parte del gruppo editoriale dell’Espresso e della Repubblica…
Sembrerebbe come se, dopo avere affossato il vecchio PCI con la svolta della Bolognina, si sia ora giunti al punto finale della cancellazione dei partiti della sinistra, dopo un ventennio di operazioni che hanno portato il partito di Rifondazione comunista (cioè il gruppo che aveva deciso di continuare gli ideali della sinistra di classe in Italia, dopo la fine del PCI) a vivere una quantità impressionante di scissioni e defezioni, per non parlare della gestione Bertinotti che alternando la simpatia nei confronti delle finte guerriglie urbane condotte da alcune frange di centri sociali (come quelli facenti riferimento a Casarini) alla critica sfrenata nei confronti del socialismo latino-americano, da Cuba al Venezuela, ha finito con l’allontanare chi non si riconosceva in questa nuova linea poco coerente con gli ideali comunisti ed ha distrutto la credibilità politica che pure tale partito si era conquistato nel corso di un decennio di attività.
Ora viviamo un momento in cui i nazifascisti stanno riprendendo piede in Europa in modo preoccupante, con la guerra civile in Ucraina e le alleanze sordide tra le varie fazioni delle destre più retrive; mentre d’altra parte l’avanzata di Renzi (probabilmente causata da una reazione antigrillina, viste le esternazioni semplicemente invereconde del leader del M5S) lo ha reso forte al punto da ribadire che la prima cosa da fare ora sono le riforme istituzionali, l’abolizione del Senato, la riduzione dei parlamentari, ulteriori tagli alle pensioni ed alla spesa pubblica.
Quando il capitalismo opprime i popoli facendosi forte anche del fascismo, gli unici che possono contrastare questa deriva sono i comunisti, e ciò costituisce un ottimo motivo per eliminarli, come si è visto storicamente. Ma quando, in una situazione simile, sono gli stessi comunisti a decidere di eliminarsi da soli c’è evidentemente qualcosa che non funziona.
giugno 2014