MAFIA E GOLPISMO
(con la partecipazione di neofascismo e massoneria deviata).
di Claudia Cernigoi
Nel corso dell’annuale commemorazione della strage di via D’Amelio, svoltasi a Muggia l’11 luglio scorso, abbiamo avuto l’occasione di seguire un interessante intervento di Piergiorgio Morosini, che ha esordito citando le testimonianze di due “pentiti storici” della mafia, Tommaso Buscetta ed Antonino Calderoli. Nel 1992, di fronte alla Commissione parlamentare antimafia, i due hanno asserito che Cosa nostra aveva partecipato, più di vent’anni prima (nel 1969), alla preparazione del tentativo di golpe di Junio Valerio Borghese: il contributo della criminalità organizzata al progetto eversivo sarebbe consistito nella realizzazione di una serie di attentati su tutto il territorio nazionale, in modo da dare vita ad una strategia della tensione finalizzata a dimostrare che l’allora assetto democratico del sistema di potere italiano non poteva reggere in quel preciso momento politico, una fase delicata contraddistinta da una crisi economica e da importanti manifestazioni di piazza, scioperi e scontri.
I due pentiti dissero che Cosa nostra aveva scelto di partecipare al piano golpista perché era per loro necessario trovare nuovi referenti politici diversi da quelli che avevano avuto fino allora: in cambio della collaborazione avrebbero richiesto l’impunità per le loro attività criminose e da quel momento iniziarono ad espandersi fuori dalle loro tradizionali zone d’operazione delle regioni meridionali d’Italia: al nord ed anche oltre confine.
Ci inseriamo nell’analisi di Morosini per approfondire la vicenda dei mancati golpes italiani di quarant’anni fa.
È ormai assodato che gli attentati che insanguinarono l’Italia tra il 1969 ed il 1974 erano prodromici alla realizzazione di un colpo di stato: si doveva creare paura e disorientamento nella popolazione per provocare il terrore delle sinistre, la sfiducia nel governo imbelle ed incapace e per invocare l’intervento di una destra apportatrice di ordine.
Così ad esempio ha testimoniato il neofascista Sergio Calore.
«In merito a quel periodo posso dire che mi fu riferito un discorso relativo al significato degli attentati del 1969 in relazione ai progetti di golpe. Mi fu detto (…) che secondo i programmi il cosiddetto golpe Borghese, che fu tentato nel dicembre 1970, doveva in realtà avvenire un anno prima e che la collocazione delle bombe, nel dicembre ’69, aveva propria la finalità di far accelerare questo progetto comportando nel paese una più diffusa richiesta d’ordine ed il discredito delle forze di sinistra in genere che sarebbero state additate come responsabili o corresponsabili dei fatti. In tutta onestà non sono in grado di dire da chi mi fu fatto questo discorso ma comunque da persona che era esponente di rilievo di Ordine Nuovo» (1).
Prendiamo anche la testimonianza di un collaboratore del Movimento di Azione Rivoluzionaria (MAR) di Carlo Fumagalli (gruppo che operò attentati dinamitardi in funzione eversiva), l’agente del SID Enzo Salcioli, che dichiarò di avere partecipato, nel 1969, ad alcune riunioni che avevano lo scopo di «organizzare un governo parallelo», nel corso delle quali si era parlato di «autunno caldo», e deciso di sferrare «un colpo duro» nel caso accadesse «qualcosa di più di uno sciopero generale»; a queste riunioni avrebbe presenziato anche il comandante del SID (Servizio Informazioni Difesa), il generale Vito Miceli (che anni dopo risulterà negli elenchi della Loggia P2), che però dopo l’uccisione del poliziotto Antonio Annarumma (2), li avrebbe “traditi” non dando l’ordine di agire (3) .
La genesi del tentativo del golpe dell’Immacolata (8/12/70) è stata ricostruita nella Sentenza ordinanza del Giudice Istruttore presso il Tribunale Civile e Penale di Milano Guido Salvini “sull’eversione dell’estrema destra”, emessa nel 1995 e sulla quale ci siamo basati per questo approfondimento.
Nel 1970 i congiurati del Fronte nazionale fondato dall’ex comandante della Decima Mas Junio Valerio Borghese (4) ripresero le riunioni preparatorie al golpe, che videro presenti, oltre al principe nero, i vertici di Avanguardia nazionale, ufficiali di varie armi dell’esercito (tra i quali l’ammiraglio piduista Giovanni Torrisi, che diventerà nel 1980 Capo di Stato maggiore della Difesa), il costruttore Remo Orlandini (P2) e gli armatori genovesi Cameli; tra i finanziatori furono indicati il patron della Montedison Eugenio Cefis (5), il petroliere Monti e l’industriale Piaggio. Inoltre sarebbe stato il massone Carlo Morana a mettere in contatto Borghese con alcune cosche mafiose, che avrebbero inviato alcuni loro emissari a Roma con l’incarico di eliminare il capo della polizia, Angelo Vicari. Gli USA avrebbero garantito il proprio sostegno (l’uomo di collegamento con gli americani sarebbe stato Hugh Fenwich), facendo intervenire a sostegno dei golpisti la flotta da Malta (qui annotiamo che a Malta si trovava Edward Philip Scicluna, uno dei contatti, assieme allo stesso Fenwich, di un altro organizzatore di azioni eversive, l’ex partigiano monarchico Edgardo Sogno, ideatore di diversi tentativi di golpe, ultimo dei quali il cosiddetto “golpe bianco” del 1974 (6)).
La data dell’8 dicembre fu fissata solo pochi giorni prima, il 5 od il 6 e «quasi in ogni regione d’Italia erano stati attivati la notte del 7 dicembre gruppi numerosi e ben armati, dotati delle necessarie coperture e collegamenti e pronti ad intervenire in quello che era tutt’altro che un sommovimento velleitario e da operetta come si è voluto far credere» (7).
Ma questa operazione fu bloccata all’ultimo momento, forse per ordine di Licio Gelli (uno dei primi aderenti al Fronte nazionale, secondo Orlandini che lo definì una “potenza” e “uomo senza scrupoli”) e del quale vari testimoni dissero che avrebbe avuto l’incarico di sequestrare il presidente Saragat (fatto che il Venerabile ha sempre negato). L’ordinovista Andrea Brogi riporta affermazioni di Augusto Cauchi: «Gelli aveva fermato nel 1970 i “ragazzi”, cioè i civili di destra, e i militari sfruttando comunque la situazione per averne vantaggio e cioè per mantenere un forte credito anche dopo la sospensione del golpe» (8).
Secondo altri neofascisti, invece, il golpe non poteva riuscire per la defezione dei Carabinieri (9).
Aggiungiamo che al giornalista Camillo Arcuri, che già a fine estate 1969 aveva raccolto delle informazioni che parlavano di riunioni preparatorie ad un colpo di stato, non fu permesso di pubblicare l’articolo sul quotidiano per cui lavorava, il Giorno, la cui proprietà era della Montedison di Eugenio Cefis.
Nell’organizzazione di questo progetto di colpo di stato troviamo un’impressionante presenza di appartenenti alla loggia P2: oltre a Gelli ed ai già incontrati Orlandini e Torrisi, vanno segnalati il parlamentare missino Sandro Saccucci (10), gli avvocati Giancarlo De Marchi e Filippo De Jorio, i generali Francesco Nardella e Ugo Ricci, che assieme a Salvatore Drago (che aveva fornito le piantine del Ministero dell’Interno dove lavorava) ritroveremo nel progetto di golpe bianco di Sogno del 1974. E va aggiunto a questo elenco il nome di Miceli, che nella sua qualità di dirigente del SID avrebbe dovuto fermare i golpisti, invece diede loro copertura e protezione (ed erano piduisti anche i suoi diretti sottoposti, gli ufficiali Gianadelio Maletti ed Antonio Labruna).
In pratica il progetto golpista (fallito) del 1969/70 aveva visto l’alleanza, non tanto inedita, di neofascisti, piduisti, mafiosi e rappresentanti delle istituzioni statali.
Dopo questo inciso riprendiamo l’analisi di Morosini sulle chiave di lettura della strategia della tensione del 1992 e 1993. Secondo il relatore vi è una prima linea interpretativa che identifica gli attentati come la vendetta dei corleonesi nei confronti di Falcone e Borsellino che avevano fatto condannare i boss, ma egli non la ritiene attendibile perché non spiegherebbe gli attentati del 1993, dato che i due magistrati erano già stati uccisi.
Una seconda interpretazione è quella del tentativo di Cosa nostra di ricatto nei confronti dello Stato, per lucrare vantaggi sulla normativa penale, la gestione dei pentiti e dei patrimoni mafiosi, e cercare un dialogo per cancellare il regime del 41 bis. Morosini non ritiene però credibile neppure questa teoria, dato che la prima applicazione del 41 bis avvenne dopo la strage di via D’Amelio, quindi sarebbe stata proprio la strage a provocare il regime carcerario duro.
La chiave interpretativa corretta sarebbe invece quella della creazione di una nuova strategia della tensione, dato che la situazione politica italiana all’inizio del 1992 era simile a quella del 1969: le vicissitudini politiche seguite alla caduta del muro di Berlino avevano provocato un effetto a catena che portò una grande confusione a livello politico in Italia; e mentre da un lato nel Paese si stavano affermando forze politiche che avevano in programma una sostanziale scissione dell’Italia in tre macroregioni, dall’altra parte l’esplosione di Tangentopoli aveva messo in seria difficoltà i tre maggiori partiti. Il debito pubblico era in grave aumento e le manovre economiche di “lacrime e sangue” del governo Amato (che era giunto addirittura ad operare un prelievo forzato sui conti correnti bancari) avevano creato scontento e proteste sfociate in contestazioni e scioperi.
Il quadro politico era quindi in grande fibrillazione e nei primi tre mesi del 1992 si registrò una serie di piccoli attentati, avvenuti soprattutto nelle regioni meridionali, che misero fortemente in allarme il Capo della polizia ed il ministro degli Interni. In marzo si verificò anche l’omicidio dell’esponente democristiano Salvo Lima ad opera dei corleonesi, il cui movente sarebbe stato “polifunzionale”: nel senso che non era motivato solo dalla vendetta perché Lima non aveva aiutato i mafiosi dal primo processo che si era concluso nel gennaio di quell’anno, ma rappresentava anche un “messaggio” da parte della criminalità organizzata.
Da indagini ed intercettazioni si colse infatti a fine marzo (cioè prima della stagione delle stragi) la notizia dell’esistenza di progetti di destabilizzazione: alcuni pentiti parlarono di una riunione svoltasi ad Enna con la partecipazione di boss mafiosi provenienti da varie regioni e di soggetti che non erano conosciuti come mafiosi. Il pentito Leonardo Messina affermò che si era parlato di un progetto eversivo fatto di attentati per separare e rendere autonoma la parte meridionale d’Italia. E, ha aggiunto Morosini, a distanza di qualche anno magistrati come Vigna e Chelazzi parlarono di “alleanza strategica tra mafia ed altre entità”.
In sintesi, l’interpretazione di Morosini è che la campagna delle stragi del 1992-1994 voleva condizionare la storia del nostro Paese, mascherando questi crimini come vendette e ricatti (del resto, ha aggiunto, Cosa nostra ha sempre compiuto omicidi politici mascherandoli da attentati mafiosi, come nei casi di Piersanti Mattarella e di Carlo Alberto Dalla Chiesa), mentre invece perseguiva un progetto che andò avanti anche dopo la cattura di Totò Riina: e qui, ha chiosato il relatore, si inseriscono anche tutti gli interrogativi sulle modalità dell’arresto del boss, arresto organizzato dall’ufficiale dei Carabinieri Mario Mori con modalità non ancora chiarite (basti pensare alla mancata perquisizione del covo di mafia). E noi ricordiamo che il generale Mori è attualmente ancora sotto processo a Palermo, proprio per la poca trasparenza del suo operato.
Morosini ha concluso il suo intervento (che ha toccato anche molti altri argomenti che per questioni di spazio non riportiamo in questa sede) ribadendo la necessità di continuare a ricercare la verità per trovare chi aveva l’interesse concreto che stava dietro a questi crimini.
Partiamo dalla relazione di Morosini per proseguire l’analisi sulla strategia della tensione vissuta dall’Italia tra il 1992 ed il 1994 (anno in cui, detto per inciso, il piduista Silvio Berlusconi andò al governo e vi rimase, a fasi alterne, fino al 2011).
Parliamo ora delle “leghe” di vario tipo che fiorirono in Italia nel 1992: oltre alla Lega delle leghe (o Lega nazionalpopolare) fondata da Stefano Delle Chiaie (11) (la più importante, sulla quale torneremo più avanti), troviamo leghe massoni, leghe meridionali e leghe neofasciste. Alcune di esse finirono in un’inchiesta della magistratura antimafia di Palermo, che aveva ipotizzato la possibilità di una connessione tra questo leghismo variegato e la stagione delle stragi di mafia del 1992 (l’inchiesta fu archiviata ed è nota con il titolo di Sistemi criminali (12)).
Leggiamo da un articolo di diversi anni fa che «i giudici di Palermo (…) hanno potuto accertare diverse circostanze inquietanti (…) i movimenti leghisti erano stati creati in Sicilia da pericolosi ambienti mafiosi, e in particolare dai sanguinari Leoluca Bagarella, Bernardo Provenzano e dai fratelli Graviano. E che in parallelo si muovevano in tutta Italia nella stessa direzione personaggi della stazza di Licio Gelli, Stefano Delle Chiaie e Giovanni di Stefano, il trafficante legato ad Arkan, fautori e finanziatori di una galassia di leghe locali (…) Nella primavera del 1990 “sbocciano” diverse Leghe “meridionali” per la maggior parte scelgono la stessa sede sociale, lo studio dell’avvocato Stefano Menicacci», che fu più volte candidato con la Liga Veneta e «con un passato di primo piano negli ambienti degli attivisti della destra estrema», legale di Stefano Delle Chiaie e suo socio in un’attività import-export, ma anche legale del leader della Liga Veneta Franco Rocchetta (13)», come leggiamo nella citata richiesta di archiviazione.
Nel frattempo «si muove anche Licio Gelli» ed il 7/5/91 si costituisce a Roma la Lega Italiana «con le firme di Gelli, di un suo ex confratello piduista, il prefetto in pensione Bruno Rozzera, l’ex senatore PSI Domenico Pittella (14), l’ex missino Alfredo Esposito e il pubblicista Enrico Viciconte» (15).
Tra le varie leghe vale la pena di citare il Partito degli automobilisti, fondato a Firenze nel 1989 da un amico di Gelli, Raoul De Fiorino, nel quale c’era anche «Alberto Volo, l’amico di Mangiameli mezzo mitomane e mezzo spione che millanterà la sua appartenenza a Gladio”» (16); ed una Lega Latina, fondata dal neofascista Ugo Gaudenzi, che negli anni ’60 era stato tra i fondatori della sezione italiana della Giovane Europa dell’ex SS belga Jean Thiriart e poi direttore delle riviste referenti dell’area comunitarista (quell’area della destra detta anche nazimaoista, che teorizza, al pari di Delle Chiaie, «un’Europa estesa dall’Atlantico agli Urali») Italia sociale e Rinascita nazionale.
Il 31/1/92 Pittella e Viciconte fondarono la Lega italiana-Lega delle leghe, che si presentò alle elezioni e fu da taluni considerata come una lista elettorale di “disturbo”; ad esempio a Trieste raccolse poco più di 800 voti, che furono però basilari per impedire al candidato della neonata Alleanza Nazionale Roberto Menia (già dirigente del Fronte della Gioventù negli anni ’80 e futuro sottosegretario in uno dei governi Berlusconi) di essere eletto alla Camera.
Il capo carismatico della Lega delle Leghe era il ben noto Stefano Delle Chiaie, che nel corso della campagna elettorale aveva sbandierato orgogliosamente il fatto di essere riuscito ad accomunare nelle proprie fila, oltre a persone chiaramente di destra, anche fuoriusciti della sinistra, ed a Trieste candidò, tra gli altri, l’ex avanguardista nazionale Claudio Scarpa e Marina Marzi, che nel 1990 si trovava assieme all’allora marito Giampaolo Scarpa (fratello minore di Claudio ed avanguardista nazionale come lui) nell’auto guidata da Stefano Delle Chiaie, quando fu coinvolta in un incidente nel quale perse la vita la convivente di Delle Chiaie, Leda Pagliuca Minetti.
Per la cronaca, annotiamo che la presentazione a Trieste del libro autobiografico di Delle Chiaie, organizzata dall’Associazione Novecento di Marina Marzi, si è svolta nel 2012 in un albergo gestito dall’ex missino Sergio Stern, che era «uno dei pochi massoni all’interno dell’MSI triestino (…) capace di esibire un vistoso anello con la squadra ed il compasso», e questa scelta l’avrebbe «spinto a fondare una loggia alternativa», la Tergeste, di cui era maestro venerabile, ed a «fondare assieme ad altri fratelli la Confederazione massonica italiana» (17).
Tornando alle leghe meridionali ed alle indagini di Palermo, il giornalista Silvio Maranzana scrisse che i magistrati stavano indagando «su una connection tra Cosa Nostra, settori della massoneria, personaggi politici e servizi segreti deviati» e che «un’autorevole testimonianza tira in ballo Trieste. La fonte sostiene che settori della massoneria del Triveneto avevano deciso di esportare a Palermo l’esperienza del Melone… quello della Lista per Trieste veniva infatti considerato un esempio di autonomismo precedente al fenomeno leghista» (18).
Ed ancora: «Delle Chiaie (…) è stato visto almeno un paio di volte nei pressi del Circolo studi indoeuropei che aveva sede in via Crispi 35 e organizzava tra l’altro conferenze sui Celti» (19).
Prendiamo nuovamente in mano la sentenza Sistemi criminali:
«Nel contempo, si rilevano rapporti della Lega Meridionale con personaggi legati agli ambienti eversivi della destra. In pubbliche manifestazioni (come ad es. quella di Roma del 6 giugno 1990 intitolata “Un indulto per la pacificazione nazionale”) con il Lanari (20) intervennero soggetti quali Adriano Tilgher (esponente di Avanguardia Nazionale), l’avvocato Giuseppe Pisauro (legale di Stefano Delle Chiaie), Tomaso Staiti Di Cuddia (21), i fratelli Andrini Stefano e Germano (militanti dell’organizzazione di estrema destra Movimento Politico Occidentale di Boccacci Maurizio, molto legato a Stefano Delle Chiaie) ed esponenti degli Skin heads romani, tra cui Mario Mambro (fratello di Mambro Francesca ed esponente del Movimento Politico Occidentale). Ed il Lanari, nel suo intervento, manifestò disponibilità ed interesse verso il progetto politico di organizzazione delle leghe meridionali al quale si era dedicato Stefano Delle Chiaie in quel periodo (cfr. informativa DIA n. 3815/98 del 31/1/1998)» (22).
Questi rapporti trasversali non sono venuti meno negli anni, come vediamo facendo un salto in avanti in tempi molto più recenti, e cioè al 2013, dopo le elezioni politiche che videro l’affermazione del Movimento 5 stelle fondato da Beppe Grillo e dopo la cosiddetta “rivolta dei forconi” del dicembre successivo.
Scrisse l’avvocato Vincenzo Forte, già dirigente del MSI e di Unione patriottica, poi dichiaratosi «elettore del Movimento 5 Stelle», che nel M5S in Lombardia furono eletti quattro candidati (un consigliere regionale e tre parlamentari, dei quali però non fece il nome) che fino al 2002 avevano militato nella Fiamma tricolore di Pino Rauti e che poi avevano «mantenuto saldi contatti con l’area della destra radicale», aggiungendo che «non si tratta affatto di singoli casi isolati ma di un fenomeno molto più ampio, profondo e radicato» in quanto si tratterebbe di «una precisa strategia di intrusione nel movimento grillino, attentamente studiata ed organizzata, a tavolino, e portata avanti, nella massima riservatezza e discrezione, da alcuni gruppi neofascisti locali, legati all’ex capo carismatico di Avanguardia nazionale, Stefano Delle Chiaie» (23).
Ritroviamo quindi nuovamente il fondatore di Avanguardia nazionale e della Lega delle Leghe, che nello stesso periodo fu segnalato anche dal direttore del servizio AISI, generale Arturo Esposito, chiamato dal Comitato parlamentare di controllo sui servizi a «riferire sui forconi ma pure sul rischio di nuovi attentati mafiosi in Sicilia», il 12/12/13, dopo le manifestazioni del Movimento 9 dicembre, nel quale (secondo le informazioni dei servizi) vi sarebbe stato «di tutto. Diverse tifoserie ultras, specie nel centro Italia e a nord, i fondatori del movimento dei forconi siciliano che due anni fa bloccò l’isola, ma anche organizzazioni di ultradestra più radicate. Casapound, che a settembre, nel corso della festa romana dell’organizzazione, ha invitato gli attivisti a partecipare al movimento e che, insieme a Forza Nuova, può contare su una organizzazione ben radicata nelle scuole, il Blocco Studentesco»; e tra «i nomi evidenziati dagli analisti c’è anche quello di Stefano Delle Chiaie, fondatore di Avanguardia nazionale, processato e sempre assolto per le stragi di Bologna e piazza Fontana oltre che per i rapporti coi golpisti sudamericani. Pur non avendo alcun ruolo attivo nelle mobilitazioni di queste giorni, Delle Chiaie sarebbe ancora un punto di riferimento per quella parte di estrema destra che specie nel centro sud Italia prende parte alla mobilitazione» (24).
Forse non è un caso a questo punto che anche Tomaso Staiti di Cuddia abbia deciso, dopo anni di attività politica nella destra più estrema, di dare il proprio voto alla lista di Grillo con queste elevate motivazioni politiche:
«voto Grillo, senza alcuna speranza ma usandolo come si userebbe la dinamite contro questo sistema divenuto una casa fatiscente che è meglio abbattere perché non si può più restaurare essendo piena di topi e scarafaggi» (25).
E parlando di fatti ancora più recenti, dopo la repentina ascesa al potere di Matteo Renzi, salutato dal Venerabile Gelli come il politico più adatto per il momento storico italiano, abbiamo visto che l’attuale governo sorretto da una cogestione tra Partito democratico ed ex Polo della libertà, è riuscito finora, pezzetto dopo pezzetto, a demolire buona parte dei diritti civili sanciti dalla Costituzione italiana, a cominciare dalla riforma elettorale (l’eliminazione del Senato come organo elettivo ricorda molto quanto previsto dal Piano di rinascita democratica della P2), per proseguire con la distruzione della scuola pubblica, le leggi sul lavoro che tolgono diritti ai lavoratori, e via di seguito (e non è ancora finita). E non va dimenticato che è stato proprio Renzi a ripescare, rilegittimandolo, il rottamato piduista Berlusconi dopo le condanne penali da lui subite e la debacle elettorale.
Consigliamo infine ai nostri lettori due approfondimenti: il ripasso del Piano di rinascita democratica (reperibile in rete) ed il romanzo “Strage” di Loriano Macchiavelli, edito da Einaudi.
NOTE.
1) Interrogatorio del 21/10/91. Calore aveva partecipato al movimento Costruiamo l’azione di Paolo Signorelli; passato alla lotta armata, fu arrestato nel 1979 ed iniziò a collaborare con la giustizia nel 1985. Fu brutalmente ucciso in circostanze non del tutto chiarite il 16/10/10.
2) Della morte di Annarumma, avvenuta durante gli scontri del 19/11/69 a Milano, furono accusati i manifestanti del movimento studentesco ma successivamente si accertò che lo sfortunato agente era rimasto vittima di uno scontro tra gipponi che facevano i caroselli in mezzo agli studenti.
3) Intervista pubblicata sul Corriere del Ticino, 17/1/75.
4) Borghese era stato processato per crimini di guerra e collaborazionismo, ma la sentenza di condanna fu calibrata dalla corte in modo da farlo uscire di prigione dopo avere scontato la carcerazione preventiva.
5) Cefis fu l’addetto del SIM (Servizio Informazioni Difesa) badogliano nella Divisione Val Toce durante la Resistenza, divisione in cui sembra avere militato anche il futuro ufficiale dei Carabinieri, comandante la Divisione Pastrengo di Milano, il piduista Giovambattista Palumbo; di Cefis (che aveva avuto delle divergenze sulla gestione dell’ENI con Enrico Mattei prima dell’incidente mortale di quest’ultimo) si disse che sarebbe stato il vero fondatore della Loggia P2.
6) «Il colpo va organizzato coi criteri del Blitzkrieg sabato, durante le ferie, con le fabbriche chiuse e le masse disperse in villeggiatura. L’azione va preparata alla maniera indonesiana, cilena, greca, peruviana, brasiliana (cioè un massacro? n.d.a.) (…) dev’essere un golpe di destra con un programma avanzato di sinistra», dichiarò il complice di Sogno, Luigi Cavallo, nel corso dell’istruttoria condotta dal giudice torinese Luciano Violante (si veda “Il terrorismo e le sue maschere”, a cura di G. Flamini, Pendragon 1996, p. 49).
7) Sentenza Salvini 1995, cap. 34.
8) Sentenza Salvini 1995, cap. 34.
9) Audizione di Paolo Aleandri in Commissione parlamentare P2, 9/2/84Sentenza Salvini 1995, cap. 34.
10) Nel 1976, a seguito di disordini durante un comizio elettorale di Saccucci, dall’auto nella quale si allontanava furono sparati alcuni colpi di pistola che uccisero un giovane comunista e ne ferirono un altro, ma dopo una decina d’anni (nel frattempo si era reso latitante in Argentina) Saccucci fu prosciolto dall’accusa, grazie alla difesa dell’avvocato Carlo Taormina,.
11) Fondatore di Avanguardia nazionale, Delle Chiaie è uscito indenne da tutte le indagini sullo stragismo e la strategia della tensione in cui fu implicato.
12) Proc. pen. n. 2566/98 RGNR della Procura di Palermo nei confronti di GELLI Licio + 13 (tra i 13 troviamo anche Stefano delle Chiaie).
13) L’ex ordinovista Franco Rocchetta (sottosegretario nel governo Berlusconi del 1994) fu tra i partecipanti ad un soggiorno di studio sulle tecniche di infiltrazione nella Grecia dei colonnelli (1968) assieme, tra gli altri, a Delle Chiaie, all’infiltrato tra gli anarchici romani Mario Merlino ed un altro mancato golpista, l’esponente del Fronte nazionale Adriano Tiglher.
14) «Condannato a 7 anni di carcere per aver onorato il giuramento di Ippocrate, operando nella sua clinica di Lauria la brigatista Natalia Ligas ferita in un conflitto a fuoco», scrive Ugo Tassinari, (“Fascisteria”, Castelvecchi 2001, p. 485). Domenico Pittella è padre del politico del PD Gianni Pittella, che fu vicepresidente del Parlamento europeo fino al 2014.
15) Le citazioni sono tratte da Vincenzo Vasile, “Le amicizie imbarazzanti di Bossi”, l’Unità 31/7/01.
16) U. Tassinari, op. cit., p. 484.
17) Pietro Comelli e Andrea Vezzà, “Trieste a destra”, Il Murice 2013, p. 187.
18) Nel simbolo della Lista per Trieste appare il melone di pietra con l’alabarda, emblema cittadino, da cui il soprannome. Noi aggiungiamo che tra i fondatori di questo movimento politico (nato nel 1977) vi furono anche diversi esponenti della massoneria triestina.
19) S. Maranzana, “Un Melone esportato in Sicilia”, Il Piccolo 26/5/98.
20) Egidio Lanari, definito «l’avvocato della P2» era il difensore del sindaco di Palermo (e di Cosa nostra…) Vito Ciancimino.
21) Più volte parlamentare missino, Staiti di Cuddia ha nel 2012 aderito al Movimento Zero di Massimo Fini (assieme a diversi altri vecchi arnesi della destra più o meno eversiva, come l’ex mancato golpista con Borghese Alberto Mariantoni ed il fondatore di Costruiamo l’azione Paolo Signorelli).
22) Proc. pen. n.2566/98 RGNR, cit.
23) http://www.nuovaresistenza.org/2013/03/01/m5s-4-neofascisti-eletti-con-beppe-grillo-voceditalia-it/#ixzz2QSrs3p9B.
24) http://www.ilmessaggero.it/PRIMOPIANO/CRONACA/forconi_servizi_allarme_estrema_destra_delle_chiaie/notizie/403990.shtml#.
25) http://www.bresciatoday.it/politica/elezioni/politiche-2013/estrema-destra-beppe-grillo-tomaso-staiti.html.