“Nel 1993 la Massoneria dei due mondi, Europa e America, cambia le regole e abbandona l’ideologia di partito”
di Aaron Pettinari
“Nel 1993 i vertici dei due mondi, Europa ed America, organizzano un’importante tornata massonica di obbedienze, particolarmente riservate. Non c’erano solo le logge ma, diciamo, gli ordini cavallereschi, i sistemi di potere. E questa viene organizzata in una casa vescovile di Santiago di Capo Verde. Vengono decise le nuove regole. Non volevano più ideologie di partito di destra o di sinistra. ‘Non dobbiamo essere schiavi dell’ideologia – dicevano – tanto ci siamo noi che dominiamo i porti, le borse e la finanza, quindi non importa quale sia il gruppo dirigenziale”. E’ questo uno dei passaggi della testimonianza odierna del collaboratore di giustizia Cosimo Virgiglio, sentito durante il processo ‘Ndrangheta stragista, in corso a Reggio Calabria di fronte alla Corte d’assise, che vede imputati i boss Rocco Santo Filippone e Giuseppe Graviano.
Ex imprenditore, ex doganalista, ex uomo di fiducia del boss Rocco Molè (elemento di spicco del clan Molè-Piromalli), ex massone, ex collaboratore del Sisde all’interno del Porto di Gioia Tauro, rispondendo alle domande del procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo, ha ripercorso i vari ruoli che ha rivestito in questi anni fino a quando, dopo l’arresto nel dicembre 2009, ha deciso di offrire un contributo alla magistratura.
L’ingresso nella massoneria
La sua storia parte da lontano quando, da studente universitario a Messina viene inserito all’interno della massoneria tra la fine degli anni Ottanta ed i primi anni Novanta. “E’ nel 1992 che entro per la prima volta a far parte dell’obbedienza massonica all’interno del Goi (Grande Oriente d’Italia). Venni iniziato all’interno di un tempio massonico improvvisato nella zona del Papardo. Quell’esperienza però durò poco. Quando il magistrato di Palmi, Agostino Cordova, avviò la sua inchiesta sulla massoneria ci arrivò la soffiata dall’interno del suo mondo e nottetempo arrivò l’ordine di bruciare tutti gli archivi. Perché non c’era fiducia nel gran Maestro Di Bernardo“.
Dopo quell’esperienza, vissuta tramite il nobile messinese Carmelo Ugo Aguglia, Virgiglio riesce ad entrare nella loggia del Santo Sepolcro. “E’ un ordine interno dello Stato Vaticano – ha spiegato alla Corte – a capo ha un cardinale che è ordinato dal Santo Padre ed ha un sistema gerarchico preciso con dame, cavalieri e segue l’ideale di promuovere opere pie verso la terra di Gerusalemme. In realtà, però, vi sono anche sistemi perversi di quell’ordine cavalleresco”. Dentro a quella struttura, secondo quanto riferito dal teste, a Messina vi erano uomini di peso come “Elio Matacena, Franco Sensi, ed altri personaggi del settore giornalistico. Si instaura un rapporto di fratellanza molto forte che va al di là della semplice aggregazione di un ordine associativo”. Ma era a Roma che l’Ordine aveva il suo centro, e la figura di spicco era quella di Giacomo Maria Ugolini. “Anche Ugolini partecipò all’incontro del 1993 e c’erano anche altri personaggi, come l’imprenditore Ligresti, Caltagirone, Don Elio Matacena, il cardinale Fisichella, l’ambasciatore nicaraguense Robelo ed anche la rappresentanza Usa – ha proseguito il teste – in quel periodo c’era il caos in Italia; in Sicilia c’erano stati gli attentati ed anche l’avvocato Leone di Roma, che curava gli interessi politici massonici e criminali, era caduto nella rete di tangentopoli. Così in quell’incontro vennero date una serie di linee guida. Si disse che non si doveva più identificare un potere politico dettato solo dalla Chiesa di Roma, ovvero la Dc. Non interessava più se chi vinceva era di destra o di sinistra ma interessava accorpare il potere. E’ in quel periodo che viene anche deciso di non iniziare più magistrati nella massoneria. I vecchi magistrati che già c’erano sono rimasti ma si preferiva inserire gli avvocati che avrebbero comunque potuto corrompere i magistrati. Queste cose io le apprendo da Ugolini”.
La loggia dell’Eroe dei due Mondi
Nel suo percorso all’interno delle varie massonerie Virgiglio, attorno al 2002 e fino al 2006, si è trovato a compiere un ulteriore passo diventando un maestro venerabile della loggia “Eroe dei due mondi” a Reggio Calabria. “Questa loggia aveva il ‘maglietta pulito’, era inserita nell’obbedienza dei ‘Garibaldini d’Italia’ ed era confederata con la loggia Alliata di Roma – ha spiegato ancora il teste – la definisco pulita perché era più rispettosa della legge Anselmi. Così finisco dentro il Sistema Ugolini”.
Il Sistema Ugolini
Ma in cosa consiste questo “sistema”? Virgiglio lo ha spigato nei minimi particolari: “E’ un sistema formato da persone molto potenti a livello internazionale, ricordo l’ambasciatore del Nicaragua ma anche l’ambasciatore Usa, altri cardinali eccellenti, ed altri personaggi. Questo sistema teneva una relazione con le mafie e si occupava di mettere al sicuro, con un sistema sofisticato di investimenti, immobiliari o finanziari, i soldi della criminalità organizzata, sia siciliana che calabrese. In cambio di questa opera di riciclaggio si otteneva il pacchetto di voti in base a chi il sistema decideva di appoggiare”.
Il collaboratore di giustizia ha spiegato che anche i Molè-Piromalli hanno aderito a questo sistema: “Ciò è avvenuto tramite i Cedro di Gioia Tauro, c’era un problema per un cambio di denaro da 500 miliardi di vecchie lire che dovevano essere sostituite fuori tempo in euro. E per farlo si sono appoggiati all’ambasciatore del Nicaragua che aveva il figlio in Svizzera, anche lui ambasciatore. Rocco Molè mi disse che la cosa andò in porto anche se ci rimisero la metà dei soldi. Io avevo assistito all’incontro tra Cedro, e Boccardelli che era il ‘segretario’ ed accompagnatore di Ugolini”.
Gli affari nel porto di Gioia Tauro
Rispondendo alle domande del pm Lombardo, Virgiglio ha anche parlato degli interessi criminali che si sviluppano all’interno del porto di Gioia Tauro, ovvero uno degli scali più importanti del Mediterraneo. “Quando chiesi protezione a Rocco Molè per alcuni attentati subiti con la mia società in cambio dovetti far passare dei container provenienti dalla Cina e contenenti merce contraffatta – ha spiegato – Io avevo la possibilità di far passare la merce senza problemi in maniera documentale, mentre per quanto riguarda la corruzione del personale provvedeva lo stesso Rocco Molè grazie ai suoi rapporti”.
Il teste ha ricordato i rapporti intrattenuti con diversi soggetti che lavoravano all’interno del porto, alla Dogana e nella Guardia di Finanza. “Io conoscevo tante persone e Molè aveva le sue conoscenze – ha aggiunto ancora – in un’occasione ricordo che si rivolse a quello che all’epoca era il direttore dello Svad e al personale delle forze dell’ordine. Aveva una rete molto articolata. Ma le sue conoscenze e le mie rimasero sempre separate. Ricordo in particolare un’occasione in cui la Guardia di Finanza di Monopoli, arrivata al porto di Gioia Tauro, aveva fatto bloccare erroneamente un container di merce contraffatta di Molè. Lui, togliere un suo uomo, fece arrivare al porto l’ex capitano del Noe e poi appartenente alla Dia, il quale cercò di organizzare lo svincolo del container tramite il direttore dello Svad, anche se non vi riuscì. Si trattava del capitano Saverio Spadaro Tracuzzi”. Quest’ultimo, tra l’altro, è un nome noto agli inquirenti che fu anche arrestato per i suoi rapporti con la famiglia Lo Giudice. “Io non l’avevo mai conosciuto, lo feci in quell’occasione. Mi informai con l’allora direttore delle dogane Aldo Fracchetti e mi disse che era una persona che aveva favorito ed avallato traffici di rifiuti tossici al porto di Gioia Tauro”.
Quella collaborazione con il Sisde
Virgiglio ha anche raccontato che dal 2001 fino al 2007 ebbe un rapporto di collaborazione con il Sisde, partecipando anche in prima persona ad alcune attività di controllo sempre in merito ai passaggi delle merci all’interno del porto di Gioia Tauro. “Questi contatti erano pregressi ai tempi della mia affiliazione nella massoneria – ha detto il collaboratore ricordando che nel contesto massonico di Roma con il conte Ugolini vi era anche Nicolò Pollari (ex capo dei servizi, ndr) – Fui investito di questo compito a seguito dell’incontro con un maggiore della Guardia di Finanza che incontrai a Roma. C’erano anche un finanziere, tale Giacomo Venanzio e un maresciallo dei carabinieri, entrambi appartenenti ai servizi. Mi dissero che sul porto bisognava dare una mano allo Stato per quanto riguardava il passaggio delle armi. Mi si chiese la cortesia di valutare movimenti strani di container che riguardavano situazioni sensibili a livello militare. C’era pure una rappresentanza americana e io dovevo comprendere cosa stesse succedendo. Quando mi riferisco alla rappresentanza Usa, intendo dire due ragazzi che abitavano a Vibo Valentia e che con dei sistemi tecnici, effettuavano dei controlli. Erano appartenenti ai servizi di sicurezza americani e li ho conosciuti personalmente. Ovviamente, con la scusa che ero un doganalista andavo nei piazzali durante queste visite. Ed ero vicino a loro nel secondo gate, dove i contenitori venivano portati per essere sottoposti a visita scanner o fisica e quindi accadeva che vi fosse uno svuotamento totale, parziale o solo una ispezione visiva”. Il teste ha dunque riferito di un’occasione in cui i due soggetti americani si trovarono a controllare un container. “Ci fu un contenitore che era in trashipment e quindi doveva solo essere scaricato e poi ricaricato su un’altra nave – ha ricordato – Secondo il controllo degli americani quel container poteva passare tranquillamente. Invece il funzionario della Dogana lo bloccò perché volle fare una visita fisica. Fece un primo controllo con lo scanner e notò che vi erano divani. Ma dopo i primi due metri, il container appariva totalmente vuoto. La cosa era piuttosto anomala. Il funzionario disse che la cosa non gli tornava e quando chiese agli operai di svuotarlo, arrivò l’intero corpo della Maersk e riferì che il contenitore avrebbe perso l’imbarco, perché la nave stava mollando gli ormeggi. Io ero in contatto telefonico con Venanzio e gli riferivo tutto quello che stava avvenendo. Dopo il cambio turno, nel pomeriggio, tornai con la mia auto e, con la scusa che il funzionario doveva fare una visita ai miei container, ci accorgemmo che quel contenitore non c’era più, ignorando addirittura un blocco doganale”. In quell’occasione, a detta del teste, sarebbe stato fatto anche un esposto in Procura, ma come è finita quella vicenda non è dato saperlo. I rapporti con i servizi si sarebbero poi conclusi nel 2007 quando coloro che lo avevano contattato, in un incontro alla Stazione Termini, gli dissero: “Dobbiamo sganciarci, le cose stanno cambiando”.
Stato parallelo
Nel suo racconto il collaboratore ha di fatto tracciato un quadro sull’esistenza di uno Stato parallelo. “Ogni soggetto aveva il suo poter – ha detto Virgiglio – Le mafie avevano i soldi, poi c’era chi controllava gli idrocarburi, chi i traporti marittimi, chi i finanziamenti, quindi il consenso elettorale. In questo sistema il denaro rappresenta un potere perché poi ti fanno acquistare uomini, armi e ti fanno vincere le battaglie. Per questo per Molè si poteva anche essere arrestati ma la prima cosa era proteggere i soldi”.
Una figura di rilievo all’interno della struttura è quella di Nino Gangemi, nipote di Nino Molè. A detta del teste “lui era il consigliere di Mommo Piromalli, a capo della ‘Ndrina. E i Piromalli sapevano che era ‘sempre cosa buona e giusta’ prendere i consigli di Gangemi. E’ lui che si siede sui tavoli di tutte le consorterie della criminalità organizzata e riesce anche ad evitare faide”.
Le devianze massoniche
Proseguendo l’esame Virgiglio è tornato a parlare nuovamente della massoneria e dei legami con le criminalità organizzate. Così ha raccontato che accanto alla loggia “pulita”, “con professionisti di un certo grado culturale e dalla fedina penale limpida” vi era una parte “ombra”. Questa devianza si divide in due categorie, quella dei “Sussurati all’orecchio” ed i “Sacrati sulla spada”. “I primi – ha riferito il collaboratore – sono soggetti che non hanno cariche politiche e che non gradiscono essere pubblicamente indicati come massoni. I loro nomi li conosce solo il Serenissimo Gran Maestro così come riservati sono i nomi dei ‘Sacrati sulla spada’ che, pur essendo meritevoli della conoscenza non fanno parte della loggia ufficiale perché contrastanti con la legge Anselmi. Chi ne fa parte? Iscritti alla vecchia P2, soggetti condannati penalmente, condannati per 416 bis, ‘ndranghetisti. Alcuni di questi soggetti mi sono stati rivelati dal Serenissimo”. Tra questi, ad esempio, vi era Luigi Sorridenti, nipote di Peppino Piromalli. Virgiglio ha raccontato anche che quest’ultimo, assieme al medico Franco Labate (a suo dire massone ‘Sacrato sulla spada’ ed indicato come un uomo di fiducia della famiglia Barbaro), si sarebbe anche recato nel 2005 a Villa Wanda da Licio Gelli per ricostruire il ‘vecchio potere’. “E’ da lì che nascono ‘i Templari’. Templari che poi arrivano verso Ugolini tramite i Cedro, tanto che in un primo momento vennero anche riconosciuti da noi. Ma ci avevano celato che dietro a questa iniziativa c’era Gelli che chiamavamo ‘il Brontosauro’. Dentro a questo ordine c’erano personaggi belli, brutti e cattivi. Ugolini capisce che dietro c’era la ‘Ndrangheta che voleva riciclare denaro, anche costruendo crediti cooperativi, banche. Ma quando comprende che dietro c’era Gelli ne prese le distanze”. Non prese le distanze dai boss mafiosi, però, tanto che poi avrebbe favorito quel riciclaggio di denaro verso la Svizzera.
La Santa, una “polvere esplosiva di potere”
Infine il teste ha anche parlato della “dote della Santa”. “Esiste già dagli anni Ottanta. E’ un varco che la massoneria crea all’interno della ‘Ndrangheta. Una ‘breccia Porta Pia’. Era un modo in cui la parte riservata massonica avrebbe veicolato l’interesse verso il potere confrontandosi con una persona appartenente alle logiche criminali. Per noi i ‘santisti’ sono quelli che hanno la giacca, la cravatta e la laurea. Il capo deve nominare una persona capace di interfacciarsi con certe logiche e deve essere un insospettabile. In genere queste figure sono rappresentate da medici o avvocati. Svolgevano un ruolo di cerniera. L’input per aprire questo varco lo diede proprio Nino Gangemi. Cosa diventa questo sistema di potere? Qualcosa di assoluto nel Paese. Perché la massoneria, già capace di gestire i porti, le finanze, i posti di rilievo ed il pacchetto elettorale, arriva ad avere il potere economico delle criminalità organizzate. Unendosi diventa una polvere esplosiva di potere”.
I rapporti con Cosa nostra
Ultimo tema affrontato ha riguardato i rapporti tra certi sistemi di potere e Cosa nostra. Al collaboratore risulta, ad esempio, che Nino Gangemi fosse in contatto con la mafia siciliana, ricavando il dato da quanto gli disse Pino Speranza quando gli chiese di accompagnarlo in un luogo dove si incontrò con la sorella di Pippo Calò. “Nino Gangemi era morto – ha detto il teste – e Speranza mi disse che volevano incontrare il fratello Mimmo perché volevano proseguire i rapporti che avevano con Nino”. Un altro aneddoto riguarda, invece, Ugolini: “In un’occasione mi disse di aver ricevuto due cani in regalo da Bernardo Provenzano. Erano due cani particolari”.
Infine ha parlato delle stragi. “Sempre con Pino Speranza seppi che Gangemi non era contento delle stragi in Sicilia. Disse proprio che era la ‘cavolata più grossa che potevano fare’. Il riferimento, se ricordo bene, era alla strage di Falcone. Gli attentati ai carabinieri? Nei nostri ambienti non vi fu alcun commento”.
Dossier Processo ‘Ndrangheta stragista
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15 Febbraio 2019