Il prossimo 20 ottobre prevista audizione di Graviano
di Aaron Pettinari
“L’omicidio Ilardo? Sono un testimone oculare”. “Perché fu ucciso? In un primo momento si diceva che la causa era un ammanco di denaro, poi che in qualche modo era coinvolto nell’omicidio dell’avvocato Famà e nell’omicidio di Carmela Minniti (moglie di Nitto Santapaola, ndr). Poi, andando in fondo Roberto Vacante (marito di Irene Grazia Santapaola, figlia di Salvatore, deceduto nel 2003, quest’ultimo fratello di Benedetto, ndr) mi disse che Ilardo era stato ucciso perché era confidente e stava diventando un collaboratore. Per questo fu soppresso. Un ordine che veniva da Caltanissetta”. Sono queste alcune delle risposte che Eugenio Sturiale, collaboratore di giustizia catanese, ha fornito oggi in aula al processo trattativa Stato-mafia, che è ripreso di fronte alla Corte d’assise di Palermo. Sturiale ha anche chiarito il nome dell’ufficiale di polizia giudiziaria con cui Ilardo parlava: “Era a disposizione del colonnello dei carabinieri Riccio, dei Ros o della Dia”.
Proprio grazie alle dichiarazioni di Sturiale, nel 2010, la Procura di Catania aveva riaperto l’indagine sulla morte di Ilardo. Un’inchiesta che ha portato ad un processo ed alla condanna in primo grado all’ergastolo nei confronti di Giuseppe ‘Piddu’ Madonia e Vincenzo Santapaola, (accusati di essere i mandanti), Maurizio Zuccaro (cognato di Santapaola ed accusato di essere l’organizzatore del delitto), e Benedetto Cocimano, componente del gruppo di fuoco.
“Io sono un testimone oculare – ha ribadito anche oggi in aula – perché ero vicino di casa di Ilardo.
La sera che fu ucciso io ero sorvegliato speciale e non tornai a casa. Già giorni prima c’erano state delle avvisaglie perché avevo visto dei personaggi che sapevo essere membri di un gruppo di fuoco e li vidi sotto casa mia. Per questo non rientrai. Il tempo di nascondermi e vedere se erano andati via che vidi Ilardo posteggiare vicino casa sua, poi ecco sei-sette colpi di pistola. Tornai a casa e con la scusa di portare fuori il cane chiesi a mia moglie di uscire per andare a vedere. Mi disse che Gino Ilardo era morto”.
Rispondendo alle domande del pm Vittorio Teresi (presente in aula assieme ai sostituti procuratori nazionali antimafia Nino Di Matteo e Francesco Del Bene), il collaboratore di giustizia catanese, che dal 2000 aveva anche avviato un rapporto di confidenza con la Dia in particolare con Mario Ravidà, ha anche ricordato che in Cosa nostra “si era sparsa la voce che Maurizio Zuccaro era sbirro”. “Non ci si spiegava come fosse possibile che nonostante le condanne riuscisse sempre ad ottenere i domiciliari – ha spiegato – Una volta un funzionario della Dia mi disse che aveva delle coperture molto in alto. Anche con esponenti dei servizi segreti”. Il pentito ha anche parlato di un episodio che apprese da tal Marcello Fazio. “Quando Zuccaro era in carcere stava per cedere ma gli arrivò un messaggio, tramite la moglie, da certi soggetti del tipo ‘digli a tuo marito di non creare problemi… e che insomma… e che neanche si pensi che siamo stati noi perché finisce male’. Questo mi fu confermato anche dalla Dia”.
Sturiale ha anche riferito delle divisioni interne a Cosa nostra sulle stragi: “Enzo Santapaola mi spiegava che come famiglia aveva portato una linea più morbida e criticavano quella più cruda, interventista ed eclatante. Comunque c’erano delle pressioni”. Pressioni che, secondo quanto detto dal teste, avrebbero anche portato alla morte l’ispettore capo di polizia, Giovanni Lizzio.
Quindi ha riferito quel che si diceva tra le famiglie catanesi su Rosario Pio Cattafi (“Santapaola diceva che ‘trasformava la spazzatura in oro’. Aldo Ercolano, invece, che era un personaggio estremamente importante inserito nelle istituzioni e con i servizi deviati e che poteva sistemare i processi”) e sulla latitanza di Nitto Santapaola.
“Che io ricordo – ha dichiarato – senz’altro l’ha trascorsa a Mazzarrone (in provincia di Ragusa) a Gaggi vicino Taormina, ma anche a Barcellona Pozzo di Gotto, lì attorno. Ma anche nelle camapgne calabresi vicino Locri”.
Alla specifica domanda su chi favoriva la latitanza di Santapaola a Barcellona Pozzo di Gotto il teste ha risposto: “Da quel che so stavano per arrestarlo poi successe un caos, spararono in aria. Questo me lo disse Enzo Santapaola nel 1993 dopo i fatti. Disse che appartenenti delle forze dell’ordine che lo coprivano avrebbero fatto in modo di non farlo catturare sparando colpi in aria, questo per farlo scappare”. Quali forze dell’ordine? “Disse Carabinieri”.
Fissata l’audizione di Graviano
Il Presidente Montalto ha poi stabilito il nuovo calendario d’udienza. Il 19 ottobre verranno sentiti i periti Maio e Caiozzo che hanno trascritto le intercettazioni in carcere tra il boss Giuseppe Graviano ed il compagno di socialità Michele Adinolfi. Il giorno successivo, invece, tramite videocollegamento ad essere audito dovrebbe essere proprio il boss di Brancaccio. Difficile prevedere se Graviano si avvarrà della facoltà di non rispondere facendo valere il suo status di “indagato di reato connesso”. Al processo sono già state acquisite le intercettazioni in cui Graviano, tra le altre cose, parla di Silvio Berlusconi, ma anche delle modalità di concepimento del figlio, avvenuto quando il boss era già in detenzione col regime del 41 bis. Nell’udienza del 22 settembre il sostituto della Procura nazionale antimafia, Nino Di Matteo, aveva spiegato il capitolato di prova per cui si chiedeva l’audizione: “L’esame di Graviano attiene alla contestazione che ha subito con l’avvio di questo processo, e cioé di avere partecipato con più condotte alla violenza e alla minaccia al corpo politico dello Stato. Porremo domande a Graviano sulle ragioni che portarono alle stragi del 1992 e del 1993, sui contatti tra soggetti esterni e cosa nostra, se ci furono, e come e in cosa questi abbiano agito ed influito. Porremo anche domande sul concepimento del figlio Michele e del nipote (figlio di Benedetto), in particolare sulle modalità, sui tempi”.
12 Ottobre 2017