Il fratello di Riccardo Magherini e il suo legale, Fabio Anselmo, stanno presentando con Luigi Manconi le immagini inedite dell’ennesimo episodio di malapolizia.
di Checchino Antonini
Di nuovo le foto di un corpo straziato sbattute sulla grande rete, sulle pagine dei giornali, ad affiorare dai tablet dei pendolari, sugli schermi dei tg di prima serata. La decisione estrema di una famiglia di fronte all’atroce incredulità di chi dovrebbe indagare sulle ragioni di quella morte. Come furono costrette a fare Ilaria Cucchi, Patrizia Adrovandi, Lucia Uva, e altre donne, oggi è Andrea Magherini, fratello di Riccardo, a mostrare le immagini dell’ex calciatore morto il 3 marzo a Borgo San Frediano, a Firenze, dopo essere stato bloccato dai carabinieri in seguito a una crisi di panico, secondo la procura provocata dall’assunzione di cocaina. Secondo alcune testimonianze, due dei quattro carabinieri intervenuti avrebbero dato dei calci a Magherini mentre era a terra, ammanettato a faccia in giù, con le braccia dietro la schiena e a torso nudo. I video e le foto sono appena stati presentati in Senato in una conferenza con Luigi Manconi e Fabio Anselmo, appena nominato legale della famiglia. Sono le immagini e le voci di un fermo violento in una strada di Firenze. La vittima che grida ripetutamente aiuto. I carabinieri su di lui, le manette ai polsi, l’ambulanza senza un medico.
Ma perché pubblicare foto così crude? Perché partecipare – involontariamente, certo – alla spettacolarizzazione indotta dal modo di fluire della comunicazione? Per inceppare il meccanismo scattato immediatamente dopo la morte di Magherini. Manconi si riferisce a lui e a uomini morti in questo modo come persone dalla «doppia morte», uccise dalla morte violenta e poi uccise con un’operazione di riscrittura della propria biografia, «enfatizzando o inventando elementi che possano compiere l’opera di degradazione della vittima». Ecco perché Popoff pubblica le foto dell’autopsia di Riccardo Magherini, sebbene sia stata condotta in modo «così approssimativo e superficiale», dice ancora Manconi, da dover essere ripetuta quanto prima. Anche questo fa parte di quella costruzione della verità putativa iniziata con indagini avviate dagli stessi carabinieri coinvolti nei fatti di qu comella sera. E proseguita poche ore dopo con giornalisti compiacenti che riportavano testimonianze anonime che descrivevano un contegno quasi non violento dei carabinieri.
Un film diverso da quello proiettato nell’aula del Senato che ospita la conferenza stampa di familiari costretti non solo a divulgare il corpo straziato di un fratello o figlio e riviverne le urla di aiuto, ma anche a doverne «giustificare lo stile di vita». Così dice Andrea ricordando che suo fratello non ha ucciso nessuno, che s’è messo in ginocchio all’arrivo dei carabinieri e che aveva chiesto aiuto, lo urlava di avere un figlio e di stare per morire. Sapeva di essere alterato e quella sera non prese l’automobile ma chiamò un taxi per tornare nel suo quartiere, Borgo San Frediano. Andrea è più giovane di suo fratello. «Rivendico – dice ancora – il diritto a una serata fuori dagli schemi. Chi non l’ha mai fatto? Però non è giusto morire per questo, non è giusto che anziché essere soccorso è stato oggetto di un intervento violento».
Testimoni che ci hanno messo la faccia, nome e cognome, infatti, hanno visto i calci durante la fase dell’arresto. Manconi, che ha promosso la conferenza stampa assieme ad altri parlamentari, è convinto che gli atti visibili nel filmato siano sicuramente illegali, «l’atto del contenere non prevede quello che abbiamo potuto vedere». Ci sono vincoli e limiti. «E ci sarebbe anche un codice etico europeo che prevede che le indagini non siano gestite dal corpo di polizia coinvolto nella vicenda – ricorda Fabio Anselmo – tantomeno che le facciano gli stessi uomini coinvolti. Se quella scena fosse stata interpretata da quattro civili (il codice lo prevede) sarebbero già indagati per omicidio, quantomeno preterintenzionale». Altro che morte da cocaina com’è stato dettato ai giornali fiorentini. «Abbiamo visto scenari terribilmente simili in altri casi», ricorda Fabio Anselmo di fronte a Ilaria Cucchi, Claudia Budroni e Rudra Bianzino seduti tra il pubblico. Il rischio è che spuntino anche in questa storia (come fu tentato per Aldrovandi) ipotesi come la Excited delirium syndrome, e adoperare la cocaina «per marchiare il morto».
24 aprile 2014