Il filo attorcigliato e annodato per anni da un gruppo che ronzava attorno agli affari internazionali dell’Eni è stato ieri, 6 febbraio 2018, districato dalle Procure di Messina, Milano e Roma. Se Messina e Roma di sono occupate soprattutto di Pietro Amara, rampante avvocato siracusano e legale dell’Eni, Milano si è concentrata su Massimo Mantovani, responsabile dell’ufficio legale dell’ente petrolifero fino all’ottobre 2016 e poi passato a dirigere la divisione Gas dell’Eni.
La pm Laura Pedio ha mandato una squadra del nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza di Milano a perquisire abitazione e studio di Mantovani, accusato di associazione per delinquere finalizzata ai reati di false informazioni a pm e calunnia. La storia è quella dei depistaggi tentati per rendere più difficili, se non addirittura impossibili, le indagini del pm milanese Fabio De Pasquale che da anni sta battendo le piste delle tangenti internazionali che sarebbero state pagate dall’Eni in Nigeria e in Algeria.
Mantovani è quello che il 28 luglio 2016, da capo dell’ufficio legale del Cane a sei zampe, manda alla Procura di Siracusa una querela nei confronti di un dirigente del gruppo Eni, Umberto Vergine, e di due consiglieri d’amministrazione, Luigi Zingales e Karina Litvack, accusandoli di aver diffamato l’azienda. Era un tentativo, maldestro, di sanare ex post un “errore” fatto da alcuni magistrati di Siracusa, che l’8 luglio 2016 si erano portati avanti con il lavoro e avevano compiaciuto il gruppo dei “complottisti” ora sotto indagine, mandando un avviso di garanzia per diffamazione aggravata a Vergine, Zingales e Litvak: senza poterlo fare, perché nessuno li aveva ancora querelati.
di Gianni Barbacetto e Giorgio Meletti
Un’associazione a delinquere – finalizzata ai reati di false informazioni ai pm e calunnia – che aveva come capo Massimo Mantovani, fino a ottobre 2016 responsabile degli affari legali dell’Eni. Su questa ipotesi la pm di Milano Laura Pedio ha mandato ieri una squadra del nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza di Milano a perquisire abitazione e studio di Mantovani, proprio mentre due degli altri tre indagati (il legale dell’Eni Pietro Amara e l’imprenditore Alessandro Ferraro) venivano arrestati su richiesta della procura di Messina nell’ambito di un’inchiesta collegata. La storia è quella dei depistaggi contro l’inchiesta del pm milanese Fabio De Pasquale, che da anni sta battendo le piste delle tangenti internazionali che sarebbero state pagate dall’Eni in Nigeria e in Algeria.
Per capire il ruolo attribuito a Mantovani nelle ipotesi investigative bisogna risalire al settembre 2014. L’economista Luigi Zingales, da pochi mesi consigliere del colosso petrolifero pubblico, si scontra con il capo dell’ufficio legale a proposito delle inchieste per corruzione internazionale che stanno coinvolgendo l’Eni. Lo accusa di avere un approccio troppo morbido sul delicato tema dei controlli interni, e arriva a chiederne la sostituzione all’amministratore delegato Claudio Descalzi. Zingales è sostenuto solo dalla consigliera indipendente Karina Litvack e, sentendosi isolato nel cda, a luglio 2015 rassegnerà le dimissioni.
Ma nel frattempo è partita una scientifica macchina del fango contro Zingales e Litvack, che cerca sponda prima alla procura di Trani, attivata con tre esposti anonimi, poi a Siracusa, dove il pm Giancarlo Longo (arrestato ieri) riesce l’8 luglio 2016 a iscrivere i due nel registro degli indagati con la singolare accusa di diffamazione ai danni di Descalzi e dell’Eni, nonostante che la Guardia di finanza di Bari avesse già escluso l’esistenza di qualsiasi indizio a carico di Zingales.
In una vicenda confusa e complessa, due fatti meritano di essere ricordati. Il 15 luglio 2016 il procuratore capo di Siracusa Francesco Paolo Giordano trasmette il fascicolo per competenza a Milano, ma il 28 luglio Mantovani scrive agli stessi magistrati di Siracusa proponendo querela contro Litvack e Zingales in quanto il reato di diffamazione non è procedibile d’ufficio, cioè senza querela di parte. In pratica Mantovani ha proposto una sorta di sanatoria retroattiva, e fuori tempo massimo, all’irregolarità commessa dal pm Longo. E lo ha fatto senza sapere che cosa avevano fatto i due consiglieri, visto che il principe del foro Carlo Federico Grosso, inviato dall’Eni a Siracusa il 20 luglio, si è visto opporre il segreto d’ufficio, accompagnato dal “consiglio” di procedere alla querela.
Non solo. Lo stesso 28 luglio 2016 il cda dell’Eni ha votato l’esclusione della Litvack dal comitato di controllo (e quindi dall’accesso ai documenti delle inchieste per corruzione internazionale), “alla luce delle indagini in corso su ipotesi di cospirazione ai danni della società riportate anche dalla stampa (…) al solo fine di assicurare la massima tutela alla società dai rischi derivanti da possibili conflitti di interesse”.
L’altro fatto singolare è che, quando il pm di Milano Fabio De Pasquale chiede l’archiviazione del fascicolo ricevuto da Siracusa, non manca di far notare che l’anonimo – che ha convinto la procura di Trani a chiedere all’Eni l’esibizione di documenti a sole 48 ore dalla ricezione della missiva – mostra nella sua lettera di sapere, sulle prime mosse di Trani, cose che solo i pm o un alto dirigente dell’Eni poteva sapere. Il 20 settembre 2016 arriva l’archiviazione e poco dopo Descalzi manda Mantovani a occuparsi di distribuzione del gas.
Fatto quotidiano, 7 febbraio 2018