di Ilaria Romeo
Con l’avvento di Benito Mussoli comincia in Italia il ventennio della dittatura. Un regime segnato da morte, guerra e violenze
Il 28 ottobre del 1922, con la marcia su Roma, Benito Mussolini prendeva il potere. Cominciava per l’Italia il ventennio fascista, venti anni di dittatura, guerra, morte. A chi si ostina a dire che Mussolini “ha fatto anche cose buone”, noi continuiamo a rispondere così:
Mussolini ha bonificato le terre?
In realtà la prima legge organica per la bonifica delle zone paludose è del 1878 (dopo lo spostamento a Roma della capitale, viene approvata la legge del progetto di bonifica locale dell’Agro Romano n. 4642 che avrebbe poi rappresentato un modello per i futuri interventi specialmente a partire dal primo dopoguerra) ed è del 1911 la legge Bertolini-Sacchi che prevedeva, oltre alla riorganizzazione amministrativa, anche le vecchie soluzioni già attuate nella bonifica dell’Agro romano, quali incentivi economici a favore della colonizzazione e sanzioni per l’esproprio per i cattivi esecutori. Nel 1922, prima della marcia su Roma, si contano decine di decreti regi volti ad istituire consorzi di bonifica sovvenzionati dallo Stato. Insomma, numeri alla mano, il fascismo ha completato la bonifica di poco più del 6% del lavoro già avviato prima della marcia su Roma (su 8 milioni di ettari da bonificare Mussolini dichiarerà di aver bonificato 4. In realtà ne saranno bonificati solo 2, 1,5 dei quali già bonificati prima del 1922).
Mussolini ha dato la pensione agli italiani?
La Cassa nazionale di previdenza per l’invalidità e la vecchiaia degli operai viene istituita nel 1898. L’iscrizione a tale istituto diventa obbligatoria nel 1919. La pensione sociale viene introdotta nel 1969.
Mussolini ha dato la tredicesima agli italiani?
Il Ccnl stipulato il 5 agosto 1937 introduce l’obbligo di corrispondere una mensilità aggiuntiva rispetto alle 12 annuali solo agli impiegati del settore industria. Sarà l’accordo interconfederale per l’industria del 27 ottobre 1946 ad estendere il trattamento anche agli operai. Tale accordo è stato reso efficace erga omnes con decreto del Presidente della Repubblica n. 1070/1960.
Case agli italiani?
La prima legge sulle case popolari è del 1903, per iniziativa di Luigi Luzzatti (legge 31 maggio 1903, n. 251) ed i maggiori progetti di sviluppo urbano nelle grandi città (la Garbatella a Roma, per esempio) nascono nei primi 15-20 anni del Novecento.
Mussolini difendeva i lavoratori?
Con gli accordi di Palazzo Vidoni del 2 ottobre 1925, Confindustria e sindacato fascista si riconoscono reciprocamente quali unici rappresentanti di capitale e lavoro abolendo le Commissioni interne. La sanzione ufficiale di tale svolta arriva con la legge n. 563 del 3 aprile 1926, che riconoscendo giuridicamente il solo sindacato fascista – l’unico a poter firmare i contratti collettivi nazionali di lavoro – istituirà una speciale Magistratura per la risoluzione delle controversie di lavoro cancellando il diritto di sciopero. “Il fascismo – diceva Bruno Buozzi, che dai nazifascisti sarà ucciso – rappresenta nella vita nazionale dell’Italia un episodio doloroso (…) L’esperienza fascista, soprattutto in campo operaio, costituisce una ingiustizia atroce, un passo all’indietro, la perdita di anni preziosi”.
Mussolini ha dato il voto alle donne?
Dichiarava Benito Mussolini in un’intervista a Le Journal il 12 novembre 1922: “C’è chi dice che intendo limitare il diritto di voto. No! Ogni cittadino manterrà il suo diritto di voto per il parlamento di Roma […] Consentitemi anche di ammettere che non credo estendere il diritto di voto alle donne. Sarebbe inutile. Il mio sangue si oppone a tutti i tipi di femminismo quando si tratta di donne che partecipano alle questioni statali. Certo, una donna non dovrebbe essere una schiava, ma se le do il diritto di voto, sarei ridicolo. Nel nostro stato, non dovrebbe essere considerata”.
In parte contraddicendo il suo capo, il 22 novembre 1925 il fascismo faceva entrare in vigore la legge n. 2125 (nota come “il voto delle signore”) che per la prima volta rendeva le italiane elettrici in ambito amministrativo. Questa legge fu però resa inutile dalla riforma podestarile entrata in vigore pochi mesi dopo e precisamente in data 4 febbraio 1926: così ogni elettorato amministrativo locale veniva annullato, si sostituiva al sindaco il podestà che insieme ai consiglieri comunali non era eletto dal popolo, ma dal governo. Bisognerà attendere la fine della parentesi fascista ed il ritorno della democrazia perché l’elettorato sia riconosciuto anche alle donne.
Con il regio decreto 2480 del 9 dicembre 1926 le donne saranno escluse dalle cattedre di lettere e filosofia nei licei, verranno tolte loro alcune materie negli istituti tecnici e nelle scuole medie, si vieterà loro di essere nominate dirigenti o presidi di istituto (già il regio decreto 1054 del 6 maggio 1923 – riforma Gentile – vietava alle donne la direzione delle scuole medie e secondarie. Per estirpare il male veramente alla radice, saranno raddoppiate le tasse scolastiche alle studentesse, scoraggiando così le famiglie a farle studiare).
Una legge del 1934 (legge 221) limiterà notevolmente le assunzioni femminili, stabilendo sin dai bandi di concorso l’esclusione delle donne o riservando loro pochi posti, mentre un decreto legge del 5 settembre 1938 fisserà un limite del 10% all’impiego di personale femminile negli uffici pubblici e privati. L’anno successivo, il regio decreto n. 989/1939 preciserà addirittura quali impieghi statali potessero essere alle donne assegnati: servizi di dattilografia, telefonia, stenografia, servizi di raccolta e prima elaborazione di dati statistici; servizi di formazione e tenuta di schedari; servizi di lavorazione, stamperia, verifica, classificazione, contazione e controllo dei biglietti di Stato e di banca, servizi di biblioteca e di segreteria dei Regi istituti medi d’istruzione classica e magistrale; servizi delle addette a speciali lavorazioni presso la Regia zecca. L’articolo 4 della stessa legge, suggerirà altri impieghi “particolarmente adatti” alle donne: annunciatrici addette alle stazioni radiofoniche; cassiere (limitatamente alle aziende con meno di 10 impiegati); addette alla vendita di articoli di abbigliamento femminile, articoli di abbigliamento infantile, articoli casalinghi, articoli di regalo, giocattoli, articoli di profumeria, generi dolciari, fiori, articoli sanitari e femminili, macchine da cucire; addette agli spacci rurali cooperativi dei prodotti dell’alimentazione, limitatamente alle aziende con meno di dieci impiegati; sorveglianti negli allevamenti bacologici ed avicoli; direttrici dei laboratori di moda.
Mussolini non era razzista?
Forse nel suo animo profondo no, chi può dirlo, ma certamente lo fu la sua politica. Le leggi razziali del 1938 sono senza ombra di dubbio uno dei capitoli più dolorosi della storia del ventennio fascista. Al Regio decreto legge del 5 settembre 1938 che fissava Provvedimenti per la difesa della razza nella scuola fascista e a quello del 7 settembre che fissava Provvedimenti nei confronti degli ebrei stranieri fa seguito, il 6 ottobre una Dichiarazione sulla razza emessa dal Gran consiglio del fascismo. Tale dichiarazione viene successivamente adottata dallo Stato sempre con un Regio decreto legge che porta la data del 17 novembre dello stesso anno.
“È tempo che gli Italiani si proclamino francamente razzisti”, candidamente sanciva La difesa della razza, del 5 agosto 1938 (anno I, numero 1) ripubblicando “Il manifesto della razza” (o manifesto degli scienziati razzisti) pubblicato su Il Giornale d’Italia il 14 luglio 1938.
Il regio decreto legge n. 1728 (Provvedimenti per la difesa della razza italiana) stabilirà, nel novembre 1938, il divieto di matrimoni misti tra ebrei e cittadini italiani di razza ariana. Sarà proibito anche prestare servizio militare o come domestici presso famiglie non ebree, possedere aziende con più di 100 dipendenti, essere proprietari di terreni o immobili oltre un certo valore, essere dipendenti di amministrazioni, enti o istituti pubblici, banche di interesse nazionale o imprese private di assicurazione (con la Disciplina dell’esercizio delle professioni da parte di cittadini di razza ebraica del 29 giugno del 1939 verranno imposte limitazioni e divieti anche all’esercizio della professione di giornalista, medico-chirurgo, farmacista, veterinario, ostetrica, avvocato, procuratore, patrocinatore legale, esercente in economia e commercio, ragioniere, ingegnere, architetto, chimico, agronomo, geometra, perito agrario e perito industriale).
Il 19 aprile 1937, in Italia e nelle colonie entrerà in vigore il regio decreto legislativo numero 880, la prima legge “di tutela della razza” promulgata dal regime fascista, riferita in particolar modo agli italiani che vivevano nelle allora colonie italiane in Africa (Somalia, Eritrea, Etiopia e Libia). Il decreto, convertito, con modificazione, dalla legge 30 dicembre 1937, n. 2590, recante ‘Sanzioni per i rapporti d’indole coniugale fra cittadini e sudditi’ vietava e perseguiva penalmente i matrimoni misti e il madamato, fino al 1937 consentito e legale.
“L’accoppiamento con creature inferiori – scriveva Alessandro Lessona (ministro delle Colonie), su La Stampa del 9 gennaio 1937 – non va considerato solo per la anormalità del fatto fisiologico e neanche soltanto per le deleterie conseguenze che sono state segnalate, ma come scivolamento verso una promiscuità sociale, conseguenza inevitabile della promiscuità familiare nella quale si annegherebbero le nostre migliori qualità di stirpe dominatrice. Per dominare gli altri occorre imparare a dominare se stessi. Questo devono ricordare e devono volere gli italiani tutti, dai più umili ai più alti. Roma fu dominatrice e moderatrice fra le stirpi più diverse elevandole a sé nella sua civiltà imperiale. Quando si abbassò per mescolarsi ad esse, cominciò il suo tramonto. L’avvenire prossimo e immancabile sarà per una rigogliosa colonizzazione familiare, quale è consentita e garantita, con privilegio sopra tutti gli altri popoli, dalla fortunata esuberanza demografica nazionale, dalle secolari tradizioni di sanità, di compattezza e di fecondità della famiglia italiana, dalle favorevoli condizioni ambientali che attendono i nuclei di domani. Questo avvenire non sarà compromesso”.
Mussolini era una brava persona?
Tra partigiani e soldati italiani sono caduti combattendo durante la Seconda guerra mondiale almeno 300 mila uomini.Le donne partigiane combattenti sono state 35.000. 4.653 di loro sono state arrestate e torturate, oltre 2.750 deportate in Germania, 2.812 fucilate o impiccate, 1.070 cadute in combattimento. Durante la Resistenza le vittime civili di rappresaglie nazifasciste sono state oltre 10.000. Ancora di più gli ebrei italiani deportati. Tra il 29 settembre e il 5 ottobre 1944 solo nella valle tra il Reno e il Setta (tra Marzabotto, Grinzana e Monzuno), i soldati tedeschi con la complicità degli italici fascisti hanno massacrato circa mille persone. Del resto diceva il duce stesso nel 1925: “Se il Fascismo è stato un’associazione a delinquere, se tutte le violenze sono state il risultato di un determinato clima storico, politico, morale, a me la responsabilità di questo, perché questo clima storico, politico e morale io l’ho creato con una propaganda che va dall’intervento fino ad oggi”.
28 ottobre 2020