Incontrare il procuratore capo di Herat non è semplice. Difficile, soprattutto perché i talebani del Pakistan, quasi ogni giorno, le rivolgono pesanti minacce di morte, con lettere fatte recapitare ai servizi segreti afghani. Nonostante questo, Maria Bashir (vive sotto scorta) è sempre in prima linea, pronta a combattere contro gli insorti che la vogliono fuori dal potere, un nemico da uccidere. L’ufficio all’interno del palazzo del Governatore di Herat, ha grandi finestre blindate, all’apparenza indistruttibili. Si percepisce subito una certa tensione nella sala d’attesa prima d’incontrarla.
Decine d’impiegate si aggirano a passo svelto nei corridoi del palazzo, perché nello staff di Maria Bashir, gran parte dei tecnici d’ufficio sono donne. «Ci sono diversi problemi legati alla sicurezza della popolazione» dichiara il procuratore capo, lei che ha sempre lottato dalla parte dei più deboli e con le donne.
Con preoccupazione, parla di un problema legato alla vita delle donne e delle bambine. «Gli uomini credono che il diritto allo studio, sia rivolto solo ai maschi», racconta Bashir. In Afghanistan, oltre alla scuola proibita per le ragazze, la vita sociale è compromessa dalle violenze familiari. «Non è per niente facile». Sono in continua crescita i matrimoni di uomini e bambine. S’indigna: «Molto spesso le bambine-spose si uccidono poco dopo il matrimonio». Sono le bambine senza infanzia, le stesse alle quali è vietato imparare e sapere. Dai racconti del procuratore, si capisce bene che la situazione «sicurezza del Paese» è ancora fuori controllo. «I talebani attaccano le scuole femminili e distruggono tutto» afferma Maria Bashir e sa bene cosa parla, lei che un attacco degli insorti l’ha vissuto in prima persona. Quando i talebani sono entrati nella sua scuola segreta, allestita in un magazzino quasi invisibile nella sua vecchia casa, Maria Bashir non ha avuto paura per la sua vita: «Mi dispiaceva per le ragazze che da poco avevano iniziato a studiare con me». I talebani le hanno arrestato il marito e distrutto i libri, i quaderni e la lavagna dell’aula.
In gran parte dell’Afghanistan, le famiglie sono povere e non possono mantenere gli studi dei figli. Questo in qualche modo faciliterebbe quanto imposto dagli insorti che non vogliono la donna sui libri. «Oggi nelle città più grandi il 52% degli studenti delle scuole sono donne» dichiara Bashir e spera in un ritorno a scuola dei giovani in tutto il Paese. L’analfabetismo diffuso fra le donne è il male maggiore per il Paese che ancora oggi non trova un «buon candidato politico in favore di donne e bambine», pone l’accento il Procuratore Capo. Le prospettive per il futuro sembrano chiare, ma la realtà è ben diversa. Lo sa bene Maria Bashir che non è facile affrontare il processo di ripresa dell’Afghanistan, soprattutto in un momento in cui il Paese regge con un governo di transizione. Punta il dito contro un sistema di legge inefficiente e sulle istituzioni fuori controllo. Incalza: «La sicurezza della popolazione è debole con un esercito non ancora ben addestrato» e continua «non siamo ancora in grado di camminare da soli sulle nostre gambe».
La fine della missione militare Isaf prevista per il 2014 preoccupa Bashir: «è molto presto» anche perché l’Afghanistan sarà presto al voto per il nuovo presidente. Si sofferma proprio sulle prossime elezioni del 5 aprile 2014 ed è contraria alla politica poco progressista dell’attuale presidente Hamid Karzai. «Se alle prossime elezioni non vincerà un presidente migliore di Karzai, spero almeno non sia peggiore di lui», taglia corto Maria Bashir e accusa una certa sintonia tra Karzai e i mullah che nei villaggi, ancora oggi, esercitano un potere influente e decisionale sulla vita delle persone. Si preoccupa così per lo svolgimento delle prossime elezioni afghane. «le elezioni credibili sarebbero un passo importante per la democrazia del Paese» e lancia un chiaro messaggio: «al contrario invece, sarebbe una sconfitta pure per la Nato impegnata qui da anni».
Non risparmia nemmeno la giustizia. Sembrano chiare le difficoltà del sistema giudiziario afghano che prevede tre gradi di giudizio: i primi due si svolgono nella città di Herat, il terzo al tribunale di Kabul. Tribunale quasi al collasso perché si concentrano casi penali in arrivo dai tribunali minori delle trentaquattro province del paese. Inevitabile così un rallentamento dei processi, ci vuole molto tempo per la fine di un procedimento penale in Afghanistan. Nonostante questa lentezza, dal 2009 a oggi, nessun detenuto è rimasto per molto tempo in attesa di giudizio. Maria Bashir sa bene che, oltre ad aver ricevuto il premio «Donna Coraggio» nel 2011 da Michelle Obama e Hilary Clinton e definita dal «Time» come la donna più influente della Repubblica Islamica dell’Afghanistan, c’è chi ha storto il naso nei confronti del suo lavoro. La «campionessa dei diritti femminili» è anche un giudice che manda in cella le donne: per adulterio, stupro o fuga da casa. «La legge attuale impone questo, è il mio ruolo» conclude Bashir che nonostante questo, non hai mai smesso di occuparsi di diritti delle donne e del futuro del proprio Paese, in cui la guerra ha cambiato forma, ma non è mai finita.
5 settembre 2013