Giuseppe Cirillo
A Milano l’incontro con Carlo Palermo, Giuseppe Lombardo, Luigi de Magistris e Piercamillo Davigo
E’ indubbiamente un evento degno di nota quello avvenuto nelle scorse ore nella sede della Regione Lombardia in via Filzi a Milano. Con la partecipazione di ospiti straordinari che hanno caratterizzato la storia italiana, almeno quella più recente, ex magistrati come Carlo Palermo, Luigi de Magistris, Piercamillo Davigo e l’attuale Procuratore aggiunto di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo, con il contributo del giornalista d’inchiesta Gianni Barbacetto, hanno descritto l’excursus storico di un’Italia fatta di terrorismo, mafie e massoneria, tutte laboriosamente intrecciate e congelate da un “iceberg”, la cui punta nasconderebbe una realtà molto più grande e significativa. Nel dibattito organizzato dal consigliere della Regione Lombardia Luigi Piccirillo, l’esperienza dei partecipanti offre un racconto che si distingue fin da subito rispetto alla narrativa unica e onnipresente di questi ultimi decenni.
Tutti i pericoli della disinformazione
Ad aprire l’incontro dal titolo: “Massoneria, servizi, politica, mafie. Organizzazioni mafiose”, le parole dell’ex magistrato Luigi de Magistris che, reduce da un’esperienza elettorale non ottimale, esprime tutto il suo entusiasmo per la possibilità di contribuire all’interno di un evento presenziato da “grandi magistrati”.
Partendo dalla sua esperienza politica, de Magistris ha ricostruito, all’interno di una sala gremita e attenta, le vicende legate alla famosa “guerra delle Procure” altrimenti nota con il nome di “Why Not”; la “strana” vicenda giudiziaria che ha visto i pm di Salerno indagare quelli di Catanzaro e viceversa. Un “contenzioso” poi finito – ha ribadito de Magistris – nel probabile tentativo di nascondere agli italiani le vicende che accomunano mafia, politica e massoneria con il contributo di alcune parti deviate dello Stato.
Oggi, a distanza di anni e numerosi procedimenti disciplinari che lo hanno probabilmente indotto a dover sfilare con riluttanza la sua toga, de Magistris ha spiegato al pubblico presente quali sono i meccanismi che provano ad ostacolare certe indagini e a diffamare alcuni magistrati.
“Senza la magistratura corrotta farei ancora il magistrato – ha sottolineato de Magistris -. La magistratura è abituata alle calunnie e agli isolamenti. – prosegue – Quando i sistemi deviati arrivano agli organi di controllo, chi dovrebbe tutelare diventa il ‘Giuda’ che tradisce”.
Parlando di mafie che non usano il tritolo ma “proiettili istituzionali”, de Magistris ha condiviso anche la necessità di dover informare l’opinione pubblica nel tentativo di “evitare che accada ad altri quello che è successo a me. Ricordo (in riferimento alla vicenda Why Not, ndr) quando mio figlio mi chiese ‘Papà perché vai via dalla Calabria?’ ed io risposi: ‘Perché ho fatto il mio dovere, ho lavorato troppo’” – conclude – “Prima di finire il mio intervento devo ringraziare il popolo che non mi ha mai tradito; chi ha tradito è stato, e non di rado, lo Stato”.
Il giornalista e moderatore Gianni Barbacetto raccoglie anche le riflessioni del Procuratore aggiunto di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo.
“Ho molti limiti dovuti al mio ruolo ma su molte cose posso rispondere – ha precisato Lombardo -. Ha ragione Luigi de Magistris quando suggerisce di fare attenzione all’informazione; io aggiungo: ‘attenzione anche alla disinformazione’ perché arriverete ad essere lontani dalla verità credendo invece di possederla. Questa è la disinformazione”.
Con queste parole, Lombardo, ha introdotto la sua disamina sulle mafie che “hanno pochissimo di italiano e molto di transnazionale”. Un aspetto poco conosciuto dal grande pubblico perché spettatore di un racconto, quello della criminalità calabrese, distante da quello reale. Da qui, Giuseppe Lombardo, ha ricordato alcune parole pronunciate in sua presenza da Giuliano Di Bernardo, il gran maestro del Grande Oriente d’Italia nei primi anni ‘90: “In Calabria la ‘Ndrangheta controlla tutto, anche la massoneria. Una circostanza – ha continuato Lombardo ricordando le parole formulate da Di Bernardo – nota anche al duca di Kent (Gran Maestro della Gran Loggia Unita d’Inghilterra, ndr)”.
Il racconto storico ed esperienziale pronunciato da Lombardo esprime il vuoto di conoscenza sui legami esistenti e consolidati tra massoneria, mafia e politica.
“Se continuiamo a parlare dell’omino con coppola e lupara parleremo ancora per anni della ‘Ndrangheta senza per questo ottenere nulla – ha sottolineato Giuseppe Lombardo -. Esiste una ‘Ndrangheta visibile che non conta nulla e un’altra invisibile che conta e detta ruoli strategici, successivamente veicolati verso il basso. Dinamiche che spiegano un livello mafioso nascosto che non si macchia di crimini visibili, ma accolgono logiche di un livello talmente alto da non sembrare ‘mafia’”.
Il racconto formulato dal Procuratore aggiunto di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo, restituisce una realtà mafiosa diversa dai luoghi comuni e, soprattutto, lungimirante; capace di comunicare e collaborare per evitare inutili e dannosi conflitti permanenti che, nel tempo, avrebbero sabotato il laboratorio criminale ben consolidato nelle principali città del Nord Italia, ed evitato ingenti guadagni al Sud attraverso la pubblica impresa.
Dalla denuncia di Carlo Palermo al ricordo di Davigo sulla vicenda “Mani Pulite”
“Ci sono meccanismi difficili da comprendere e da spiegare ma vorrei essere chiaro su un fatto: da quando ho subito l’attentato a soli 37 anni, mi sono sentito in qualche modo colpevolizzato”.
Con queste parole, l’ex magistrato Carlo Palermo, visibilmente commosso, introduce i fatti che lo hanno spinto a svolgere le indagini subito dopo la strage di Pizzolungo: l’attentato ordito da Cosa nostra per uccidere Palermo, ma che finì col provocare la morte di una donna insieme ai suoi due figli.
“Dopo 40 anni sto ancora lavorando assiduamente su quei fatti ai quali non avrei dovuto assistere. Oggi si vedono i riscontri terrificanti delle vicende iniziate nel passato. Vicende unite tra loro e troppo complesse da spiegare in soli 30 minuti – ha precisato Palermo -. Tuttavia, sappiate che quello che vi racconto non sono supposizioni complottiste ma concetti fondamentali che oggi stanno avendo dei riscontri terrificanti”.
Realtà storicamente comprovate in seno ai Rosacroce (massoneria nata nel 1600 in Germania, ndr) e rinvenute da Carlo Palermo nel 2021 con il fascicolo sulle “logge massoniche presenti a Trapani all’epoca dell’inchiesta di Trento e del mio attentato, ovvero, la ‘Loggia Scontrino’, frequentata, tra l’altro, anche dall’attuale Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Informazioni mandate alla Procura di Trapani nel 1986 e tenute nascoste dalla Commissione Parlamentare sulla loggia P2”.
Da Moro a Gheddafi, Carlo Palermo prova a sintetizzare segreti indicibili che, passando dalle massonerie, restituiscono la storia del potere che si è espresso in Italia come all’estero, attraverso azioni sanguinarie di natura mafiosa e terroristica.
“La massoneria ha livelli diversi in termini di operatività e di conoscenza, sia in Italia che nel resto del mondo – ha puntualizzato Palermo –. Noi pensiamo alla massoneria sul modello della P2, avendo per questo una visione parziale della massoneria. La P2 – ha proseguito Palermo -, aveva come unico obiettivo quello di occupare il potere in Italia”.
Numerose vicende di altrettante logge massoniche, la cui esistenza è stata comprovata anche da “carte sequestrate dalla magistratura di Milano – ha precisato Palermo rivolgendosi direttamente a Davigo – rimaste sconosciute dal 1982 fino al 2021; momento in cui io le ho ritrovate, fotocopiate e studiate per farne oggetto di numerose denunce, l’ultima risale al gennaio scorso, dove, oltretutto, figurano nomi di persone che sono state anche elette“.
Infine, parafrasando i concetti espressi fino a quel momento con “una battuta” sulla differenza tra pessimista ed ottimista, l’ex magistrato Piercamillo Davigo, ha condiviso le dinamiche riscontrate durante la vicenda di Tangentopoli, passata successivamente alla storia con il nome di “Mani Pulite”.
Descrivendo alcuni aspetti che hanno caratterizzato le indagini, Davigo ha sottolineato la presenza di simboli massonici riscontrati all’interno di un contesto drammaticamente omertoso, talvolta impenetrabile anche ai magistrati più ostinati. Dinamiche difficili da debellare per una giustizia, quella italiana, che necessita di non pochi miglioramenti.