Giorgio Bongiovanni
Il magistrato intervistato da 4K PODCAST
“Non è vero che i giovani siano disinteressati alla lotta contro la mafia. C’è invece un interesse a tenerli lontani da questi temi e dall’impegno sociale. È fondamentale parlare ai giovani, senza ipocrisia, per trasmettere loro la voglia di non rassegnarsi”.
Così Nino Di Matteo intervistato da 4K PODCAST, su YouTube. Il sostituto procuratore nazionale antimafia, protagonista del processo Trattativa Stato-mafia, ha risposto alle domande del giovane conduttore in merito all’inchiesta e all’impegno del governo sul contrasto alle mafie.
Di Matteo ha dedicato ampio spazio anche al ruolo delle giovani generazioni. “Il disimpegno giovanile e l’individualismo sono responsabilità degli adulti, che non offrono esempi di serietà e impegno – ha sottolineato –. Per realizzare il sogno di Giovanni Falcone, secondo cui la mafia finirà, è necessaria una rivoluzione culturale guidata dai giovani. Solo prendendo le distanze da pratiche come il favore e la raccomandazione si potrà vincere la guerra contro la mafia. Oltre all’azione repressiva e politica, è essenziale un cambiamento che parta dai giovani, da cui spesso vengono tenuti lontani”.
Nel corso dell’intervista, il magistrato palermitano ha spiegato come la forza della mafia, in particolare di Cosa nostra, “risiede nella sua capacità di adattamento. Negli ultimi 30 anni, ha cambiato strategia, evitando attacchi frontali e omicidi eccessivi per non attirare l’attenzione pubblica, preferendo penetrare silenziosamente nell’economia legale e nell’alta finanza. Nonostante ciò, la mafia è diventata più forte, espandendosi territorialmente e riconquistando un ruolo primario nel traffico internazionale di stupefacenti. Le mafie si sono infiltrate nei settori economici, diventando quasi tollerate nella società capitalista”.
“Le istituzioni hanno spesso risposto alle emergenze con leggi adeguate, come la legge Rognoni-La Torre o il 41 bis, ma con il tempo l’attenzione cala e l’azione di contrasto si indebolisce – ha aggiunto –. Questo comportamento ondivago è un problema, poiché per combattere efficacemente la mafia è necessaria una consapevolezza costante dell’importanza di recidere i rapporti tra mafia, politica e istituzioni”.
Il paradosso è che “mentre altri paesi europei cercano di adottare leggi antimafia italiane, in Italia si rischia di indebolirle. Pertanto, affermare che lo Stato ha vinto la guerra contro la mafia è prematuro e fuorviante, poiché la situazione è ancora complessa e grave”.
Ecco perché è necessario fare memoria. “Il nostro Paese ha un disperato bisogno di fare memoria, non solo di ricordare emotivamente le vittime delle stragi, ma di approfondire la conoscenza e l’analisi di quanto accaduto – ha detto –. La narrazione dominante semplifica i fatti, presentando i cattivi (mafiosi e terroristi) da una parte e i buoni (lo Stato) dall’altra. Tuttavia, la realtà delle stragi in Italia è molto più complessa e richiede una valutazione unitaria e integrata degli episodi, sia delle stragi mafiose degli anni ’90 sia di quelle terroristiche degli anni ’70 e ’80”. Una visione che, dunque, non atomizza i fatti, bensì li lega gli uni agli altri inquadrandoli nel loro contesto politico e sociale.
“Le stragi hanno sempre perseguito obiettivi politici, influenzando gli equilibri di potere nazionali e internazionali – ha spiegato Di Matteo -. Contrariamente a quanto si crede, sappiamo molto sulle stragi grazie ai processi conclusi, che offrono le basi per proseguire nella ricerca della verità e identificare complici e mandanti esterni. Tuttavia, lo Stato e le istituzioni attualmente non supportano adeguatamente i magistrati e gli investigatori impegnati in questa lotta, spesso ostacolandoli e delegittimandoli”. Un atteggiamento “preoccupante e desolante”.
Parole chiare, quelle del magistrato Nino Di Matteo, che condividiamo totalmente.
Oggi si vuole dimenticare il passato e si fa credere, erroneamente, che la mafia è finita e che non emette più condanne a morte e non progetta più stragi.
Niente di più falso.
Basta osservare proprio il recente passato.
Nino Di Matteo, da sempre minacciato dalla mafia, ma nel novembre 2013 fu oggetto di una vera e propria condanna a morte da parte di Totò Riina.
Durante l’ora d’aria in carcere, il Capomafia corleonese “direttamente dal carcere chiedeva di fargli fare ‘la fine del tonno’.
Era prevista da lì a poco una trasferta a Milano, proprio per il processo sulla trattativa Stato-mafia.
’E allora organizziamola questa cosa! Facciamola grossa e non ne parliamo più’ diceva il boss corleonese. E sempre parlando di Di Matteo aggiungeva: “Vedi, vedi si mette là davanti, mi guarda con gli occhi puntati ma a me non mi intimorisce…. (…) Questo Di Matteo non se ne va, gli hanno rinforzato la scorta e allora, se fosse possibile, ad ucciderlo… Una esecuzione come eravamo a quel tempo a Palermo con i militari… (…) Ti farei diventare il primo tonno, il tonno buono”. E poi ancora: “Questo pubblico ministero di questo processo che mi sta facendo uscire pazzo”.
In un altro intervento il capomafia ribadiva: “È tutto pronto e lo faremo in modo eclatante”.
Nel 2014 il boss dell’Acquasanta Vito Galatolo, figlio di Vincenzo Galatolo, iniziò a collaborare con la giustizia e spiegò con dettagli e particolari il progetto di morte che vedeva Di Matteo nel mirino.
Spiegò che a fine 2012 fu Matteo Messina Denaro a chiedere di organizzare un attentato per conto di altri soggetti (“Gli stessi di Borsellino”), perché quel preciso magistrato si era “spinto troppo oltre”.
E sempre Galatolo aveva raccontato dell’acquisto di duecento chili di tritolo che le famiglie palermitane avevano fatto provenire dalla Calabria. Ciò dimostra che non solo Cosa nostra, ma anche la ‘Ndrangheta, come era avvenuto negli anni Novanta, era disponibile.
Sempre Galatolo disse che Messina Denaro, nella sua lettera, garantiva che “per l’attentato a Di Matteo non era come negli anni ’90, si era coperti”.
Quella doppia condanna a morte da parte di Riina dal carcere e di Messina Denaro dall’esterno (al tempo ancora era latitante, ndr) era avallata dal silenzio-assenso degli altri storici capimafia della Cupola.
Magistrati come Di Matteo che si sono avvicinati ad un passo dalla verità e che toccano quel limbo, quel punto di incontro tra sistemi criminali integrati e poteri forti che ci sono nel nostro Paese, vengono da sempre delegittimati e minacciati. Accade oggi così come è accaduto in passato, con altri giudici e pm, caduti con il loro sangue nelle strade.
Grazie a Dio l’esecuzione del delitto contro Di Matteo non ha avuto luogo.
Riina e Messina Denaro sono oggi deceduti, ma questo non significa che quel progetto di morte è stato accantonato.
Basta ricordare le parole dalla Procura di Caltanissetta che hanno indagato sull’attentato. Nella richiesta di archiviazione è scritto nero su bianco che “è ancora esecutivo”.
22 Giugno 2024