Toh! Si scopre che la Svizzera (come molti altri paesi nel mondo, anche, europei) ha depositato nelle banche i soldi della criminalità. Finche non verrà tolto il segreto bancario e assegnato il conto corrente a persona giuridica identificabile (senza numeri o codici), sarà ben difficile risalire di chi siano realmente i soldi depositati.
Rammento che queste cose (segreto bancario, ecc) sono pretese e attuate dal capitalismo (proprietario delle banche) che non vuole dare la tracciabilità dei “propri” averi attraverso, anche, le evasioni fiscali…
Due mondi paralleli, quello del capitalismo e della criminalità, che vanno sempre nella stessa direzione.
Quindi perché scandalizzarsi se non facciamo granché per desiderare la trasparenza?
MOWA
di Rino Giacalone
Poche righe di agenzia a conferma delle voci che all’indomani dell’operazione antimafia Ermes hanno ipotizzato viaggi frequenti di uno degli arrestati in terra elvetica. Mimmo Scimonelli, imprenditore vitivinicolo, indicato come il capo della famiglia mafiosa di Partanna, Belìce, durante le indagini di Polizia e Carabinieri, è stato più volte seguito in viaggi verso Milano da dove poi guadagnava il confine elvetico, per arrivare in Svizzera da dove poi tornava con denaro contante. Soldi si presume destinati al latitante Matteo Messina Denaro.
Le autorità di Berna hanno confermato che per questi viaggi da e per la Svizzera è stato aperto un fascicolo investigativo. L’agenzia Ansa ha nel primo pomeriggio di oggi battuto la notizia dopo averla ripresa dall’agenzia svizzera Ats: La Procura svizzera ha avviato “un proprio procedimento penale” nei confronti del capo mafioso trapanese Matteo Messina Denaro (nella foto) che avrebbe nascosto milioni di euro su conti elvetici. Il pubblico ministero della Confederazione lavora nell’ambito dell’assistenza giudiziaria con gli inquirenti antimafia di Palermo in un gruppo comune. La procura ha esaminato documenti bancari, proceduto a due perquisizioni domiciliari e compiuto un interrogatorio”.
La conferma è arrivata dalla portavoce dell’autorità giudiziaria svizzera Walburga Bur. I contatti tra Messina Denaro e la Svizzera non sono di oggi. La pista è stata nel tempo alimentata dalle donne, dall’arte, dai traffici di reperti archeologici e artistici, e quindi dai grandi riciclaggio di denaro. Soldi che però adesso tornano a servire al latitante che avrebbe messo i suoi ultimi complici sul suo tesoro elvetico. L’indagine in corso in Svizzera sembra collegarsi a quella che anni addietro ha portato al recupero di opere d’arte, sottratte al mercato clandestino, e che videro comparire il nome di Giuseppe Fontana, detto Rocky, arrestato dai carabinieri nel novembre dell’anno scorso e che l’indagine Ermes indica come un soggetto che tornato libero, prima del nuovo arresto, dopo avere scontato una lunga condanna per traffico internazionale di droga, è risultato essere autonomo destinatario di pizzini da parte del latitante Matteo Messina Denaro. Fontana fu intercettato a contattare il capo mafia di Salemi, Michele Gucciardi, al quale era andato a chiedere “uno pseudonimo” per potere rispondere al latitante. Lui e Matteo Messina Denaro sono sempre stati ottimi amici, quando erano liberi di muoversi, assieme fecero diversi viaggi proprio in Svizzera. Talvolta per incontrare alcune donne, le stesse alle quali Messina Denaro nel 1993 prima di darsi alla latitanza scriveva dicendo che non dovevano credere a nulla di tutto quello che di lui si sarebbe detto.
Ecco in lungo e in largo questi viaggi dimostrerebbero il legame della mafia castelvetranese con una serie di soggetti, al solito insospettabili professionisti, uomini di affari, direttori di musei, lesti nel contrattare con Messina Denaro e suoi emissari, come Giuseppe Fontana, la vendita o l’acquisto di opere d’arte. Fontana fu proprio fermato al ritorno di uno di questi viaggi mentre portava con se reperti archeologici e opere d’arte provento di furti commesse in giro per il bel Paese. Intrecci per miliardi di euro finirono scoperti in quella indagine sulle opere d’arte tra la Svizzera e l’Italia. Ma c’è di più. Ci fu anche una indagine dell’Fbi su quel commercio illecito di opere d’arte, finito raccontato sotto un dossier dal nome, Becchina dossier. E Becchina guarda caso è un imprenditore castelvetranese, lo stesso, si ipotizzò all’epoca del tentato furto della famosa statua del Satiro danzante, pescato a metà degli anni ’90 nelle acque del Canale di Sicilia da un motopesca mazarese e che i mafiosi tentarono di portare via dal museo allestito in tutta a fretta a Mazara prima che la statua bronzea partisse per Roma per il centro nazionale di restauro.
Un furto che fallì all’ultimo minuto come raccontò uno dei boss che doveva essere l’autore, il boss marsalese Antonio Patti. Pagine che adesso vengono rilette. Nel 2013 un sequestro da 38 milioni di euro ha colpito tra gli altri Filippo Greco, imprenditore edile originario di Campobello di Mazara e residente a Gallarate, nel varesino, sarebbe stato il referente di un altro fidatissimo di Messina Denaro, Franco Luppino. La Procura elvetica che allora individuò conti cifrati di Greco oggi avrebbe individuato altri soggetti che in Svizzera avrebbero fatto da prestanomi ai conti correnti di Matteo Messina Denaro. E tra loro ci sarebbe anche una donna.
23 agosto 2015