Il Consigliere Togato intervistato da “Millennium” su riforma del Csm e “dossieraggi”
“Ci dobbiamo rendere conto che se il cambiamento non parte da noi saranno altri a cambiare la magistratura. E io temo che tra questi altri ci siano anche coloro che nascondendo la loro reale volontà dietro la prospettiva riformista, vogliono limitare l’autonomia l’indipendenza della magistratura per subordinarla al potere politico”. E cosi che ha commentato il consigliere togato del Csm Nino Di Matteo in un’intervista pubblicata oggi sulla rivista Millennium.
“Ci vuole il coraggio di capire che la difesa ad oltranza della magistratura deve essere rivolta non solo agli attacchi esterni ma anche quelli interni” – ha detto Di Matteo in relazione alla recente operazione di ‘dossieraggio’ che ha investito il Consiglio – “il CSM dovrebbe essere il baluardo di quei colleghi indipendenti, di quelli che non appartengono a nessuna parrocchia”.
Da molto tempo infatti il magistrato ha più volte denunciato il problema del “correntismo” e del “carrierismo” e che “certamente oggi è normale e direi perfino giusto che si descriva la magistratura anche come un gruppo di funzionari dello Stato in guerra per l’acquisizione di potere. Io non mi stupisco, non sono tra quelli che si scandalizzano dalla grande evidenza che viene data al caso Palamara. Ma bisogna ricordare anche altro” e cioè che “che la storia della magistratura è stata anche e soprattutto un’altra. È stata l’avamposto che in totale solitudine a combattuto la mafia, il terrorismo, proteggendo la democrazia del Paese. L’autonomia e l’indipendenza dei giudici non sono privilegi di casta, ma garanzie poste a tutela dei più deboli, di chi non è nessuna capacità economica, politica, finanziaria. La storia è stata anche questa e non solo quella di una banda di giudici di potere”.
Parlando anche del suo personale trascorso Di Matteo ha detto che “sarei ipocrita se dicessi di non aver passato momenti di difficoltà a causa del mio essere estraneo al mondo delle correnti o delle cordate” la quali “sono più pericolose delle prime perché non sono manifeste” e ancora “poi chiaro che il magistrato che non appartiene a nessuna corrente accordata può essere pregiudicato anche nelle legittime aspirazioni di carriera, soprattutto se si espone indagando o giudicando delle incrostazioni di potere all’interno dell’istituzioni. Io credo che proprio questi siano i magistrati da difendere proteggere da possibili ostracismi istituzionali dovuti all’oro lavoro”.
“Il Caso Palamara non fa venire fuori cose nuove”
Inoltre Di Matteo ha ricordato come certe forme di collateralismo con il sistema di potere (e non solo con la politica) “non sono relative solo alle ultime vicende. La storia di Falcone ne dimostrazione. Il collateralismo da parte della magistratura soprattutto di quella che ricopriva incarichi di autogoverno ha costituito una sorta di resistenza del sistema rispetto a coloro che hanno avuto il coraggio di accendere un riflettore sui rapporti tra la mafia il potere”.
E poi ancora, in riferimento al caso Palamara, il consigliere togato ha detto che “il caso Palamara non fa venire fuori fenomeni nuovi. E quindi rispetto a quanto sta emergendo la magistratura deve smetterla di sorprendersi in modo ipocrita. Devie indignarsi, non far finta di sorprendersi. Bisogna rendersi conto che da troppo tempo ormai i magistrati liberi coraggiosi indipendenti vedono il CSM come un organo dal quale diffidare fonte di possibili ritorsioni. Bisogna capovolgere questa situazione”.
Nel proseguo dell’intervista, Di Matteo ha voluto commentare anche l’attuale situazione in merito alla recente decisione della Consulta di abolire l’ergastolo ostativi, ribadendo che “oggi cominciano a realizzarsi alcuni degli scopi che Cosa Nostra intendeva perseguire nel momento in cui concepì quell’azione di ricatto allo Stato portato avanti con bombe e attentati esplosivi in tutto il Paese” e che al tempo, “Riina e gli altri si muovevano tra le altre cose per abolire l’ergastolo ostativo”, che significa veramente, “il fine pena mai, cioè il carcere a vita. L’apertura di alcune sentenze della Consulta e della Cedu a una sostanziale abolizione dell’ergastolo ostativo vanno in questa direzione. E ne sono consapevoli pure i detenuti all’ergastolo che hanno compiuto quelle stragi proprio con questo obiettivo: in questo momento sanno che possono sperare di tornare liberi”.
Secondo il magistrato, il sistema che permetteva un efficace contrasto alla criminalità organizzata “si sta progressivamente smantellando” ed è un fatto oggettivo che norme come il 41 bis, siano state approvate solo dopo le stragi di Capaci e via D’Amelio.
Parlando sempre delle stragi che hanno insanguinato gli anni novanta il magistrato ha sottolineato che non bisogna assolutamente desistere nel continuare a cercare la verità poiché “la probabile cointeressenza di ambienti estranei a Cosa Nostra, nell’ideazione e nell’esecuzione di quelle stragi è stata delineata proprio grazie alle indagini e ai processi”.
Oltretutto Di Matteo ha messo in luce delle problematiche gravi che hanno iniziato a verificarsi dopo il 2006 quando entrò in vigore la cosiddetta riforma Castelli – Mastella, “con quella riforma si sono accentuati alcuni fenomeni di degenerazione. Mi riferisco alla burocratizzazione alla gerarchizzazione all’accentuazione dei ruoli direttivi. Quello che viviamo oggi è una conseguenza di ciò che è stata la folle corsa agli incarichi di vertice. Cioè il carrierismo che uccide l’essenza vera del ruolo del magistrato: l’assoluta indipendenza del ruolo”.
L’estromissione dal pool che indaga sui mandanti esterni
Durante l’intervista il magistrato ha commentato anche la sua estromissione dal pool che indaga sui mandanti esterni delle stragi, avvenuta su disposizione del procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero de Raho, definendola “immotivata ed ingiusta” poiché “non c’erano presupposti formali e neanche sostanziali” perché “in quell’intervista (andata in onda il 20 maggio 2019 ad Atlantide su La7) non avevo detto nulla che non fosse consacrato in atti pubblici e sentenze definitive”. E poi, il Csm avrebbe dovuto esprimersi, “ma non lo ha mai fatto: quando stava per farlo il procuratore ha revocato la sua decisione”.
L’insabbiamento della verità
“Lei andrebbe anche a un dibattito con Forza Italia?” Alla domanda provocatoria il consigliere togato ha risposto, “se mi invitano…il problema non è dove si va a il problema è quello che si dice. Far memoria e anche ricordare ai cittadini determinati fatti consacrati in sentenze definitive” come ad esempio “la sentenza definitiva in cui si considera approvata la cosiddetta Trattativa aperta dopo la strage di Capaci su iniziativa di provenienza istituzionale. Vuol dire che fu lo Stato il primo a cercare Cosa Nostra. Quella stessa sentenza dice anche che quella decisione alimentò la strategia stragista della mafia. Riina capì che lo Stato aveva compreso e decise di continuare con le bombe. In un’altra sentenza sempre definitiva c’è scritto invece che venne stipulato un patto tra le famiglie mafiose e Silvio Berlusconi. Marcello Dell’Utri è stato condannato come intermediario di quel fatto almeno fino al 1992. Vale la pena ricordare che i due: Berlusconi e Dell’Utri sono i fondatori di Forza Italia. Questi sono fatti. Quasi trent’anni dopo la strage di Capaci abbiamo il dovere di ricordarli anche perché c’è una parte di paese che cerca di insabbiarli sistematicamente”.
15 Maggio 2021