di Riccardo Lo Verso
Sono i metodi di comunicazione che lasciano perplessi. La lotta alla mafia è una cosa seria, anzi serissima. Circostanza che non sfuggirà al ministro, tra una diretta Facebook e un tweet.
Per mesi, ad onor del vero, la parola mafia è sembrata relegata ai margini delle strategie del Capitano. Salvini ha twittato qualcosa di siciliano per la prima volta alla vigilia del Ferragosto scorso. “Ville, terreni, automobili e moto, negozi e conti correnti per un totale di 150 MILIONI confiscati in queste ore ad alcuni mafiosi a Palermo, molto bene! Grazie alle Forze dell’ordine, avanti così, dalle parole ai fatti alla faccia dei chiacchieroni #lamafiamifaschifo”. Così scriveva il titolare del Viminale, tirando dentro, e neppure velatamente, lo scrittore Roberto Saviano con cui sono ormai in guerra.
“Dalle parole ai fatti”, dunque. Peccato che con quei fatti Salvini nulla c’entrasse visto che l’iter che ha portato ai provvedimenti del Tribunale per le misure di prevenzione, prima di sequestro e poi di confisca, risalivano al 2014. Ancora più datato l’inizio delle indagini sulla base delle quali la famiglia mafiosa Galatolo dell’Acquasanta avrebbe controllato alcune aziende che operavano al mercato ortofrutticolo tramite gli imprenditori Ingrassia.
Un mese prima della confisca agostana, naturalmente con un tweet, Salvini annunciò “la lotta senza quartiere” contro i “bastardi camorristi e i mafiosi in Italia. Vediamo di prenderli veramente a bastonate”. Un istante dopo il clic si tuffava nella piscina di una struttura turistica confiscata a Siena.
“Mafiosi e scafisti: per me siete le stesse merde”, rilanciò qualche mese dopo in una delle immancabili dirette Facebook, forse perché con l’immigrazione il tema lotta alla mafia ha maggiore appeal social fra gli utenti oltre lo Stretto di Messina.
Nel tour siciliano di questi giorni ecco il nuovo riferimento alle “mutande”. Diretto, immediato, efficacissimo: nulla da eccepire. Ci vuole ben altro, però. Qualcuno, fra i più critici, rimprovera a Salvini di avere dedicato alla lotta alla mafia solo alcuni paragrafi del “Decreto sicurezza” in cui si parla per lo più della riforma dell’agenzia dei beni confiscati e della vendita (ritenuta da alcuni assai pericolosa) dei beni sequestrati ai mafiosi anche ai privati.
Salvini, però, è ministro da un anno. Arriverà il tempo della sostanza, oltre che dei selfie e dei tweet. A Palermo, come nel resto della Sicilia, si corre un grande rischio. Lo Stato ha dimostrato di avere sconfitto la mafia nella terribile declinazione corleonese. La Procura di Palermo ha bastonato i boss che una manciata di mesi fa tentavano di riorganizzare la cupola, dimostrando di avere il controllo della situazione. Ecco, questo Stato sta perdendo la battaglia più importante, quella sociale.
La mafia regola la vita di intere borgate. Dirime piccole e grandi questioni perché, ancora oggi, conviene rivolgersi al mammasantissima piuttosto che allo Stato. Offre lavori sporchi – dal pizzo allo spaccio di droga – laddove quelli puliti restano un miraggio. Mette d’accordo la criminalità nostrana con quella degli immigrati. Sovrintendente persino al business di chi si fa spaccare le ossa per incassare i soldi delle assicurazioni.
Salvini lo sa bene, lui che ha il compito di garantire la sicurezza dei cittadini. Mica ha la bacchetta magica, però. Di sicuro, fra un selfie e l’altro, in questi giorni di campagna avrà avuto modo di studiare la realtà siciliana per farsi portavoce delle necessità di un cambiamento vero nelle sedute del consiglio dei ministri di un governo che, per primo da lui, viene definito del cambiamento.