Meno figli e più difficile conciliare maternità e lavoro, anteprima del rapporto Irpet
FIRENZE – Le donne toscane sono oggi più istruite che ieri, partecipano maggiormente al mercato del lavoro, si laureano di più che in passato – anche nelle discipline scientifiche e tecniche, in ingegneria e in matematica e con numeri, in questo caso, più alti perfino di Germania e Francia, anche se come lauree complessive rimaniamo fanalino di coda della Ue – ma al contrario di molti altri paesi europei le donne toscane fanno pochi figli o non diventano mai madri. Un calo della fertilità che si è aggravato ulteriormente con la crisi economica, quando, tra il 2015 e il 2008, i nati in Toscana sono diminuiti del 18,2 per cento: più che in Italia (-15,8%) o in Francia (-4,5%).
Conciliare maternità e lavoro appare difficile, raccontano i ricercatori dell’Irpet che stamani hanno presentato a Palazzo Strozzi Sacrati a Firenze, nella sede della presidenza della Regione, un’anteprima sul prossimo rapporto di genere che uscirà a maggio. “La maternità rimane uno dei periodi cruciali, per cui la donna rischia di uscire definitivamente dal mercato del lavoro, o di starci dentro con contratti peggiori o salari più bassi di prima che avesse figli” sottolinea la ricercatrice dell’istituto per la programmazione economica della Toscana, Natalia Faraoni. E unito al basso tasso di fertilità questo rischia di essere davvero allarmante.
Numeri e statistiche dello studio raccontano che in questi anni sono cambiate aspettative e stili di comportamento delle donne toscane: una rivoluzione silenziosa, in particolare per chi ha tra venticinque e quarantanove anni. E’ cambiata anche la società, con passi in avanti ma anche l’aggravarsi di alcuni problemi.
Una società vecchia e sempre più vecchia
La piramide demografica della Toscana, è evidente, ha una base sempre più instabile. La Toscana ha smesso di fare figli da tempo, fin dagli anni Settanta quando il saldo naturale tra nati e morti era già negativo: il minimo storico è del 1995. Ma se si sovrappone la fotografia del 1972 con quella del 2015 pare che siano passati anni luce. Quarantacinque anni fa nel rapporto tra ultrasessantacinquenni e i giovanissimi fino a quattordici anni erano più numerosi i secondi: oggi l’indice di vecchiaia è passato dal 73,4 al 195,1 per cento. Vuol dire che gli anziani sono praticamente il doppio dei giovani, con tutto ciò che in termini economici ne consegue; ma sono cresciuti anche in rapporto alla fascia di mezzo. Nel 1972 i toscani con più di sessantacinque anni erano due per ogni dieci residenti che di anni ne contavano tra quindici e sessantaquattro: oggi sono il doppio (39,9%).
“Adulti” sempre più tardi e la famiglia perde appeal
Si fanno sempre meno figli ma anche più di rado ci sposa o si decide di convivere. Assieme alla maternità il passaggio da giovani ad adulti è l’altro aspetto maggiormente critico. La società appare sempre più formata da “individui soli”, è stato sottolineato più volte stamani. Aumenta il periodo in cui si resta in famiglia e aumentano poi i single, a tutte le età. L’Irpet ha confrontato i numeri del 1985 con quelli del 2015: tra chi ha meno di cinquanta anni i toscani che vivono soli sono oggi l’8,9% (erano il 4,2 trenta anni prima). Crescono gli uomini single, ma anche le donne: anzi, in percentuale la curva per loro si impenna leggermente di più. Aumentano anche i figli con un solo genitore: dall’1,6 si passa al 2 per cento, quando i figli hanno non più di quattordici anni, e dal 2,7 al 6 per cento quando crescono.
Le donne toscane sono dunque più istruite e lavorano di più, ma non cambia il carico di impegni che sulle donne occupate si addossa, maggiore che per gli uomini, e che riguarda la casa e la famiglia. Per un ora di tempo dedicato dai maschi, le donne ne dispensano tre: nel caso delle laureate, la forbice si accorcia ma rimane pur sempre più del doppio, nonostante che tra il 2014 e il 2012 – e questo è un raggio di luce – le distanze si siano comunque accorciate.
Difficile essere mamma: cambiano modelli ma non le regole del gioco
Purtroppo l’Italia (e anche la Toscana) non sembra ancora un paese per mamme: un paradosso rispetto all’Europa, dove al crescere del tasso di occupazione rimane ben più alto il tasso di fertilità, come in Irlanda ma anche in Francia, nel Regno Unito, Svezia e Islanda tanto per fare qualche esempio. La Toscana invece è tra i paesi europei con il più alto numero di donne tra i 40 e i 44 anni senza figli, più del 20 per cento, nonostante non si distacchi particolarmente dalle altre nazioni per numero di figli desiderati: un paio, in genere. Il problema parrebbe dunque risiedere nelle opportunità e nei servizi. Si decide a volte di ritardare la maternità per conseguire prima una sicurezza economica e un lavoro stabile. Le donne che scelgono di avere un figlio, racconta il rapporto, all’inizio hanno redditi superiori rispetto alle coetanee che un figlio ancora non lo hanno: poi, dopo la maternità, il loro reddito cala. Comincia a ricrescere dopo tre anni, lievemente, ma non raggiunge mai il livello precedente o di quello delle donne senza figli. Così domina l’idea che fare figli sia solo un costo e un sacrificio.
Poi i figli arrivano in molti casi (il primo mediamente a trentadue anni), ma la conciliazione tra tempi di lavoro e di cura risulta assai complicata. Trenta anni fa la donna toscana entrava nel mercato del lavoro, prima di oggi, e poi spesso verso 25-30 anni ne usciva, quando decideva di mettere su famiglia ed arrivava la maternità. Oggi trova un lavoro più tardi e ci rimane. I modelli sono cambiati, sottolinea l’Irpet, ma non si è assistito a un adeguamento delle ‘regole del gioco’ ai nuovi rapporti di genere quanto piuttosto ad un’auto-organizzazione della società, che penalizza però madri e nonne. Peserebbero anche certi retaggi culturali e preconcetti, per cui ad esempio, nel 2008 e 2009, molte più donne e uomini che nella vicina Francia erano ancora convinti che i bambini in età prescolare soffrano se le madri lavorano.