Karim El Sadi
Il principale indiziato è Tumbarello, il medico del boss. Di Bernardo: “Suppongo che lo abbia fatto spostare utilizzando canali massonici”
Teresa Principato, per anni incaricata nella caccia a Matteo Messina Denaro, lo aveva detto a suo tempo, ma non venne creduta: “Il boss è protetto da una rete massonica”. Nessuna teoria del complotto, nessuna dietrologia. L’ex procuratrice aggiunta di Palermo aveva prove, e anche considerevoli, a sostegno delle sue affermazioni, ma non venne assecondata da chi era al comando al Palazzo di Giustizia. Le sue piste vennero fatte cadere una ad una. Le fonti? Bruciate. E i testimoni squalificati. Risultato? Più volte il capo mafia le sfuggì, spesso salvato da soffiate propiziatorie. Oggi a guidare la procura c’è un altro magistrato: Maurizio De Lucia. E’ lui che il 16 gennaio, insieme al Procuratore aggiunto Paolo Guido, ha finalmente acciuffato Messina Denaro, mettendo fine alla sua fuga. In queste due settimane, più volte, De Lucia ha parlato di “borghesia mafiosa” nel descrivere la rete di fiancheggiatori che ha aiutato a nascondere per 30 anni l’ex “primula rossa”. Anche se una certa stampa sminuisce tale espressione derubricandola a qualche commerciante senza scrupoli, in realtà quella “borghesia mafiosa” che ha fornito a “Diabolik” il mantello dell’invisibilità, è tutt’altra. E include illustri professionisti, sia della pubblica amministrazione, che della sfera dei privati, molti dei quali aventi una seconda pettorina da gran maestro di qualche loggia massonica. Proprio come sosteneva – e sostiene ancora – Teresa Principato e proprio quella borghesia mafiosa alla quale ci aveva abituati, a suo tempo, Stefano Bontate. La Dda di Palermo, oggi, lo ha capito, forse anche rispolverando quei preziosi sforzi investigativi, poi decapitati, dell’ex magistrato. La Dda, infatti, sta puntando parecchio su quel livello di coperture. “La provincia di Trapani è la seconda in Sicilia per presenza di logge massoniche. Questi elementi ci inducono a spingere i nostri accertamenti fra il materiale che abbiamo e la rilettura di quello che avevamo”, ha detto De Lucia. E non è un caso che – tra perquisizioni, interrogatori e rastrellamenti – sono già tre i personaggi finiti nel mirino degli investigatori che appartengono, appartenevano o hanno a che fare con logge massoniche. In fila: Quintino Paola, Antonio Messina ed Alfonso Tumbarello.
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La conferenza stampa di arresto del super boss, Matteo Messina Denaro lo scorso 16 gennaio
Il numero dell’urologo in mano all’autista del boss
Il primo è un urologo famoso a Castelvetrano, paese d’origine di Messina Denaro. Paola è stato Maestro venerabile della “loggia Ferrer”, una delle quattro logge di Castelvetrano. Il suo numero è stato trovato dai Carabinieri nel portafogli di Giovanni Luppino, l’autista di Messina Denaro arrestato insieme al boss quella mattina del 16 gennaio. A Il Fatto Quotidiano il medico ha detto di non conoscere Luppino. E il fatto che avesse il suo numero ritiene sia per motivi urologici e per la sua notorietà di professionista: “Faccio l’urologo da 42 anni, il mio numero, tra l’altro è su Internet per pubblicità”. Al momento Paola – va precisato – non è coinvolto nelle indagini. Il suo nome, però, ha fatto tornare in mente una vicenda inquietante avvenuta a maggio scorso quando nella prefettura di Trapani, dove era in corso un’audizione segretata della Commissione Antimafia proprio sulla massoneria di Castelvetrano, venne sorpreso origliare alla porta Salvatore Monteleone, anche lui medico e anche lui massone della loggia “Ferrer”. La scoperta fu fatta personalmente dal presidente Nicola Morra che, uscendo dall’aula, trovò Monteleone con un telefonino sulla mano e notò che la schermata era aperta. Dentro venivano auditi alcuni gran Maestri, tra cui proprio l’ex numero uno della loggia Quintino Paola. Morra fece notare l’anomala presenza di persone, appartenenti alla massoneria, che erano lì ufficialmente per avere accompagnato gli auditi, lamentando come la prefettura avrebbe dovuto impedire la loro presenza nella stanza attigua. La vicenda venne chiusa con l’archiviazione della denuncia di Morra alla Procura e alla Digos (dove Monteleone si era difeso dicendo di non sapere che le audizioni si tenevano in quella stanza, che era al telefono con un paziente e che si trovava là perché autorizzato).
L’avvocato inguaiato per narcotraffico
A seguire, tra i personaggi legati alla massoneria che hanno catturato le attenzioni degli investigatori, c’è Antonio Messina. Avvocato massone di 77 anni, Messina fu già coinvolto in passato in indagini che ruotavano attorno al nome di Matteo Messina Denaro. Il 20 gennaio i Carabinieri hanno fatto delle perquisizioni, presumibilmente collegate agli sviluppi delle indagini sulla cattura del super latitante, di due immobili di proprietà del legale a Campobello di Mazara, dove Antonio Messina è nato e dove sono stati trovati i covi dell’ex “primula rossa”. Il primo si trova in Paese all’angolo tra via Scuderi e Via Selinunte, di fronte l’abitazione di Salvatore Messina Denaro, fratello del boss; il secondo in via Galileo Galilei a Torretta Granitola, un’abitazione estiva sul litorale di Mazara del Vallo nei pressi della sede dell’Istituto per la ricerca marina del Cnr. L’avvocato Antonio Messina è un personaggio particolare, già noto alle cronache giudiziarie. Fu condannato per traffico di droga negli anni ’90. Assieme a lui erano imputati l’ex sindaco del Comune di Castelvetrano Antonio Vaccarino (deceduto nel 2021), che per conto dei servizi segreti intavolò una corrispondenza con Messina Denaro con il nome di “Svetonio”, e i boss Nunzio Spezia e Franco Luppino. Messina fu indicato anche come mandante dell’uccisione del giudice Giangiacomo Ciaccio Montalto dai collaboratori di giustizia Rosario Spatola e Vincenzo Calcara. Accusa pesantissima per la quale è stato però scagionato. Gli investigatori intercettarono Messina mentre parlava con Giuseppe Fidanzati, solo indagato nell’inchiesta, uno dei figli di Gaetano Fidanzati, boss dell’Acquasanta oggi deceduto. I due facevano riferimento ad un “ragazzo” di Castelvetrano, identificato in Francesco Guttadauro, nipote di Matteo Messina Denaro, che era stato arrestato. In particolare Fidanzati ricordava un incontro avvenuto alla stazione di Trapani con “Iddu” che si era fatto accompagnare a bordo di una Mercedes da un certo “Mimmu“. Non è mai stato chiarito se “Iddu” fosse riferito a Guttadauro o, come invece sospettano gli investigatori, all’allora super latitante Messina Denaro. L’ultima grana giudiziaria per l’avvocato Messina, frattanto radiato dall’ordine degli avvocati, risale al 2019 quando finì ai domiciliari con l’accusa di traffico internazionale di stupefacenti nell’ambito dell’inchiesta “Eden 3”. Un maxi traffico di hashish, per il quale vennero indagati in 19, sulla rotta Marocco-Spagna-Italia che sarebbe stato gestito proprio dal capo mafia di Castelvetrano e per il quale Messina venne arrestato. Il processo si è concluso con l’assoluzione dell’avvocato nel giugno del 2021.
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L’ex sindaco di Castelvetrano, Antonio Vaccarino
Il medico del boss, tramite di Vaccarino
Infine c’è il famoso Alfonso Tumbarello, medico di base, rinomatissimo a Campobello di Mazara, iscritto alla loggia “Valle di Cusa – Giovanni di Gangi” di Campobello di Mazara, del Grande Oriente d’Italia. Tumbarello ha avuto per anni come paziente Matteo Messina Denaro. L’ha avuto in studio, gli ha disposto farmaci, consigliato visite specialistiche, interventi, cure. Tutto prescritto sotto il falso nome usato dal padrino: Andrea Bonafede. Ma Tumbarello assisteva anche il vero e sanissimo Bonafede (arrestato lunedì per associazione mafiosa e favoreggiamento). Possibile che il medico non si sia reso conto di questa singolare omonimia, per giunta in un paese, Campobello di Mazara, in cui tutti si conoscono? “Credevo di curare il vero Andrea Bonafede”, si è difeso davanti ai Carabinieri che hanno perquisito la sua abitazione e il suo studio. Ma è una ricostruzione che non ha convinto gli investigatori e i magistrati della Procura distrettuale antimafia di Palermo. Ora è sotto inchiesta per procurata inosservanza di pena aggravata dal metodo mafioso. Un’accusa grave di cui deve rispondere anche Giovanni Luppino, l’autista dell’ex latitante.
Alfonso Tumbarello in vita sua non ha indossato solo il camice. Ha avuto anche un consistente passato politico: nel 2006, infatti, dopo essere stato consigliere provinciale, si era candidato alle elezioni regionali con l’Udc, la lista che proprio quell’anno ottenne la rielezione del governatore Totò Cuffaro, all’epoca sotto processo per il caso Talpe che poi lo portò in carcere per favoreggiamento di Cosa nostra.
Cuffaro però dice che con Tumbarello non c’entra niente. “Nel 2006 la mia lista, era la ‘Lista del Presidente’ chiamata ‘Arcobaleno’, e Tumbarello non era candidato con la mia lista, era candidato nella lista della Udc”.
Ad ogni modo il medico ottenne un discreto successo: 2.697 preferenze. Voti che però non gli permisero di sedere all’Ars. Nel 2011 ritentò il successo in politica, candidandosi a sindaco a Campobello di Mazara con il Pdl. Arrivò quinto. Un altro flop a seguito del quale tornò in studio.
Oltre alla rinomata carriera di professionista e al tentativo maldestro di scendere in politica, Tumbarello è conosciuto alle cronache anche per la sua vicinanza all’ex sindaco di Castelvetrano Tonino Vaccarino, lo stesso Vaccarino che, come detto, nei primi anni duemila ebbe corrispondenze epistolari con Matteo Messina Denaro, che si firmava “Alessio”, coperte dal Sisde con l’obiettivo (fallito miseramente) di catturarlo.
Report ha rivelato che nel 2012, dieci anni fa, era fatto noto che il medico massone Tumbarello poteva essere un tramite per arrivare a Messina Denaro. La cosa emergerebbe proprio da un verbale dell’ex sindaco Tonino Vaccarino. Nel 2012 l’ex sindaco aveva riferito in aula di aver chiesto anni prima “al dottore Tumbarello di poter incontrare Salvatore Messina Denaro (fratello del boss) perché era suo assistito. Lo contattai perché ritenevo potesse portarsi avanti un’iniziativa, assolutamente legittima, creare un’area di servizio presso l’area Costa Gaia sull’autostrada, che porta in direzione Palermo da Castelvetrano“. Tumbarello organizzò nel suo studio l’incontro. E poco dopo, caso vuole, sarebbe iniziata la nota corrispondenza fra “Alessio” e “Svetonio”. Lo scambio di lettere terminò nel 2006, quando nel covo di Bernardo Provenzano vennero trovati i pizzini di Messina Denaro, che poi fece di nuovo perdere le sue tracce.
La sospensione che sospensione non è
Intanto il gran maestro del Grande Oriente d’Italia Stefano Bisi ha firmato un provvedimento di sospensione “a tempo indeterminato da ogni attività massonica” per Tumbarello. Un provvedimento siglato anche dal Gran segretario Emanuele Melani. Sospensione però non significa espulsione. “C’è una grande differenza”, ha commentato all’AGI Amerigo Minnicelli, nipote del tenente garibaldino Luigi a cui è intestata una loggia di Rossano Calabro. Minnicelli è stato espulso dalla massoneria nel 2012.
“Sono stati numerosi gli iscritti finiti sotto inchiesta per mafia ma nessuno è mai stato espulso e nemmeno processato, come richiederebbero le Costituzioni massoniche. C’è una grande massa di persone sospese che è rimasta nel limbo, non si sa che fine abbiano fatto”. Secondo Minnicelli “è impossibile che il medico non sapesse chi fosse Messina Denaro” ed è “strano che questo medico non si sia confidato coi suoi superiori, come accade nella famiglia massonica, su questa sua conoscenza tanto più che l’attuale Gran Maestro è andato in visita proprio a quella loggia”. Minnicelli ritiene che la massoneria sia diventata col tempo sempre più permeabile alle mafie.
Logge trapanesi infiltrate, parola dell’ex Gran Maestro del Goi
E della stessa idea è anche Giuliano Di Bernardo, fondatore della Gran Loggia Regolare d’Italia (GLRI) ed ex Gran Maestro del GOI dal quale se ne andò nel 1993 proprio per le elevate infiltrazioni di mafiosi, nella fattispecie ‘ndranghetisti, nella super loggia. Le sue testimonianze, tra l’altro, sui rapporti tra mafia e massoneria sono anche agli atti del processo ‘Ndrangheta Stragista dove sono imputati lo ’ndranghetista Rocco Santo Filippone e Giuseppe Graviano, il boss stragista al quale Totò Riina ha affidato, insieme a Messina Denaro, i propri segreti. “Non mi stupisce che il medico di Matteo Messina Denaro era un massone”, ha detto Di Bernardo a Piazzapulita. “La mafia è dentro la massoneria. Dopo la mia elezione a Gran Maestro del GOI ho convocato a Roma i vertici siciliani i quali hanno ammesso infiltrazioni mafiose all’interno di alcune logge, soprattutto nel trapanese. La massoneria rappresenta una copertura, chi viene iniziato ha il diritto di entrare ed essere accolto in tutte le massonerie del mondo, quindi la massoneria dà un passaporto mondiale”. Secondo l’ex numero uno del Goi, “il medico Tumbarello si è potuto spostare e far spostare il capo mafia io suppongo anche utilizzando questi canali massonici. La massoneria offre un potere”. Ora la Dda di Palermo dovrà accertare se Matteo Messina Denaro ha effettivamente beneficiato di questo potere.