di Vittorio Agnoletto
In agosto è “scaduta” la l.23 che governa la sanità della Lombardia e che era stata approvata nell’agosto 2015 dalla giunta Maroni, ma che era stata autorizzata dal governo solo in via sperimentale per cinque anni, dopo i quali il Ministero dalla Salute avrebbe dovuto decidere se autorizzare il proseguimento della sperimentazione o imporre alla Lombardia di modificare la legge, riportandola all’interno di quanto previsto dalla legge nazionale 833/’78. Scelta che molti di noi auspicavano.
Oggi è arrivata la decisione del Ministero della Salute che ho così commentato a Radio Popolare in Metroregione.
Un documento di circa 70 pagine con molte osservazioni critiche ma con delle conclusioni che, al di là delle reazioni stizzite e delle risposte polemiche ad uso mediatico, non impensieriscono più di tanto chi governa la Lombardia.
Il Ministero della Salute chiede alla regione di istituire i dipartimenti di prevenzione, i dipartimenti di Salute mentale e i distretti sanitari presenti in tutt’Italia ma cancellati in Lombardia. Richieste importanti, ma interventi resi evidenti dalle carenze manifestatisi durante la pandemia e quindi provvedimenti dei quali nessuno oggi si sentirebbe di negare l’urgenza.
L’altro settore sul quale interviene il ministero è quello organizzativo, chiede: che alle 8 ATS attuali subentri un’unica ATS regionale; chiede che gli accordi contrattuali per l’accreditamento con i gruppi sanitari privati di grandi dimensioni siano stipulati a livello regionale e non locale e chiede il potenziamento delle Agenzia di controllo regionale con compiti di programmazione e vigilanza.
Non una parola sul preponderante peso delle strutture sanitarie private e sulla loro possibilità di muoversi a proprio piacimento dentro il Servizio Sanitario regionale senza alcun limite e controllo; non una parola di critica al progetto per i malati cronici per i quali la Lombardia ha istituito i gestori aprendo la porta alla totale privatizzazione della gestione di questa ricca fetta di mercato sanitario.
L’impressione, di più d’ uno degli addetti ai lavori, è che in fondo questo documento non dispiaccia tanto alla giunta Fontana; indica infatti la necessità di alcune cambiamenti, per altro non più rinviabili dopo la tragedia di questi mesi, ma lascia immodificate le fondamenta del cosiddetto modello Lombardia istituito da Formigoni.
18 Dic, 2020