di Saverio Lodato
Deve essere molto attaccato alla sua poltrona, Alfonso Bonafede, per ignorare l’imbarazzo crescente attorno alla sua persona. Torna a casa persino il suo capo di gabinetto, Fulvio Baldi, travolto dalle intercettazioni dell’inchiesta della magistratura di Perugia. E l’imbarazzo aumenta.
Imbarazzo nel suo movimento, i 5 Stelle; sia in quelli che si sono sempre riconosciuti in lui, sia in quelli che appartengono ad altra parrocchia della fede e del culto dell'”onestà, onestà”.
Imbarazzo fra i suoi alleati di governo, il Pd e Leu, che alla Camera, più realisti del re, avevano già speso nei suoi confronti parole apologetiche, ignorando, per realpolitik di piccolissimo conio, che nulla avrebbe impedito loro di tenerlo al suo posto, pur non rinunciando però a condannare – come avrebbero dovuto fare – le evasioni carcerarie dei mafiosi a cielo aperto.
Imbarazzo fra figure di altissimo rilievo dell’antimafia; da Salvatore Borsellino a Gian Carlo Caselli, costrette all’uso di dosaggi da farmacia e giravolte acrobatiche, pur di tenere insieme due “galantuomini”, Bonafede e Nino Di Matteo, che però erano entrati in rotta di collisione su un argomento troppo pesante perché lo si potesse ridurre a semplici incomprensioni di galateo, vicendevole mancato rispetto della buona educazione.
Imbarazzo fra tutti quei quotidiani e quelle tv che avevano scoperto il verminaio sotto il sasso (i magnifici 400 detenuti che se n’erano tornati bellamente a casa) causa una telefonata di puntualizzazione di Di Matteo alla trasmissione “Non è l’Arena”, che aveva provocato una slavina.
E ancora imbarazzo, persino fra i giornali, come il “Fatto quotidiano”, che pure oggi si distinguono per la pubblicazione di notizie che, non fosse per loro, resterebbero piombate sotto lastre di cemento armato. Ma imbarazzo, nonostante tutto, proprio anche fra i colleghi del “Fatto”, appunto, perché il gioco della torre – la sopravvivenza di Bonafede e del governo Conte? O quella di Di Matteo? – è sempre un gioco crudele, quando si è costretti a subirlo.
A non voler infine parlare dell’imbarazzo in quegli stessi ambienti della magistratura, tradizionalmente poco reattivi rispetto alla particolarità e originalità concettuale del tema della mafia e della lotta alla mafia, che è difficilmente inscatolabile in questioni di astratta e adamantina purezza giurisdizionale.
I componenti laici del CSM, nominati dai 5 Stelle, avevano così compitato, con un pizzico di indignazione, per la telefonata in trasmissione di Di Matteo; Piercamillo Davigo aveva definito “diverbio”, quello fra il Di Matteo e il Bonafede.
Sono solo alcuni degli esempi possibili nell’infinita gamma degli imbarazzi provocati dalla gestione Bonafede.
Insomma.
Questo è il parziale elenco degli imbarazzi, in ambienti che tutto si può dire tranne che avessero motivi per avercela con questo ministro e con il suo lavoro.
Poi, c’è la chiassosa compagnia di giro che, ovviamente, non aspettava altro: da Matteo Salvini ai dirigenti di Forza Italia sino a Matteo Renzi.
Puntano allo scalpo di Bonafede, per indebolire legittimamente il governo Conte. Ma, già che ci sono, non disdegnerebbero di collezionare anche lo scalpo di Di Matteo, da tempo inseguito dai collezionisti anti PM più raffinati.
Loro, invece, si dicono interessati all’argomento di una lotta alla mafia, senza se e senza ma. Se fosse vero, sarebbe la prima volta che ciò accade. Sarà. Il fenomeno però, almeno sinora, non è stato dato vedere in natura.
Concludendo.
Il ministro della giustizia Alfonso Bonafede – prevediamo l’obiezione – non poteva sapere chi fosse Francesco Basentini, capo del Dap, costretto a dimettersi.
Il ministro Bonafede non poteva sapere chi fosse Fulvio Baldi, capo gabinetto del ministero di grazia e giustizia, oggi costretto a dimettersi, per le intercettazioni che lo riguardano, nell’inchiesta di Perugia, pubblicate dal Fatto Quotidiano. Entrambi, sia detto per inciso, occupavano la poltrona per scelta fiduciaria del ministro.
Certo.
Però quale prove ci sono che Bonafede fosse informato di quello che stava facendo? Nessuna.
Ma, secondo noi, è proprio per questo, che dovrebbe togliere il disturbo.
Non perché – come si sarebbe detto una volta – Non poteva Non sapere.
Ma proprio perché Non sapeva.
Il che, a quel livello di responsabilità, forse è persino peggio.
L’istituto del rimpasto stabilisce che, tramontato un ministro, se ne faccia un altro. I ministri vanno e vengono. I governi possono sopravvivere ai ministri. Le vie della democrazia, per fortuna, sono infinite.
15 Maggio 2020