Intervista al procuratore Gratteri: “In un anno ho arrestato oltre 950 indagati per associazione mafiosa”
Entrato prepotentemente nel gossip romano, come il ministro della giustizia candidato e bocciato nel volgere di ore per i veti una volta degli uomini delle istituzioni e un’altra per i Niet di ambienti politici, Nicola Gratteri in questa intervista esclusiva a tiscali.it svela i suoi prossimi impegni.
A chi prima lo voleva nella squadra di Renzi, poi in quella di Grillo (che oggi sponsorizza il Pm palermitano Nino Di Matteo), il Procuratore di Catanzaro risponde: «Sono felice di essere a Catanzaro. In un anno ho trasformato l’Ufficio e adesso vi assicuro che nulla rimarrà come prima».
Insomma, procuratore è iniziato il conto alla rovescia?
«Sono abituato a parlare sempre dopo. Abbiamo bisogno ancora un po’ di tempo per dare risposte che la gente sta cercando di avere da tempo».
Nel suo ufficio “smontato” per via delle termiti che hanno divorato librerie e poltrone, con i libri e fascicoli raccolti sul pavimento, Nicola Gratteri delinea la offensiva del suo Ufficio nella lotta alla Ndrangheta e ai suoi complici. Non ama fare sociologia o analisi, preferisce far parlare i fatti. E allora Procuratore iniziamo dal bilancio di un anno di lavoro. Soddisfatto?
«In un anno abbiamo arrestato 950 indagati per associazione mafiosa e per traffico di droga. E abbiamo cominciato con le prime tre incursioni nella pubblica amministrazione, cosa che non era mai accaduto prima. Primi arresti di una trentina di funzionari pubblici anche ex assessori per reati che vanno dal peculato alla corruzione, in alcuni casi con l’aggravante di aver favorito la Ndrangheta. E abbiamo cominciato a esplorare mondi che erano ritenuti impenetrabili».
Si riferisce agli intrecci tra massoneria, Ndrangheta società civile?
«Mi faccia prima dire un paio di cose. Intanto che le generalizzazioni sono una pessima strada da seguire perché creano sconforto tra la gente, creano il pessimismo e un senso di sconfitta permanente. E questo proprio oggi che un certo risveglio si avverte. Anzi, per la prima volta la gente comincia a prendere coscienza e a credere finalmente nella possibilità di una primavera calabrese».
Una società civile attiva non l’ho mai incontrata nei miei trenta e passa anni di frequentazioni calabresi.
«Le rispondo dalla fine ma poi mi faccia dire quello che mi sta a cuore. È vero che i calabresi non hanno mai reagito per esempio come è successo in Sicilia dopo il martirio di Falcone e Borsellino. Ma c’è un perché e probabilmente la risposta va ricercata nel fatto che noi non siamo stati credibili. Noi, ovviamente non tutti noi magistrati come del resto non tutti i colleghi palermitani erano Falcone e Borsellino. E, dunque, abbiamo iniziato a invertire la rotta, a essere più credibili. Se sono invitato a un convegno non necessariamente vi partecipo se vedo che tra gli invitati c’è qualcuno anche famoso, anche con la patente di antimafiosità che non mi convince».
Dunque, lei sta cercando verifiche dell’esistenza di rapporti tra Ndrangheta, politica, pubblica amministrazione e massoneria?
«Stiamo parlando della massoneria deviata, cioè di quelle logge massoniche non riconosciute da Palazzo Giustiniani dove convivono quadri della pubblica amministrazione, professionisti, e gli esponenti della Santa, quel grado di affiliazione alla Ndrangheta che autorizza i suoi vertici anche a una doppia affiliazione, alla massoneria appunto. Ecco tracce di queste presenze ci sono. È vero che in quarant’anni o poco meno non è stato celebrato un processo con sentenza foss’anche solo di primo grado che certificasse questi rapporti. Dei fascicoli sono stati aperti in passato. Le rispondo ricordando che le indagini vanno fatte in silenzio».
Un anno di Catanzaro. Ricorda che a Reggio Calabria negli anni Qottanta e Novanta furono cercati i referenti politici della Ndrangheta e l’unico che finì nella rete fu Giacomo Mancini? Una giustizia perlomeno molto strabica. E a Catanzaro sono tutti al di sopra di ogni sospetto?
«Oggi vedo la Ndrangheta dominante sulla politica. Quando i politici si mettono in fila per andare dal mafioso che sanno che detiene un pacchetto di voti, vuole dire che riconoscono alla Ndrangheta un ruolo preminente. Riconoscono che la Ndrangheta ė più forte, è un modello vincente nella comunità».
Lo Stato di salute della Ndrangheta?
«Più forte di prima. Ha saputo trasformarsi. Non spara più, discute alla pari con la politica, anzi sono i politici, ripeto, che vanno a trovare i mafiosi. Non sparano ma nello stesso tempo il loro potere di intimidazione ė intatto».
Che reazione ha avuto quando ha visto in televisione le immagini del baciamano al boss Giorgi, arrestato dopo una latitanza trentennale?
«È un segno di sottomissione, di riconoscimento di un’autorevolezza carismatica di un boss. La Ndrangheta è insieme arcaicità e modernità. L’arcaicità è un collante. Dico sempre che se dovessi puntare su chi scomparirà per prima, tra la camorra, la Ndrangheta e cosa nostra, punterei tutto sulla camorra, che pure è stata la prima organizzazione criminale a insediarsi».
E perché la camorra?
«Perché sempre di più non osserva l’ortodossia delle regole, è sempre più facilona, più criminalità organizzata che mafia. Sta diventando sempre di più una forma di gangsterismo urbano. La Ndrangheta invece è ossessionata dal rispetto delle regole, che rappresenta una calamita che attrae, affascina le nuove generazioni che hanno bisogno di riconoscersi in codici e regole. Ma nello stesso tempo la Ndrangheta è moderna. È una holdign che fa affari in piena autonomia. Ogni ndrina, ogni locale ha piena autonomia nella impresa economica. Non ha bisogno di essere autorizzata».
Catanzaro capoluogo di Regione, sede della Giunta regionale. Tutti virtuosi?
«Vedo una autoreferenzialità dei gruppi dirigenti, delle famiglie che gestiscono il potere. Vedo ambigui rapporti amicali tra più figure istituzionali diverse. Frequentazioni che non dovrebbero essere coltivate nel rispetto delle diverse competenze istituzionali».
Lei ha sempre goduto di una popolarità non solo mediatica ma anche tra la sua gente, tra i calabresi. Anche ora che il tasso di popolarità della magistratura è al lumicino.
«Stiamo lavorando per recuperare il consenso popolare. La gente deve credere in noi e quindi noi dobbiamo essere coerenti tra quello che diciamo è quello che facciamo concretamente. Dobbiamo essere seri e rigorosi con noi stessi. La gente deve tornare a fidarsi di noi. Deve venire da noi a denunciare. Il calabrese è sempre stato usato dal potere e oggi è sfiduciato, un po’ paranoico e diffidente. Tocca a noi uomini delle istituzioni riuscire a convincere il popolo ad aver fiducia nella giustizia. La Calabria vi sorprenderà molto presto».