Sulla “Più Voci”, l’associazione sconosciuta e scoperta dalle nostre inchieste, qualcuno sta mentendo. Ma chi? E ancora: con quali soldi sopravvive il partito del vice premier? Ricostruiamo la galassia finanziaria leghista e le troppe dissonanze. Su cui si sta instaurando un coordinamento investigativo tra le procura di Roma e Genova
di Giovanni Tizian e Stefano Vergine
« I conti segreti di Salvini ». Due mesi fa, titolava così L’Espresso l’inchiesta di copertina sui soldi della Lega. Per la prima volta una sconosciuta associazione dal curioso nome “Più voci” usciva dall’anonimato. Fino ad allora nessuno poteva immaginarne l’esistenza. Anche perché non ha mai pubblicizzato alcuna attività politica, culturale, sociale. E non ha una sede aperta al pubblico, come le più classiche delle associazioni che lavorano sul territorio. Si trova, infatti, in via Angelo Maj 24, in un anonimo condominio di Bergamo, presso lo studio dei commercialisti che compongono il cerchio strettissimo del segretario, oggi ministro dell’Interno, Matteo Salvini. Sulla Più voci scovata dall’Espresso e fondata nel 2015 dal tesoriere della Lega scelto da Matteo Salvini, qualcuno dei protagonisti mente. Chi? Luca Parnasi, da poco in carcere per l’indagine sul nuovo stadio della Roma, cioè uno degli imprenditori che hanno finanziato con 250 mila euro la sconosciuta associazione leghista? O Giulio Centemero, il cassiere del partito, braccio destro del neo ministro dell’Interno?
Vedremo, insomma. Intanto sull’asse Roma-Genova si sta instaurando una collaborazione investigativa tra le due procure. Un coordinamento tra i pm che indagano sull’affare stadio-Parnasi e i loro colleghi che scavano sul tesoro della Lega. Gli inquirenti, dunque, hanno acceso un faro sui contributi svelati dall’Espresso e ora finiti al centro della cronaca.
Sull’Espresso in edicola da domenica 17 giugno vi raccontiamo le dissonanze tra la versione fornita dai fedelissimi di Salvini e quella di Parnasi, registrata dalle cimici dei carabinieri. Messe a confronto restuiscono un quadro contraddittorio, confuso. È un imprenitore generoso, Parnasi. Che ha fiuto per il cambiamento, percepisce prima di altri in che direzione soffierà il vento del rinnovamento nei palazzi. Negli ultimi anni, infatti, si è avvicinato alla Lega e ai Cinquestelle. Il nuovo potere, appunto.
Chi mente, dunque? L’imprenditore che intercettato dai carabinieri della Capitale rivela a un suo collaboratore di aver dato quei soldi per la campagna elettorale delle comunali di Milano? O il tesoriere di Salvini che all’Espresso aveva escluso categoricamente che quei soldi fossero finiti in attività politiche del partito?
Di certo la Lega non è ancora riuscita a chiarire fino in fondo è il ruolo dell’associazione “Più voci”. Registrata davanti a un notaio nell’autunno del 2015, dai tre commercialisti lombardi che Salvini ha voluto al suo fianco nel nuovo partito: Giulio Centemero, tesoriere, assistito dai colleghi Alberto Di Rubba e Andrea Manzoni. Ognuno di loro con l’arrivo di Salvini alla segreteria si è ritagliato un ruolo sempre maggiore all’interno della Lega.
Tra Salvini e Parnasi c’è un ottimo rapporto: «Lo conosco personalmente come una persona perbene», ha dichiarato il ministro la mattina dell’arresto del costruttore.
Ma all’epoca dell’inchiesta dell’Espresso sui “conti segreti”, né Salvini né Parnasi avevano risposto alle nostre domande sull’associazione gestita dai commercialisti della Lega. Di certo Parnasi è molto vicino al leader ora capo dei Viminale. «Amico fraterno», lo definisce in alcuni dialoghi contenuti nelle informative depositate in procura a Roma.
Parnasi non è stato il solo a versare a Più voci. L’Espresso ha documentato come anche il colosso della grande distribuzione Esselunga abbia donato denaro alla fondazione-associazione leghista. Soldi che dopo una breve sosta sui conti di Più voci sono ripartiti per finire su quelli delle società della galassi del Carroccio.
Ora, però, è l’indagine della procura di Roma, con l’arresto di Parnasi, che permette di compiere un passo in avanti. Il costruttore romano, intercettato, mostra una certa agitazione dopo aver ricevuto le nostre domande in cui gli chiedevamo conto di quei 250 mila euro versati a Più voci. Tramite il commercialista, quindi, contatta l’amico di Milano, cioè Andrea Manzoni. L’immobiliarista ha intenzione di chiedere all’uomo di Salvini di «fare una cosa retroattiva» rispetto al versamento. E poi aggiunge: «Te lo avevo detto che era una rogna», riferendosi all’inchiesta dell’Espresso sull’associazione della Lega. Ma è il passaggio successivo che rende l’idea di quanto scompiglio avessero provocato le domande: «Ragionando sulle possibili conseguenze dell’articolo, Parnasi e il suo commercialista, ipotizzano di creare una falsa documentazione contabile, retrodatata, per giustificare l’erogazione».
Ma perché tanto trambusto? Forse perché qualcuno non dice la verità. Forse è arrivato il momento per il partito del ministro di pubblicare anche i nomi degli altri finanziatori della Più voci. Esistono, e sono diversi. Lo sostiene Parnasi, secondo cui almeno 10 imprenditori avrebbero versato alla Più voci. E ce lo aveva confermato il tesoriere della Lega, trincerandosi però dietro il muro della privacy.
Nel servizio sui soldi della Lega in edicola domenica, ripercorriamo anche le tappe delle nostre inchieste esclusive pubblicate in questi mesi sulla caccia ai 48 milioni frutto della truffa dei rimborsi elettorali lasciati da Umberto Bossi sui conti del partito e mai più trovati da chi, inquirenti e investigatori, cerca di far rispettare una sentenza dello Stato.
In questi mesi L’Espresso ha ricostruito nei dettagli i flussi finanziari e societari della galassia leghista dopo gli scandali orchestrati dal vecchio tesoriere Francesco Belsito. E seguendo i fili degli affari da via Angelo Maj siamo arrivati fino in Lussemburgo, nel polmone offshore dell’Europa. Proprio il Granducato dove la guardia di finanza di Genova ha inviato una rogatoria per raccogliere maggiori informazioni su strani movimenti di denaro. Tanto che nei giorni scorsi sono state eseguite delle perquisizioni presso due filiali della Sparkasse, istituto di Bolzano dal quale sono transitati alcuni milioni riconducibili al partito, sospettano i detective. Di quel denaro a distanza di cinque anni non c’è più traccia. Con il partito e il suo attuale leader che piangono miseria. E allora come sopravvive il partito del ministro? Con quali soldi?
15 giugno 2018