di Gianni Barbacetto
È il ritorno dei “miglioristi”. Al convegno di Matteo Renzi al Lingotto, uno degli interventi più applauditi è stato quello di Biagio De Giovanni, filosofo, ex Pci napoletano, che dei “miglioristi” è l’eminenza grigia: “No alla Repubblica giudiziaria!”. Ovazione.
“Miglioristi” erano chiamati i comunisti della corrente riformista di Giorgio Napolitano, che puntava all’alleanza con il Psi di Bettino Craxi. Erano forti soprattutto a Milano, dove erano chiamati “piglioristi” per aver accettato in pieno il sistema di spartizione delle tangenti e dove furono travolti dalle indagini di Mani pulite. Ora tornano protagonisti. Proprio a Milano, dove hanno appena aperto un circolo del Pd che ha sede nella gloriosa sezione “Togliatti” di corso Garibaldi, poi ribattezzata “Aldo Aniasi”, in onore all’ultimo sindaco socialista di Milano indenne da avvisi di garanzia. Sfrattati Togliatti e Aniasi dal Pantheon dem, il circolo è stato chiamato “Cuore e critica-Meriti e bisogni”. “Cuore e critica” in onore a Critica sociale, la rivista di Filippo Turati che poi divenne una bandiera del craxismo. “Meriti e bisogni” è invece lo slogan lanciato da Claudio Martelli alla conferenza programmatica del Psi tenuta a Rimini nel 1982.
“Vogliamo rifondare la grande corrente migliorista dentro il Partito democratico”: questa la dichiarazione programmatica di Sergio Scalpelli, comunista migliorista negli anni Novanta, poi socialista, radicale, berlusconiano, assessore con il sindaco Pdl Gabriele Albertini, fondatore del Foglio con Giuliano Ferrara. Ora chiude il cerchio e torna all’ovile migliorista. A Milano ha raccolto attorno a sé una variegata collezione di ex. Ex Pci, innanzitutto, come Massimo Ferlini, assessore comunista arrestato da Mani pulite e poi presidente della ciellina Compagnia delle Opere; e come Piero Borghini, sindaco di Milano su indicazione di Craxi agli inizi di Mani pulite. Ma nella compagnia ci sono anche tanti ex centrodestra, come il ciellino Marco Sala, già formigoniano e già amministratore della rivista di Cl Tempi; e come un paio di comunicatori prestati alla politica, Daniele Bonecchi e Roberto Arditti, che è stato portavoce del ministro Claudio Scajola, direttore del quotidiano Il Tempo, direttore comunicazione di Expo, stratega della campagna elettorale del sindaco Giuseppe Sala e ora suo consulente pagato dal Comune di Milano.
Nel circolo c’è anche un personaggio defilato ma potente: Adrio De Carolis. Figlio di Massimo De Carolis, assessore della destra democristiana nella Prima Repubblica, leader della Maggioranza silenziosa, iscritto alla P2, frequentatore del bancarottiere Michele Sindona quando questi era latitante. Il figlio è un renziano a 24 carati, amministratore delegato della società di sondaggi Swg, ma soprattutto presidente della Fondazione Eyu, uno dei salvadanai di Renzi. Eyu sta per Europa, Youdem, Unità, cioè le tre testate (due quotidiani e una tv) del Pd. Ma Eyu è anche lo strumento di fund raising, cioè raccolta soldi, che Massimo D’Alema ha fatto escludere dall’accesso ai fondi europei della Fondazione Feps, la rete dei think tank del Partito socialista europeo.
Segretario del nuovo circolo milanese dei miglioristi è Ferlini, detto “Croce e Martello”. La pagina Facebook di “Meriti e bisogni” esibisce come icona Stalin con in braccio un bambino e la scritta: “E comunque i bambini non contengono olio di palma”. Renziani e comunisti, tendenza ironia sorniona. E soprattutto grandi sostenitori di Sala, che hanno tutti contribuito, quando ancora non erano strutturati in sezione, a eleggere sindaco.
Il programma, secondo Scalpelli, è “sostenere il grande rilancio riformista di Matteo Renzi”. Ora si aspettano iniziative e manifestazioni, anche in vista dello scontro delle primarie per il segretario Pd. Con una prima contraddizione: gli eredi ufficiali dei miglioristi – la linea l’ha dettata Giorgio Napolitano in persona – alle primarie non sono schierati con Renzi, ma con Andrea Orlando.
Il Fatto quotidiano, 19 marzo 2017
Caro Emiliano, ma dovevi riciclare proprio Penati?
di Gianni Barbacetto
Caro Michele Emiliano.
Ti sei candidato alle primarie che sceglieranno il segretario del Partito democratico e sei apparso subito come il più “nuovo” dei tre che si sfideranno, il meno compromesso con gli apparati di partito e con i vecchi riti della politica. Per questo ci siamo stupiti quando hai annunciato che a Milano il tuo punto di riferimento sarà Filippo Penati. Ex sindaco di Sesto San Giovanni, ex presidente della Provincia di Milano, ex capo della segreteria politica di Pier Luigi Bersani, l’ultimo uomo forte del Pci-Pds-Ds-Pd in Lombardia. Era il centro di un formidabile sistema di potere che incrociava politica e affari e che aveva il suo punto di forza in alcuni imprenditori, tra cui spiccavano due vecchie conoscenze di Mani Pulite, Marcellino Gavio e Bruno Binasco.
Tu sei stato magistrato. Non farai dunque fatica a capire la brutta storia del “Sistema Sesto”. Penati racconta in giro che è stato “assolto da tutto”. Non è vero. Per la più grave delle accuse, concussione, ha goduto della prescrizione, anche se aveva giurato pubblicamente che l’avrebbe rifiutata. E il 30 marzo inizierà il processo d’appello anche per le accuse “minori” dalle quali è stato assolto, con una sentenza contro cui la Procura della Repubblica ha fatto un ricorso con parole durissime.
Ma lasciamo stare le questioni penali. Che peccato che il più “nuovo” dei candidati alla segreteria del Pd, a Milano vada a braccetto con il più “vecchio” uomo politico della sinistra lombarda. Quel Penati che fece un regalo a Gavio quando, da presidente della Provincia, gli comprò la sua quota di azioni Serravalle (di cui pure aveva già la maggioranza insieme al Comune di Milano), facendo sborsare alla Provincia – cioè ai cittadini – ben 238 milioni di euro e regalando a Gavio una plusvalenza di 176 milioni. Nell’operazione, la Serravalle si è indebitata e ancora oggi non si è ripresa dal salasso. Quel Penati che cacciò il presidente di Serravalle, Bruno Rota, perché aveva osato dire che era un’operazione sbagliata per la società.
Quel Penati che aveva come suo uomo di fiducia e tessitore dei rapporti con le aziende l’architetto Renato Sarno, che girava per gli uffici della Serravalle, in cui non aveva alcun ruolo ufficiale, come se ne fosse il padrone. Quel Penati che aveva messo su una fondazione, Milano Metropoli, che non ha fatto una sola iniziativa pubblica, ma serviva soltanto a raccogliere soldi dagli imprenditori. Quel Penati che non ha rinunciato alla prescrizione e dunque non si è fatto processare per la supertangente (5 miliardi e 750 milioni di lire) che l’imprenditore Giuseppe Pasini dice di aver pagato a Penati come anticipo di una mazzetta complessiva di 20 miliardi di lire, per ottenere di poter costruire sull’area Falck di Sesto San Giovanni.
Forse Penati sarà innocente e Pasini un calunniatore. Ma non lo sapremo mai con certezza, perché nessun giudice ha potuto valutare le prove dell’accusa e gli argomenti della difesa: la prescrizione ha chiuso la faccenda. Penati aveva giurato che ci avrebbe rinunciato, ma con una mossa furbetta (era assente dall’aula proprio nel momento magico), la prescrizione gli è piovuta addosso a sua insaputa e lo ha reso puro come un giglio.
E adesso ritorna in politica, facendosi scudo di un ex magistrato, dopo aver ricevuto il mandato di organizzare le truppe, e magari anche i finanziamenti, per Michele Emiliano. Conoscendo la sua vecchia rete di rapporti, non dubito che potrà avere qualche risultato. Potrà riuscire a raccogliere soldi e anche voti. Ma datemi retta: ve ne farà anche perdere tanti.
Il Fatto quotidiano, 19 marzo 2017