di Gianni Barbacetto
Ognuno si consola come può. Il Pd lombardo lo fa festeggiando i buoni risultati ottenuti a Milano, che “si conferma”, gioisce il segretario metropolitano Pietro Bussolati, “il laboratorio di riformismo, inclusione e argine al populismo”. E il sindaco Giuseppe Sala: “Ora per la sinistra, modello Milano”. A guardare i risultati con un po’ più di distacco, si capisce che il Partito democratico ha poco da festeggiare. Anche a Milano. In regione il distacco tra il candidato di centrodestra Attilio Fontana e quello di centrosinistra Giorgio Gori è stato di 20 punti. Una batosta mai vista.
La grancassa della propaganda diceva, in campagna elettorale: “Gori è a un soffio da Fontana, Gori può vincere, non disperdete il voto di sinistra dandolo ai candidati di Liberi e uguali o di Potere al popolo, perché proprio i vostri voti dispersi potrebbero portare i razzisti al governo della Regione”. Quando per convincere gli elettori fa leva sulla paura, la sinistra perde. Il gioco dello spauracchio riesce alla destra, che costruisce il consenso (anche) facendo leva sulla pancia e su inesistenti pericoli di “invasione”. A sinistra no: devi dare diritti, invece che toglierli. E tutti i diritti, primi fra tutti quelli sul lavoro, che invece è stato reso incerto, precario e insicuro. Poi quelli sulla cittadinanza, sulle scelte sessuali, sul finevita eccetera: importantissimi, ma che non vanno sventolati – e la sinistra spesso lo fa – come gadget sostitutivi dei diritti al lavoro, all’assistenza, alla salute, alla sicurezza.
Sconfitta secca, in Lombardia. Netta. Storica. Altro che distanza di un soffio: 20 punti. E non più per mano di un Silvio Berlusconi, o di un Roberto Formigoni. Ormai è Matteo Salvini il leader di una Lega che ha tolto il Nord dalla ragione sociale ma al nord trionfa, ribaltando le previsioni e strappando a Forza Italia la guida del centrodestra. Anche in Lombardia, anche se qui la Lega mostra la faccia più rassicurante del “maroniano” Fontana.
“Purtroppo il forte vento populista ha prevalso”, commenta sconsolato Bussolati, dando la colpa al vento, invece di interrogarsi sulle risposte (blowing in the wind) non date al popolo della sinistra, che anche qui ha votato Lega o Cinquestelle. “C’è un dato, però, che non possiamo ignorare: di fronte a una brutta sconfitta”, si consola Bussolati, “il dato di Milano è in controtendenza e positivo. Ora, però, non vogliamo e non possiamo chiuderci nel villaggio di Asterix”.
Ecco. Il dato “positivo e in controtendenza” non è, in verità, quello di Milano, ma quello del centro di Milano. È solo nei quartieri del centro che il Pd vince. Gli Asterix chic sono Bruno Tabacci, che ha trionfato nel collegio Milano 1 (piazza Duomo), Lia Quartapelle, che ha vinto a Milano 2 (Porta Venezia), e Mattia Mor, l’ex tronista che è riuscito a prevalere a Milano 3 (Navigli). Tutto attorno, i quartieri anche semicentrali, e poi la periferia, hanno votato Lega e Cinquestelle.
“In centro a Milano, dove il Pd ha tenuto, vive gente ricca”, ha dichiarato il professore della Bocconi Pietro Stanig. “La ripresa economica dell’1,5 per cento c’è stata, ma concentrata solo in alcune zone molto privilegiate come questa città che ha una condizione economica non paragonabile al resto del Paese”. Risultato? “Una volta i lavoratori votavano a sinistra e la borghesia a destra. Adesso è il contrario”. Mentre il Pd si dava da fare per glorificare le magnifiche sorti e progressive di Expo, della fashion week e delle start up, il mondo reale, quello delle periferie degli sconfitti della globalizzazione, dei disoccupati e dei precari, hanno scelto Lega e i Neet – i giovani che non studiano e non lavorano – hanno votato Cinquestelle.
Il Fatto quotidiano, 8 marzo 2018 (versione ampliata)