Il 28 aprile 2021 migliaia di colombiani, in gran parte giovani, sono scesi nelle strade contro una riforma tributaria che mirava a gravare il carico fiscale sulle famiglie più povere del paese, che rappresentano la metà della popolazione. La pressione popolare ha obbligato il governo di Iván Duque a ritirare la riforma dopo quattro giorni dall’inizio delle proteste, ma il “paro general” è continuato per un mese come espressione di una rabbia accumulata nel tempo, per la fame, l’espropriazione, i soprusi e le violenze subite, assumendo il carattere di sciopero politico per un cambiamento radicale.
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E’ una mobilitazione che ancora continua, nonostante abbia dovuto subire un’immane violenza da parte della forza pubblica, con 45 omicidi di manifestanti, 25 stupri (dati parziali, fino al 31 maggio), e migliaia fra pestaggi, ferimenti e arresti arbitrari.
Il “paro general” non investe solo la capitale, ma anche le province e le campagne, la cui condizione negli ultimi anni non ha fatto che peggiorare.
La Colombia è il primo paese al mondo per esecuzioni extragiudiziali.
Secondo i dati di Indepaz, aggiornati al 30 gennaio 2021, a cinque anni dalla firma degli accordi di pace fra lo Stato colombiano e la guerriglia comunista delle FARC, sono stati assassinati 1134 fra leader sociali, indigeni, ambientalisti, contadini, ed ex guerriglieri tornati alla vita civile, abbattuti con omicidi selettivi. Una tendenza in continua crescita che investe in maniera particolare le zone rurali.
Per Carlos Medina Gallego, docente della Universidad Nacional de Colombia, in questa escalation è palese la connivenza dello Stato con i gruppi paramilitari, la partecipazione frequente alle violenze di membri delle forze armate, le azioni e le omissioni di alti funzionari, e la responsabilità del governo di ultradestra di Iván Duque. Carlos Medina segnala come circa il 70% degli omicidi dei leader sociali siano connessi ai conflitti agrari o ambientali, e circa il 10% alle eradicazione forzate da parte della forza pubblica delle coltivazioni di coca delle comunità indigene e contadine.
Eradicazioni attuate in violazione degli accordi di pace del 2016, che prevedevano il sostegno ad un processo di sostituzione volontaria delle colture, accompagnato dalla creazione di alternative per il sostentamento delle popolazioni rurali, rimaste solo sulla carta.
L’articolo che segue di Lautaro Romero, tratto da Revista Citrica, ci parla del ruolo del movimento contadino a fianco del resto della popolazione impoverita, nel contesto della rivolta attuale.
Traduzione di Marina Zenobio
Qui la versione in spagnolo.
Le foto sono tratte da: Colombia Informa. Agencia de Comunicación de los Pueblos.
Dietro l’esplosione sociale nelle aree urbane suscitata dallo Sciopero Nazionale ci sono contadini e contadine che si stanno organizzando e sognano un futuro migliore. Portano con loro una lunga storia di violenza, persecuzione, abbandono da parte dello Stato e abuso da parte del modello estrattivista.
“Uno degli avvenimenti che ha segnato la mia vita risale a quando sul territorio è arrivata una multinazionale, un’impresa che produce legno di pino e eucalipto per la trasformazione e l’elaborazione di carta da esportare. E’ arrivata e ha comprato una grossa estensione di terra coperta da bosco nativo. Dopo aver tagliato tutto il bosco nativo e venduto la legna, su questa stessa terra ha creato una coltivazione di pino ed eucalipto, quello che oggi chiamano ‘deserto verde’. Col tempo siamo riusciti ad impedire che comprassero altra terra. Tutte le imprese multinazionali presenti sul territorio colpiscono negativamente la vita dei contadini, ne deteriorano l’identità culturale, l’economia, ne cambiano la vocazione di produrre alimenti”.
Correva l’anno 1986 ma Marylen Serna Salinas ricorda come fosse ieri il giorno in cui arrivarono le ruspe e le promesse di progresso da parte dell’impresa – di origine europea – Smurfit Kappa Cartón di Colombia. Fu un punto di svolta per lei e per tutta la comunità di Cuajibio, dove Marylen è nata e cresciuta, nel dipartimento del Cauca, sud-ovest della Colombia. “Era stato sempre un luogo dove si parlava di problemi comunitari – racconta l’attuale leader del Movimiento Campesino de Cuajibio (MCC) e portavoce del Congresso dei Popoli -. Sono cresciuta in questo ambiente, circondata da una certa leadership. A partire da quel momento abbiamo iniziato una lotta per la difesa dell’acqua, del bosco, della natura. Da allora sono coinvolta nel lavoro comunitario, nello sviluppo sociale e economico delle comunità contadine”.
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E’ un impegno che persiste ancora oggi, nelle strade e nelle vie, ad un mese dall’inizio del grande Sciopero Nazionale nelle principali città della Colombia. Un’esplosione sociale che ha avuto la sua genesi nello sciopero civico del 21 novembre 2019, spinto da rivendicazioni popolari storiche, fallimenti dello Stato, mancanza di rappresentanza politica, sottomissione, criminalizzazione, militarizzazione dei territori e violazione dei diritti umani.
Le ragioni che smuovono Marylen sono le stesse che portarono i contadini, le contadine e un’intera popolazione impoverita a credere in un futuro migliore possibile.
La verità è che la condizione dei più poveri è peggiorata durante la pandemia con la perdita del lavoro, il confinamento in alloggi al di sotto degli standard e le donne che subiscono violenza di genere. La minaccia latente della Riforma Fiscale che ha un impatto diretto sui prezzi di cibo, carburante, internet, input agricoli, carne, latte e uova, è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso e fatta arrivare al culmine la pazienza della società colombiana.
Nel frattempo l’angoscia, le morti, la violenza della polizia, gli stupri, le sparizioni e gli omicidi aumentano. Il presidente Iván Duque, lungi dal cercare un accordo – diverse le riunioni fallite con il Comitato Nazionale dello Sciopero -, ordina una mano ancora più dura, con armi da guerra e una forza pubblica spietata che ha il compito di eliminare i blocchi tenuti dai manifestanti di vari settori sociali.
Spiega sconsolata Marylen al telefono: “Noi non siamo a favore del tavolo del negoziato. Il trattamento criminale che lo stato colombiano ha riservato alla protesta ci impone di rifiutare livelli di dialogo con il governo in termini di negoziazione. Speriamo che cada questo malgoverno che non ascolta, che ci reprime, che non rispetta la protesta sociale e che non dà garanzie per la vita e per i diritti umani. Vogliamo che il governo riconosca la realtà contadina come soggetto di diritti. Chiediamo al governo di dimettersi per poter costruire nuove condizioni per il paese. In Colombia abbiamo bisogno di un cambiamento radicale che includa tutta la popolazione. Questo è uno sciopero politico. Speriamo di rimanere uniti e forti affinché sia considerato come tale”.
Più estrattivismo, meno vocazione contadina
In un paese come la Colombia, dove il potere reale è nelle mani di pochi e la maggioranza della popolazione non ha assolutamente nulla, il campo è stato storicamente uno dei settori più degradati, quello che ha vissuto sulla propria pelle le peggiori esperienze di conflitti armati e che ha subito il maggior numero di morti.
Nel 2011, funzionari dell’Istituto Colombiano di Agricoltura (ICA) scortati da agenti dell’ESMAD – Escuadrón Móvil Antidisturbios – sequestrarono 70 tonnellate di semi di riso a un gruppo di contadini di Campo Alegre, dipartimento di Huila, perché quelle sementi erano “criollas” e non “certificati”. Migliaia di chili di riso buttati in discarica. L’operazione era conforme alla risoluzione 970 dell’ICA, emessa fondamentalmente per sottoscrivere il Trattato di Libero Commercio con gli Stati Uniti, per condannare i contadini che non seminavano questo tipo di semi e che non rispettavano i “diritti di proprietà” delle imprese produttrici come Monsanto, Du Pont e Syngenta. Monopoli che si sono dedicati alla creazione di OGM e alla vendita di pacchetti tecnologici, accumulando profitti attraverso l’applicazione della proprietà intellettuale sui semi ad “alto rendimento”.
Non erano interessati alle tonnellate di cibo buttate nella spazzatura. Ancor meno della conoscenza ancestrale. Questa è una delle immagini più impressionanti del documentario “9.70”, diretto nel 2013 dalla giornalista e regista Victoria Solano. Grazie al suo docufilm e alla sua denuncia sulle disuguaglianze e sulle vessazioni perpetuate nei secoli, Solano ha avviato il dibattito e i contadini sono riusciti a far congelare la legge. Ma al di là della conquista, non poterono evitare le conseguenze di quella risoluzione e le fallite promesse di libero scambio, che finirono con la distruzione dell’apparato agrario di produzione locale e il crollo delle esportazioni.
Video: Victoria Solano, “9.70”
Victoria ci porta ai problemi attuali attraversati dal settore: “Le esigenze del campo sono molte ma anche diverse. Qualcosa che le può unire è la visione di un paese che, per decisione del governo, ha smesso di essere un produttore di cibo per diventare un esportatore di carbone. Un paese minerario-energetico che gestisce l’educazione e la salute attraverso la logica del profitto. Questo ha lasciato fuori molti contadini. Sono stati approvati accordi di libero commercio che li stanno impoverendo”.
Racconta che in piena pandemia “i contadini non potevano portare i loro prodotti dalla fattoria alle città ma il governo, allo stesso tempo, abbassava le tasse sul grano importato dagli Stati Uniti. Sulle lotte rurali Victoria dice: “Queste ingiustizie sono ciò per cui lottiamo. Ci sono altri settori che non vogliono il fracking sul proprio territorio. L’intenzione del governo è quella di convertire la Colombia in una paese minerario e di lasciarsi alle spalle ogni vocazione contadina e agro-discendente che abbiamo. In particolare in uno dei punti la Riforma ha stabilito una tassa dell’8% su tutti gli input agricoli utilizzati dai contadini, ma non ha dato loro alcuna altra possibilità di produzione. Li hanno tassati per contaminare il suolo“.
Tra glifosato e coca
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Un’altra delle misure del governo di Duque, che più polemiche e opposizione ha generato, è stata la riattivazione delle irrorazioni con glifosato su coltivazioni illegali. Il rifiuto dell’uso di prodotti agrotossici e la cura dell’ambiente sono i principali temi che sostengono e guidano la protesta sociale nelle strade.
Vittoria: “E’ stato dimostrato che le irrorazioni con glifosato, in dosi molto più concentrate rispetto a quelle utilizzate su coltivazioni normali, non ha avuto alcun effetto contro il narcotraffico. Fa male solo alla salute dei contadini che seminano coca perché non hanno altra scelta, perché sono spesso minacciati dai narcotrafficanti. Ci sono anche contadini che non lo fanno, ma vivono comunque vicino a campi coltivati a coca. Per questo è molto importante che si realizzi la Riforma Rurale all’interno dell’Accordo di Pace, per garantire l’accesso all’acqua e all’alimentazione”.
“La verità è che l’attuale governo ha fatto a pezzi quell’accordo e nessun passo avanti è stato fatto sui progetti di sviluppo rurale – spiega la giornalista -. Speriamo di migliorare la vita dei contadini e che non ci sia più violenza. Un bambino che vive lontano dalla città non ha accesso alla scuola ma neanche alla vita del campo che è diventato sempre meno redditizio. Ciò che questi bambini hanno come modello di vita sono i gruppi illegali che gestiscono la popolazione. La colpa del fatto che questi contadini siano finiti a coltivare coca è dello Stato, perché sono minacciati da gruppi illegali e non hanno altra scelta, vivono in una zona dove è l’unico modo per sopravvivere. Non è stata nemmeno garantita loro l’alfabetizzazione e, quando un contadino coltiva la coca, viene trattato come un criminale. Lo stato è assolutamente assente”.
Qual è la prospettiva del Movimento Contadino? “C’è una proposta di sostituzione volontaria delle coltivazioni e di netto rifiuto dell’uso del glifosato nelle irrorazioni – continua Marylen Serna -. È assurdo che non si riconoscano le cause che hanno generato l’arrivo delle coltivazioni illegali sul territorio, come la povertà, l’abbandono, la mancanza di una Riforma Rurale che ci dia terra, case, che appoggi la produzione, la commercializzazione e le vie di comunicazione per queste comunità”.
E aggiunge: “Oggi la lotta dei contadini e delle contadine è attaccata dalla militarizzazione dei territori e dalle coltivazioni illegali. Noi proponiamo alternative alle coltivazioni illegali che, sebbene rendano possibile la sussistenza economica, allo stesso tempo distruggono il tessuto sociale e familiare, generano situazioni di violenza, attirano attori armati sul territorio, generano dispute, poca autonomia e lo spostamento forzato di comunità e leader”.
La mobilitazione sociale è uno strumento storicamente utilizzato dal popolo organizzato per rivendicare i propri diritti. Però sul territorio esistono altri strumenti, come la formazione di Guardie Indigene per prevenire aggressioni contro le comunità. Marylen le definisce così: “Sono gruppi di persone che sono state preparate politicamente, fisicamente e organizzativamente, che sono forti per la protezione e la difesa del territorio e delle persone che lo abitano. Esercitano la conoscenza e la consapevolezza dell’organizzazione, le problematiche che lì si vivono, se ci sono restrizioni per la partecipazione nella società. Si incaricano di salvaguardare la vita e di vigilare sulla presenza di attori armati”.
Agricoltura familiare e sovranità alimentare
In Colombia l’agricoltura contadina, familiare e comunitaria produce più del 70 per cento degli alimenti del paese. Inoltre è l’attività che genera più posti di lavoro e ha un ruolo inestimabile nel garantire la sicurezza alimentare e nell’affrontare la crisi che il Covid-19 ha ancora di più aggravato.
Donne e uomini resistono nelle loro piccole fattorie, insistendo nel preservare le proprie coltivazioni nonostante la perdita dei raccolti. Si tratta di garantire il cibo, anche quando le politiche dello Stato li escludono con modelli che, per la loro concezione della vita, non li rappresentano. Al contrario, li contraddicono e negano loro persino la possibilità di vivere della loro terra, di andare a scuola, di essere curati negli ospedali. Gli tolgono il potere di decisione e la possibilità di sognare un domani.
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Marylen spiega: “Il mondo contadino è quello che provvede al cibo e alla cura della natura. E’ fondamentale che sia riconosciuto nella Costituzione. Abbiamo una proposta di territori contadini agroalimentari, una pianificazione territoriale per una maggiore giustizia nell’uso e nel possesso della terra. È una proposta che include l’auto-riconoscimento culturale, il rafforzamento dell’identità culturale contadina, la sovranità alimentare, una propria economia e proprie forme organizzative. Perseguiamo anche l’idea di un reddito di base, un sostegno per 9 milioni di famiglie”.
Che cos’è la sovranità alimentare?
“E’ un elemento fondamentale per la costruzione dell’autonomia territoriale. Senza sovranità alimentare saremmo dipendenti e consegneremmo la nostra autodeterminazione ad altri attori armati, politici, economici che sono permanentemente presenti nel territorio. E’ garantire autonomia, sviluppare azioni per la difesa, per lo sviluppo di nuovi modelli economici e organizzativi, per la salute e per l’educazione. Significa costituirci come soggetti politici. Riscattare le nostra pratiche originarie di coltivazioni, proteggere i nostri semi, curare la terra e l’acqua. Significa potere popolare e una vita dignitosa”.
Per Victoria Solano “i paesi devono garantire cibo sano e genuino prodotto sul proprio territorio” perché “le importazioni e il commercio internazionale sono in dubbio”. Spiega che: “Noi esseri umani abbiamo trovato una modo sicuro di alimentarci attraverso l’agricoltura familiare. Dopo la Rivoluzione Verde sono state le piccole aziende agricole a fornire oltre il 70 per cento del cibo per il mondo. E’ fondamentale garantire che questa gente, che ha inoltre una conoscenza importantissima per l’umanità, continui a coltivare senza bisogno di dipendere da una multinazionale, che gioca con regole proprie e ha un incredibile potere”.
Sulle prospettive dello Sciopero Nazionale: “Il momento è cruciale. La Colombia potrebbe riconsiderare gli oltre 100 anni di estrattivismo minerario che, come paese, non ci hanno lasciato nulla. Le compagnie minerarie prendono le nostre risorse naturali e lasciano danni ambientali. Finisce per essere più costoso recuperare i danni lasciati dalle compagnie rispetto al denaro che posso portare al paese. A ciò si aggiunge l’impossibilità di usare la terra per altri scopi come, per esempio, produrre alimenti”.
Ci chiediamo: fino a quando? Forse il futuro a cui i colombiani e le colombiane aspirano ha bussato alla porta.
Forse è arrivato il momento della “svolta” di cui parla Victoria per uscire dalla povertà e dalla diseguaglianza sociale.
Forse il momento è ora e, per la nascita di un nuovo paese, dobbiamo guardare al progetto del mondo contadino.
26 giugno 2021