Naomi Klein spiega come i governi e le élite globali sfrutteranno la pandemia. Traduzione di Anna Clara Basilicò dell’articolo pubblicato in inglese su Reader supported News.
Il Coronavirus è ufficialmente una pandemia globale che ha contagiato, finora, 10 volte il numero di persone colpite da SARS. Scuole, università, musei e teatri stanno chiudendo in tutti gli Stati Uniti e presto potrebbero fare lo stesso intere città. Gli esperti avvertono che alcune persone, pur sospettando di essere affette da Covid-19, stanno continuando la loro routine quotidiana, sia perché non hanno accesso a misure sussidiarie di reddito, sia a causa del collasso sistemico del sistema sanitario privatizzato.
La maggior parte di noi non sa esattamente cosa fare o chi ascoltare. Il presidente Donald Trump ha contestato le raccomandazioni del Centro di Controllo e Prevenzione Sanitaria e questi segnali contraddittori hanno ridotto la finestra temporale entro cui agire per limitare i danni dell’epidemia.
Per i governi e le élite globali si tratta delle condizioni perfette per rendere effettivi quei programmi politici che, in circostanze diverse, se non fossimo tutti disorientati, incontrerebbero una durissima opposizione. Questa catena di eventi non è una prerogativa solamente della crisi provocata dal Coronavirus, è un progetto che la classe politica e i governi hanno perseguito per decenni e noto come “dottrina dello shock” secondo la categoria coniata dall’attivista e scrittrice Naomi Klein nel volume pubblicato nel 2007 [Shock economy. L’ascesa del capitalismo dei disastri, ndt].
La storia è una cronaca di “shock” – gli shock della guerra, dei disastri naturali, delle crisi economiche – e delle loro conseguenze. Le ripercussioni si configurano nel cosiddetto “capitalismo dei disastri”, nelle “soluzioni” di libero mercato pianificate in risposta a crisi che sfruttano ed esasperano le disuguaglianze esistenti.
La Klein sostiene che stiamo già assistendo allo spettacolo del capitalismo dei disastri su scala nazionale. In risposta al Covid-19, Trump ha proposto un pacchetto di incentivi per 700 miliardi di dollari che includerebbe tagli sull’imposta sui salari (il che devasterebbe la previdenza sociale) e un sostegno alle imprese che registreranno un calo degli affari a causa della pandemia.
«Non lo stanno facendo perché credono sia il modo migliore per contenere il danno in tempo di pandemia – covano questo progetto da lungo tempo e ora hanno trovato un’opportunità per perseguirlo» sostiene la Klein.
Partiamo dalle basi. Cos’è il capitalismo dei disastri? Che rapporto ha con la dottrina dello shock?
Il modo in cui io intendo il capitalismo dei disastri è estremamente diretto: descrive il modo in cui l’industria privata si solleva per trarre profitto diretto da crisi su larga scala. Le speculazioni sulla catastrofe o sulla guerra non sono nulla di nuovo, ma sono seriamente cresciute sotto l’amministrazione Bush dopo l’11 settembre, quando il governo ha approvato questa sorta di crisi di sicurezza permanente, contemporaneamente privatizzandola e subappaltandola – tanto lo stato di sicurezza, privatizzata, interna quanto l’invasione e l’occupazione (anch’essa privatizzata) dell’Iraq e dell’Afghanistan.
La dottrina dello shock è la strategia politica dell’usare crisi su larga scala per far passare politiche che sistematicamente aumentano le disuguaglianze, arricchiscono le élite e tagliano fuori chiunque altro. Nei momenti di crisi, le persone tendono a concentrarsi sull’emergenza quotidiana del sopravvivere alla crisi, qualunque essa sia, e tendono a riporre fiducia eccessiva nel gruppo al potere. Distogliamo un po’ lo sguardo nei momenti di crisi.
Questa strategia politica da dove arriva? Come ricostruisci la sua storia nella politica statunitense?
La strategia della dottrina dello shock è una risposta al New Deal di Roosevelt. L’economista Milton Friedman riteneva che ogni cosa fosse andata per il verso sbagliato in America durante il New Deal: in risposta alla Grande Depressione e alle Dust Bowl [le tempeste di sabbia che colpirono gli USA e il Canada tra il 1931 e il 1939 provocando un terribile disastro ecologico, con conseguenze su centinaia di migliaia di persone, ndt], emerse un governo più marcatamente attivista, che assunse come obiettivo la risoluzione diretta della crisi economica attraverso la creazione di posti di lavoro statali e offrendo sussidi immediati.
Se sei un economista che sostiene strenuamente il libero mercato, capirai che quando i mercati crollano la situazione si presta a un cambiamento progressivo in maniera molto più organica rispetto a quanto non facciano le politiche di deregulation funzionali alle multinazionali. Di conseguenza, la dottrina dello shock è stata sviluppata come un modo per prevenire la tendenza, durante le crisi, a dare spazio a momenti organici in cui le politiche progressiste potevano farsi strada. Le élite politiche ed economiche capiscono che i momenti di crisi rappresentano la loro occasione di far emergere la loro lista dei desideri di politiche – affatto popolari – in grado di polarizzare ulteriormente il benessere all’interno di questo Paese e in tutto il mondo.
Al momento stiamo fronteggiando più di una crisi contemporaneamente: una pandemia, la mancanza di infrastrutture per gestirla e il crollo del mercato azionario. Riesci a tracciare un profilo di come ciascuna di queste componenti si inserisce all’interno della cornice che hai tracciato nel volume Shock economy. L’ascesa del capitalismo dei disastri?
Lo shock è proprio il virus. Ed è stato gestito in modo da massimizzare la confusione e minimizzare la protezione. Non penso sia un complotto, è semplicemente il modo in cui il governo USA e Trump hanno gestito drammaticamente male la crisi. Trump finora ha trattato la cosa come se non fosse una crisi della salute pubblica, bensì come una crisi della percezione e un potenziale problema per la propria ri-elezione. È il peggior scenario possibile, soprattutto se lo si legge in relazione alla mancanza di un programma di health care nazionale e al terribile programma di tutela dei lavoratori. Questa combinazione di forze ha prodotto uno shock esponenziale, che verrà sfruttato per salvare le imprese al centro delle crisi più gravi che stiamo affrontando, come quella ecologica e ambientale: l’industria dei trasporti aerei, il settore del fossile, l’industria crocieristica – l’obiettivo è di sostenerle tutte.
Come abbiamo assistito in passato a questo spettacolo?
In Shock economy ho parlato di come tutto ciò fosse accaduto dopo l’uragano Katrina. I centri di ricerca di Washington come l’Heritage Foundation se ne vennero fuori con una lista di soluzioni a favore del libero mercato. Possiamo essere certi che la stessa tipologia di riunioni stia avendo luogo in questo momento – in effetti, a presiedere la commissione su Katrina fu Mike Pence [attuale vicepresidente degli Stati Uniti, ndt]. Nel 2008, la stessa dinamica si è avuta con il salvataggio delle banche, quando gli Stati hanno emesso una serie di assegni in bianco alle banche, che alla fine sono arrivati a un totale di migliaia di miliardi di dollari. Ma i costi reali della crisi hanno preso forma nell’austerity e nei successivi tagli ai servizi sociali. Di conseguenza non è solo quello che sta succedendo ora, ma il modo in cui la pagheranno giù in strada quando arriverà il conto per tutto questo.
Esiste qualcosa che le persone possono fare per limitare i danni del capitalismo dei disastri che già scorgiamo in risposta al Covid-19? Ci troviamo in una posizione migliore o peggiore rispetto a quella in cui versavamo durante l’uragano Katrina o durante l’ultima recessione globale?
Quando reagiamo a una crisi o regrediamo e ci disperdiamo o cresciamo e troviamo riserve di forza e compassione che non credevamo di possedere. Questo sarà uno di questi test. La ragione per cui nutro qualche speranza sul fatto che sceglieremo di evolverci è che – a differenza del 2008 – abbiamo una reale alternativa politica che sta proponendo una risposta diversa alla crisi, una risposta che attacca alle radici le cause della nostra vulnerabilità e che ha un movimento politico tanto più esteso a sostenerla.
Questo è quello che tutto il lavoro intorno al Green New Deal ha rappresentato: prepararsi a un momento come questo. Semplicemente, non possiamo perdere il nostro coraggio; dobbiamo combattere più forte di prima per una sanità pubblica universale, per l’assistenza universale all’infanzia, per i permessi per malattia pagati – è tutto strettamente legato.
Se i nostri governi e le élite globali sfrutteranno questa crisi per i loro fini, le persone cosa possono fare per prendersi cura gli uni degli altri?
«Io mi prenderò cura di me e di me stesso, possiamo avere la migliore assicurazione in circolazione, e se tu non ne hai accesso è probabilmente colpa tua, non è un problema mio»: è questo che questa specie di economia alla winners-take-all fa alle nostre menti. Quello che un momento di crisi come questo scopre è la nostra permeabilità reciproca. Stiamo vedendo in tempo reale come siamo, in realtà, molto più legati gli uni agli altri di come il nostro brutale sistema economico ci vorrebbe far credere.
Potremmo pensare di essere al sicuro, se abbiamo una buona assicurazione sanitaria, ma se le persone che preparano il nostro cibo, che lo consegnano o che impacchettano le nostre scatole non hanno accesso a nessuna assicurazione e non possono permettersi il test – e figurarsi se possono rimanere a casa dal lavoro, dato che non hanno i permessi per malattia pagati – nemmeno noi saremo al sicuro. Se non ci prendiamo cura gli uni degli altri, nessuno di noi può dirsi al sicuro. Siamo intrappolati.
Modi diversi di organizzare la società mostrano parti diverse di noi stessi. Se fai parte di un sistema che sai non prendersi cura delle persone e non redistribuire le risorse in maniera equa, allora la parte più egoistica di te verrà sollecitata. Serve essere consapevoli di questo e pensare al modo in cui, invece di accumulare e di pensare al modo in cui prenderti cura di te stesso e della tua famiglia, puoi fare perno sulla condivisione con i tuoi vicini e sull’attenzione alle persone più vulnerabili.
17 / 3 / 2020
Traduzione di un’intervista di Marie Solis (VICE)