In foto: il pm Giuseppe Lombardo © Paolo Bassani
In aula la testimonianza dell’ufficiale della Dia Di Stefano
di Francesca Mondin
Sistemi criminali, eversione nera, golpe Borghese, Gladio, P2, movimenti separatisti meridionali e stragi il tutto collegato dalla presenza delle criminalità organizzate siciliane e calabresi. Sono questi alcuni dei temi affrontati dall’ufficiale della Dia Michelangelo Di Stefano ieri al processo ‘Ndrangheta stragista in cui sono imputati l’ergastolano boss Giuseppe Graviano, capomandamento di Brancaccio (Palermo) e Rocco Santo Filippone, considerato vicino alla potente cosca calabrese dei Piromalli di Gioia Tauro, entrambi accusati per gli attentati che portarono alla morte dei carabinieri Antonino Fava e Giuseppe Garofalo.
Il teste ha fornito, citando atti giudiziari e d’inchiesta, una visione d’insieme di ciò che successe tra gli anni cinquanta e il 1993 in Italia: “C’è una sorta di analisi logica sequenziale di eventi e di link – ha detto ad inizio deposizione – che ha fatto ritenere che ci fosse un interesse da parte di alcuni esponenti della politica, della Massoneria, della criminalità e di apparati militari dello Stato a effettuare un ripristino di un sistema monarchico o comunque, una sorta di sistema gestito da entità occulte in grado di poter condizionare il quieto vivere nell’Italia democratica”.
Il progetto separatista e l’eversione nera
Negli anni ’90 nascono in tutto il sud Italia diversi movimenti separatisti da “Sicilia Libera” a “Calabria Libera” alla “Lega del Sud” che vogliono la separazione del meridione.
Un progetto che, secondo le dichiarazioni di diversi collaboratori di giustizia, era d’interesse della mafia e di soggetti come “Paolo Romeo quale esponente massone appartenente alla struttura Gladio collegato ai servizi segreti italiani” ha spiegato l’ufficiale della Dia rispondendo alle domande del procuratore aggiungo Giuseppe Lombardo (in foto). In realtà già nel 1976 emerge “un progetto separatista” ha aggiunto il teste parlando del boss “D’Agostino, vicino a Pierluigi Concutelli, che avrebbe avuto una serie di riunioni a Roma nei pressi di via Veneto in cui avrebbero partecipato elementi dell’intelligence libica e il leader Gheddafi il quale sarebbe stato interessato a sponsorizzare il progetto di eversione in questi termini”.
Dunque il “disegno eversivo tra colletti bianchi, poteri massonici e criminalità” di cui hanno parlato diversi pentiti, “tra i tanti Filippo Barreca e Pasquale Nucera”, secondo le risultanze raccolte dall’ufficiale della Dia sarebbe diventato operativo a partire “dall’accordo del 1991”, nonostante “da altre risultanze pare possa essere già definibile sin dall’indomani dei moti di Reggio Calabria e del golpe Borghese perché ci sono una serie di accadimenti temporali che riguardano eventi criminali di un certo rilievo che hanno un identico filo conduttore e che riguardano dei soggetti che dal 1969 al 1993 avrebbero occupato delle poltrone della destra eversiva, tra questi Giuseppe Schirinzi” attivista di Avanguardia nazionale poi diventato presidente della Lega Sud.
Proprio in riferimento al Golpe Borghese Di Stefano ha riferito che durante i moti di Reggio Calabria “ci sarebbero state 4000 persone in armi comandate da Antonio Nirta, pronte a partecipare al golpe Borghese”. Golpe nel quale “secondo alcuni pentiti c’erano delle cointeressenze anche della mafia siciliana”. Il teste ha confermato che lo stesso Antonio Nirta chiamato “du nasi” sarebbe stato “presente in via Fani il giorno del rapimento di Aldo Moro” come confermano le recentissimi indagini del Racis dei carabinieri su alcune foto ritrovate tra il 2016 e 2017. Di lui, ha spiegato il teste, “si sarebbe parlato come uomo dei servizi segreti e confidente del generale Delfino”.
Le riunioni del 1991
Nel 1991 poi ci furono delle riunioni tra vertici di ‘Ndrangheta a cui avrebbero partecipato anche esponenti di Cosa nostra siciliana, secondo le dichiarazioni dei pentiti, per decretare la pace e la fine della seconda guerra di mafia tra i De Stefano-Tegano da una parte e gli Imerti-Condello dall’altra. In quelle riunioni “emerge l’interesse dei soggetti criminali per la pace perché altrimenti i progetti in atto non potevano andare avanti” ha detto Di Stefano.
Allo stesso anno risalgono gli incontri avvenuti prima dell’omicidio del giudice Antonio Scopelliti, “tra mafia siciliana e ‘ndrangheta in relazione a questo obiettivo dove sarebbe stato anche presente Totò Riina vestito da sacerdote” ha specificato il teste.
Il 28 settembre infine c’è un’altra riunione importante, il summit tra esponenti dell’élite della ‘ndrangheta reggina, rappresentanti delle famiglie calabresi impiantate in Canada, Australia e Francia, Cosa nostra americana e i camorristi napoletani.
Quel giorno, secondo le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Pasquale Nucera “era presente anche Amedeo Matacena jr (ex parlamentare del Pdl oggi latitante a Dubai, ndr) – ha ricordato l’ufficiale – assieme all’avvocato Giovanni Di Stefano”, uomo ambiguo ritenuto “vicino all’ex presidente serbo Milosevic” e al “Comandante Arkan”, “interessato a un business che riguardava il traffico di armi e scorie radioattive”.
Lo stesso infatti “avrebbe avuto la disponibilità di undici mila uomini messi a disposizione dal comandante Arkan” ha detto l’ufficiale ricordando le dichiarazioni di un ufficiale dei servizi di sicurezza serbi diventato poi collaboratore di giustizia. Questi avrebbe parlato in merito a “degli accordi tra la mafia siciliana e il comandante Arkan in relazione alla consegna di armi da guerra e un milione di dollari in favore della Lega Sud per il progetto separatista”.
Matacena jr
Proprio alla luce di quel summit del settembre 1991 si potrebbe meglio comprendere il ruolo che potrebbe aver avuto Amedeo Matacena jr per la ‘Ndrangheta.
Ad esempio, c’è una conversazione intercettata e finita agli atti dell’operazione “Mare-Monti” fra Leonardo Guastella e Antonio Cordì, il quale limpidamente afferma: “La prossima volta andiamo e ci facciamo l’accordo a Reggio con Matacena e votiamo il suo, perché hai visto, se ne sono fottuti di lui. Matacena se vuole mi candida a me”.
Dalla narrazione dall’ufficiale della Dia emergerebbe come già il padre, l’armatore Amedeo Matacena senior, per i clan reggini sarebbe stato un cruciale punto di riferimento. Matacena senior, imprenditore impegnato sul fronte delle navi e del traghettamento “si sarebbe accordato con la destra eversiva in quanto interessato a coinvolgimento nella società Caronte” ha spiegato l’ufficiale Di Stefano sulla base dei dati raccolti.
In particolare è stato fatto riferimento al memoriale del collaboratore di giustizia Giuseppe Albanese ed alle dichiarazioni del pentito Filippo Barreca, ex capolocale di Pellaro. Quest’ultimo, secondo quanto riferito dal sostituto commissario, ha inserito Matacena senior tra gli affratellati della loggia segreta che Franco Freda, fuggito da Catanzaro dove era imputato per la strage di piazza Fontana e per mesi “ospite” del clan De Stefano, avrebbe creato durante la sua latitanza a Reggio Calabria. “La loggia – aveva messo a verbale il pentito – mirava ad assicurarsi il controllo di tutte le principali attività economiche – compresi gli appalti – della Provincia di Reggio Calabria, al controllo delle istituzioni, a cui capo venivano collocate persone di gradimento e facilmente avvicinabili, all’aggiustamento di tutti i processi a carico di appartenenti alla struttura, all’eliminazione, anche fisica, di persone “scomode” e non soltanto in ambito locale”. “Di fatto – diceva Barreca – si era creato un gruppo di potere che gestiva tutto l’andamento della vita pubblica ed economica in sintonia con altri gruppi costituitisi in altre città italiane“.
Forza Italia
L’interesse delle mafie per i progetti separatisti va scemando “intorno al 1994 – ha spiegato in aula il sostituto commissario Di Stefano – con un disimpegno dei Graviano e Brusca in quanto interessati in nuovo soggetto politico che sarebbe stato individuato in Forza Italia”.
Anche Bagarella, fra i primi sostenitori del progetto di costruzione di un soggetto politico di diretta espressione dei clan, “con il tempo – ha aggiunto – ha rinunciato al progetto e si è allineato con Provenzano e i Graviano che erano già orientati su Forza Italia. Edoardo La Bua sarebbe stato uno dei soggetti che avrebbe avuto il compito di travasare i consensi e le risorse che in precedenza erano nel progetto Sicilia Libera e riversarle nel progetto Forza Italia”.
Rapporti Santapaola e De Stefano
L’ufficiale della Dia ha più volte evidenziato il legame tra Nitto Santapaola, boss catanese legato ai Quattro cavalieri del lavoro (Mario Rendo, Gaetano Graci, Francesco Finocchiaro e Carmelo Costanzo) e il potente clan reggino dei De Stefano.
Del rapporto di Nitto Santapaola con i De Stefano “sono stracolmi gli annali giudiziari – ha detto l’ufficiale Michelangelo Di Stefano – sin a partire dall’indagine drogauno” dove si registrano “i primi business che riguardavano i traffici di stupefacenti assieme anche alla mafia calabrese”. Altro fatto importante che segna il legame tra la famiglia catanese e quella reggina sarebbe “l’attentato all’ingegnere Gennaro Musella, che sarebbe stato effettuato dalle organizzazioni criminali reggine su mandato e input della criminalità catanese di Nitto Santapaola con la consegna di un telecomando”. In seguito ad alcuni appalti “degli impianti di costruzione di Bagnara Calabra a cui erano interessati gli imprenditori Costanzo di Catania che beneficiavano della tutela di Nitto Santapaola”.
Non meno interessante, per comprendere il legame fra le due cosche è “quanto emerge dagli atti “Olimpia” riguardo la presenza di Nitto Santapaola e di altri latitanti presso delle ville di cortesia offerte da persone della Reggio Calabria bene”.
Nell’informativa Nagasaki ed altri procedimenti, ha spiegato il teste, si parla anche di Rosario Pio Cattafi di Barcellona Pozzo di Gotto, come di “una persona collegata a destra eversiva e cosa nostra siciliana”. Rosario Pio Cattafi “sarebbe stato implicato in una serie di traffici di stupefacenti con la cosca Santapaola, i fratelli Femia, Rocco Papalia e Barreca Filippo”. Fra tutte le frequentazioni di rilievo emerse dagli atti – ha aggiunto il teste – assume importanza quella legata in precedenza con Rampulla Pietro, persona che poi nel contesto della strage di Capaci viene indicato quale uno dei soggetti esecutori materiali che avrebbe provveduto al recupero del materiale esplosivo”.
L’udienza è stata rinviata a lunedì 22 gennaio, mentre l’esame dell’ufficiale Michelangelo Di Stefano riprenderà il 26 gennaio.
20 Gennaio 2018