di Aaron Pettinari
Nell’informativa della Dia le parole di Pittelli: “Berlusconi è fottuto”
I rapporti tra l’imprenditore Angelo Maria Sorrenti e le famiglie di ‘Ndrangheta Piromalli-Molé, gli interessi sui ripetitori Fininvest in Calabria, la presenza di soggetti calabresi in contesti eversivi, la latitanza dei fratelli Giuseppe e Filippo Graviano a Omegna e in Sardegna, i progetti politici di Forza Italia tra il 1992 ed il 1993 e le verifiche alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Gaspare Spatuzza, Giuseppe Di Giacomo e Antonino Giuffré. Sono questi alcuni degli approfondimenti investigativi disposti dalla Procura di Reggio Calabria, contenuti in un’informativa della Dia, che è stata introdotta nel processo con l’escussione dell’ufficiale della Dia Michelangelo Di Stefano al processo ‘Ndrangheta stragista che vede imputati l’ergastolano boss Giuseppe Graviano, capomandamento di Brancaccio (Palermo) e Rocco Santo Filippone, considerato vicino alla potente cosca calabrese dei Piromalli di Gioia Tauro, entrambi accusati per gli attentati tra il 1993 e il 1994 che portarono alla morte dei carabinieri Antonino Fava e Vincenzo Garofalo.
Una ricostruzione particolarmente estesa, rappresentata nelle ultime due udienze con l’utilizzo di diverse slide, per spiegare alla Corte d’Assise di Reggio Calabria anche le evoluzioni che la criminalità organizzata calabrese ha avuto nel corso del tempo.
La ‘Ndrangheta e l’eversione
Nell’udienza di ieri Di Stefano ha ricostruito diversi passaggi dell’informativa in cui emerge la capacità della criminalità organizzata di farsi mediatrice con lo Stato sui capitoli più oscuri, alcuni dei quali rimasti irrisolti, della storia repubblicana.
Appoggiandosi anche agli elementi raccolti da Commissioni parlamentari e da diversi articoli di giornale, ha evidenziato come vi sia “un monolite”, ancor più che una traccia, che evidenzia un collegamento tra diverse stagioni eversive. “Si sta retrodatando – ha spiegato l’ufficiale Dia – l’inserimento della ‘Ndrangheta in contesti che nulla hanno a che vedere con questo momento storico (gli anni dell’eversione e del sequestro Moro, ndr), ma che come ipotesi investigativa hanno interessi in altri contesti che hanno riguardato l’eversione e l’inserimento di questi nuovi pretoriani in un contesto non ancora chiarito e che andrà chiarito necessariamente per rispetto dei nostri figli”.
La latitanza dei Graviano
Se nelle scorse udienze, rispondendo alle domande del Procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo, aveva ripercorso gli elementi emersi in processi come quello “Tirreno” sulle figure di Angelo Sorrenti e Giovanni Polimeni (due imprenditori cresciuti grazie alle commesse della Fininvest sui ponti radio del segnale televisivo e per la loro vicinanza alle potenti famiglie di ‘Ndrangheta di Gioia Tauro), ieri l’ufficiale Dia ha proseguito raccontando di alcuni riscontri effettuati sulla latitanza dei fratelli Graviano. Nell’informativa della Dia, un documento di duecento pagine, si sono sviluppati alcuni accertamenti partendo dalla figura di Baiardo, le cui dichiarazioni erano finite già in un vecchio documento investigativo del 1997 di cui ha riferito in una scorsa udienza il capo della Direzione centrale anticrimine della polizia, Francesco Messina.
“Da vecchi fascicoli non indicizzati delle tante attività della Dia è stata rinvenuta un’informativa del Centro Operativo di Firenze, indirizzata al compianto dottor Chelazzi avente ad oggetto: Stragi di Firenze, Roma e Milano e riguardante l’analisi dei movimenti di Giuseppe e Filippo Graviano”, scrivono gli inquirenti. Che definiscono quel documento, risalente al 26 febbraio del 1997, “di portata eccezionale, alla luce delle nuove risultanze sulle mancate attenzioni istituzionali sulla figura di Baiardo e che, con il senno del dopo, conferisce alle dichiarazioni confidenziali di questi – che il dr. Messina, nella recente deposizione, ha ritenuto doveroso non cautelare ex art. 203 cpp – comprovata attendibilità e riscontro, atteso che dall’analisi dei metadati del telefono cellulare del Baiardo è stato possibile ricostruire i movimenti dei fratelli Graviano nell’anno 1993, così confermando entità e consistenza dei rapporti con il gelataio di Omegna”.
E’ dunque emerso che nell’estate del 1993 i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano erano in vacanza in Sardegna “a un tiro di schioppo” dalla villa dell’ex Premier Silvio Berlusconi, Di Berlusconi proprio Graviano ha parlato a lungo durante il suo esame nel processo, raccontando degli affari che la sua famiglia ha avuto con lui grazie agli investimenti del nonno negli anni Settanta. Poi ha riferito di “imprenditori di Milano” che non volevano fermare le stragi. Ha invitato a indagare sul suo arresto, avvenuto il 27 gennaio del 1994, per scoprire i veri mandanti delle stesse stragi.
Ma non ha mai voluto chiarire alcuni aspetti (come il riferimento alla “cortesia” che gli fu chiesta), lasciando aperti diversi interrogativi. Domande destinate a rimanere senza risposta, ancor di più se si considera che il boss di Brancaccio ha scelto di percorrere nuovamente la via del silenzio.
Rispetto alla latitanza in Nord Italia, ha ricordato in aula Di Stefano che in quella stessa zona del lago d’Orta vivevano proprio i fratelli Graviano, accompagnati da Salvatore Baiardo, Balduccio Di Maggio, il boss arrestato da latitante a Borgomanero e poi fondamentale per arrivare all’arresto di Totò Riina, e il generale Francesco Delfino, proprio l’uomo che arresterà lo stesso Di Maggio e che fu implicato negli anni al centro di indagini di primo piano, e qualche volta anche come indagato, ma è stato sempre prosciolto o ancora Pasquale Galasso, membro della Nuova Camorra organizzata.
Sulla latitanza di Graviano in Sardegna, riferendosi a un passaggio di quel documento della Dia di Firenze del 1997, gli investigatori nell’informativa scrivono: “I fratelli Graviano avrebbero, inoltre, trascorso parte della latitanza (agosto- settembre 1993) in località della Sardegna, ivi occupando sia un appartamento (nel complesso denominato “I tramonti” n.d.r.) che in una villa (ubicata in contrada Volpe n.d.r.), entrambi ubicati nella zona di Porto Rotondo”. Gli uomini della Dia fanno notare oggi come “la zona che si sta considerando è ricompresa in un’area che vede, a poche centinaia di metri di distanza, la nota Villa Certosa di Berlusconi Silvio. All’interno dell’informativa c’è anche una mappa geografica della zona. “Quindi – commentano – il dato che qui preme evidenziare – annotato il cointeresse imprenditoriale dei Graviano e Dell’Utri tra il 1992 e il 1994, durante la latitanza dei due e caratterizzata da incontri de visu con il politico – è la presenza dei due ricercati, nell’agosto del 1993, a un tiro di schioppo dalla residenza estiva del leader della istituenda Forza Italia, rendez vous dei collaboratori di Berlusconi e, si presume, anche di Dell’Utri”. “Naturale – continuano gli investigatori – chiedersi, allora, se nel corrispondente periodo anche il loro presunto socio in affari, Marcello Dell’Utri (secondo quanto oggi riferito dal dr. Messina in relazione alle propalazioni di Salvatore Baiardo) si trovasse a Villa Certosa in vacanza”.
Pittelli e quella frase: “Berlusconi è fottuto”
Nel processo, grazie al racconto di Michelangelo Di Stefano, è anche entrata un’intercettazione a carico dell’avvocato Giancarlo Pittelli, ex parlamentare di Forza Italia arrestato nell’ambito dell’inchiesta Rinascita-Scott, captata tramite un trojan installato in uno degli apparati tecnologici in uso all’avvocato Giancarlo Pittelli. Il 20 luglio del 2018 dalle 18 e 15, l’ex senatore commentava un articolo in cui si parlava della sentenza trattativa Stato-mafia: “Senti, sto leggendo questa storia che hanno riportato sul Fatto Quotidiano della trattativa stato Mafia. Berlusconi è fottuto… Berlusconi è fottuto”. Nell’articolo si riportavano le motivazioni del processo sul Patto tra pezzi delle Istituzioni e Cosa nostra. Quel procedimento individua il primo governo Berlusconi come parte lesa del ricatto allo Stato. E Pittelli aggiungeva: “Dell’Utri la prima persona che contattò per Forza Italia fu Piromalli a Gioia Tauro non se ci… se ragioniamo, tu pensa che ci sono due mafiosi in Calabria, che sono i numeri uno in assoluto, uno è del vibonese e l’altro è di Gioia Tauro, uno si chiama Giuseppe Piromalli e l’altro si chiama Luigi Mancuso, che è più giovane e forse più potente… io li difendo dal 1981, cioè sono trentasette anni che questi vivono qua dentro… pazzesco… l’altro giorno ci pensavo dico trentasette anni”.
Il processo è stato rinviato quindi al 12 giugno prossimo, ma il processo è ormai alle sue ultime battute. La Presidente della Corte, Ornella Pastore, ha già fissato il calendario prossimo e dal 29 giugno al 10 luglio vi saranno sei udienze per la requisitoria del pm Lombardo. Poi, il 13 luglio, sarà la volta delle parti civili e il 17 inizieranno le discussioni delle difese. Salvo imprevisti, dunque, entro il mese di luglio vi sarà la sentenza.
10 Giugno 2020