di Davide de Bari
La nascita e lo sviluppo della Lega Meridionale (il progetto separatista dell’Italia del Sud e del Nord negli anni dopo la caduta del muro di Berlino). La partecipazione nel progetto politico di soggetti come il gran maestro venerabile della loggia P2 Licio Gelli e altri massoni come il gran maestro siciliano Giorgio Paternò e l’avvocato Egidio Lanari; l’arrivo di Forza Italia. Sono questi gli argomenti di cui ha parlato l’ex segretario della Lega Meridionale Antonio D’Andrea, chiamato a deporre come teste della parte civile dei familiari dei carabinieri Fava e Garofalo, rappresentata dall’ex pm di Palermo e avvocato Antonio Ingroia, al processo ‘Ndrangheta stragista.
La testimonianza di D’Andrea è subito entrata nel vivo.
“Mi avvicinai alla Lega meridionale su consiglio del mio amico Mons. Donato De Bonis (segretario dello Ior nell’era di Paul Casimir Marcinkus, ndr) – ha spiegato in aula rispondendo alle domande di Ingroia – Poi entrai in contatto con Egidio Lanari (massone e avvocato del boss Michele Greco detto il Papa, ndr) che era tra i fondatori”. D’Andrea, proveniente da un ambiente politico più vicino alla destra, fu attratto dal nuovo progetto in quanto, non riconoscendosi più nei socialisti, “si avvertiva l’esigenza di un nuovo soggetto politico anti-comunista che si contrapponesse al vecchio sistema politico. Io ed altri ci siamo riconosciuti nel movimento meridionalista”. Secondo D’Andrea, un momento chiave era rappresentato dalla caduta del muro di Berlino: “Lasciò tutti sorpresi e nessuno sapeva più cosa fare. Così poi ci fu la stagione delle stragi, degli attacchi finanziari e dell’industria e poi il disfacimento delle aziende statali”. “La Dc e il Psi – ha ricordato il teste – portarono l’incompetenza nelle sedi istituzionali e quindi non erano più un valido interlocutore della politica internazionale e nemmeno per quella interna e per le lobby criminali, perché era gente che veniva portata su dalla corruzione clientelare. – ha continuato – Già nell’87 si sentiva l’esigenza di un nuovo interlocutore. Infatti, su mandato di Craxi, Martelli, che era il vice segretario, fu mandato in Sicilia per fare accordi”.
Il rinnovamento passava, dunque, dal rinnovato progetto politico. Tra i fondatori della Lega meridionale, oltre a Lanari, vi erano il gran maestro della loggia di Piazza del Gesù Giorgio Paternò, il pugliese Cosimo Donato Cannarozzi ed il calabrese Enzo Alcide Ferraro. Non solo. A detta del teste questo progetto sarebbe stato ben visto dai più alti rappresentanti del mondo politico come il sette volte presidente del Consiglio Giulio Andreotti e il presidente della Repubblica Francesco Cossiga.
Come è noto parteciparono a delle riunioni delle leghe anche il gran maestro venerabile della loggia P2 Licio Gelli e l’ex sindaco mafioso di Palermo Vito Ciancimino. Anche Cosa nostra rivolse lo sguardo verso il nuovo progetto. “Ho incontrato tante volte Gelli – ha riferito il teste – La prima volta fu nell’Hotel ‘Ambasciatori Palace’ a Roma in via Veneto, poi altre volte sia a Roma, a Villa Wanda e in altre parti d’Italia. Ho incontrato anche Ciancimino diverse volte, che doveva essere candidato. Al progetto presero parte anche i familiari di Michele Greco (capo della commissione di Cosa nostra, ndr), lui, però, era in carcere. Ci furono incontri anche con Pino Mandalari (commercialista di Totò Riina e anche massone, ndr)”.
Il progetto di una guerra civile
Durante la deposizione, durata più di due ore, D’Andrea ha poi spiegato le varie fasi che si svilupparono attorno al progetto con tanto di cambio di nome da “Lega meridionale Centro-Sud-Isole” a “Lega meridionale per l’Unità Nazionale”: “La nostra lega e anche quella di Bossi avevano la stessa testa e intelligenza. Si voleva separare l’Italia in due noi al sud e Bossi al Nord. Quando mi sono accorto che per fare questo c’era bisogno della violenza, parlando con Lanari, decidemmo di non farlo. Così arrivammo alla conclusione di cambiare il nome. – ha proseguito – Cosa che poi avvenne nel consiglio di Roma, senza dare tanta importanza a queste cose. C’era pure Ciancimino che non disse nulla”.
L’avvocato Ingroia, contestando un vecchio verbale di interrogatorio, datato al 12 giugno 1998, reso nell’ambito delle indagini “Sistemi criminali”, è tornato sul punto: “Lei riferisce che è stato elaborato un piano di guerra civile per contraporsi tra Nord e sud Italia”. “Si – ha risposto il teste -, al tempo il Paese di frontiera della guerra fredda non era l’Italia ma la Germania, dove si facevano i grandi giochi. Le spie avevano in mano tutte le informazioni d’Europa. Qualcuno aveva interesse che l’Italia fosse ‘balcanizzata’ come stava accadendo in Jugoslavia. Parliamo di interessi commerciali al di fuori della portata di quelli mafiosi, sono più grandi, dalla Deutsche bank in su. – ha proseguito – La massoneria è stata un percorso strategico della guerra fredda e quando crolla il muro vengono meno gli interessi imperialistici mondiali. Sono tutti preoccupati dai risvolti commerciali. I francesi e gli americani si muovono sempre fino a quando ci sarà una nuova guerra e fino ad allora saranno loro a dominare in quanto vincitori”.
L’espulsione di Gelli e Paternò
Il teste ha poi raccontato che sia Gelli che il gran maestro Paternò furono espulsi dalla lega, come anche l’uomo delle Brigate Rosse Domenico Pittella. “Paternò fu espulso, come anche Gelli, dopo i fatti di Taranto nel ’91. – ha spiegato – Gelli si stava occupando di far aggiustare un processo a due fratelli pugliesi (i fratelli Modeo, ndr), insieme a Serraino, uomo del Sisde, che mi portò da questo Marino Pulito che mi chiedeva conto del processo in cui erano condannati i due fratelli e io gli dissi che la Lega non si occupava di questo. E’ da questo che nasce l’espulsione di Gelli”. Sul punto, nel proseguo dell’udienza, il procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo ha chiesto al teste di spiegare meglio la circostanza, visto che all’interno del processo gli stessi fratelli Modeo e Marino Pulito (oggi divenuti collaboratori di giustizia) hanno raccontato il medesimo episodio. Contrariamente a quanto riferito da Pulito sulla chiamata di Gelli e Andreotti, D’Andrea ha sostenuto che “Gelli non avrebbe mai chiamato Andreotti in quel modo e davanti a Serraino e Pulito”. Ma è solo una considerazione se si tiene conto, come ha fatto presente lo stesso Lombardo al teste, che D’Andrea non era presente quando è avvenuta tale telefonata.
Il racconto del testimone è passato poi all’offerta di ben tre miliardi di lire per un nuovo cambio nome della Lega che sarebbe stata presentata quando Lanari fu cacciato dal movimento. “Cacciato Lanari si cercò di dare un’impronta secessionista al movimento. Così ci fu un incontro in cui mi offrirono tre miliardi di lire per cambiare il nome. – ha detto – Era venuto uno della Deutsche bank, un rappresentante di un’organizzazione massonica internazionale, un rappresentante della comunità ebraica Terracina, Salvatore Platania che era vicino alla Lega, massone e che poi ha militato in Sicilia Libera; Ludovico Gessini della lega di Roma, massone anche lui e cugino di primo grado di Massimiliano Cencelli (nome che fu trovato negli elenchi della P2, ndr). Oltre a questi c’erano due membri del consiglio supremo”.
La continuità del progetto confluito in Forza Italia
Il progetto della Lega Meridionale pian piano si eclissò, frammentandosi immediatamente dopo l’espulsione di Gelli in quanto si crearono altre leghe oltre a quella meridionale (“Vista la nostra rispondenza cercarono di clonare la cosa”).
Gelli trovò una sponda anche con l’estremista di destra Stefano Delle Chiaie. “Delle Chiaie avrebbe voluto far parte del progetto – ha ricordato il teste – ma non sarebbe stato un bene né per lui né per la Lega meridionale. Infatti poi con Gelli ha costituito altre leghe con lui, anche se è strano visto che Gelli e Delle Chiaie non si amavano. Tra gli altri ricordo che anche Matacena era interessato alla Lega Meridionale”. Secondo il racconto di D’Andrea le Leghe naufragarono nel momento in cui “non c’erano più persone che erano in grado di battersi per il bene della nazione, si voleva fare solo business per questo si chiuse”. Ma il progetto in qualche modo avrebbe comunque trovato una sua continuità di espressione e, a detta del teste, ciò fu possibile con la nascita di Forza Italia. “Se la Lega meridionale madre avesse accettato certi compromessi e non si fosse messa di traverso su alcune cose non si sarebbe arrivati a Forza Italia nel ’94 perché già dal ’92 c’era la Lega meridionale. – ha ribadito il teste rivolgendosi alla Corte – Prima che arrivasse Berlusconi, era la Lega meridionale a portare avanti i discorsi contro la legge antimafia e i pentiti. C’era questa comunanza di intenti politici tra la lega e Forza Italia”.
Nella prossima udienza del processo, salvo imprevisti, sono previsti gli esami degli altri teste della parte civile, tra cui Paolo Bellini e il Maresciallo Tempesta. Salterà, dunque, l’esame del boss di Brancaccio Giuseppe Graviano. Alla scorsa udienza questi si era reso disponibile ma prima aveva chiesto di poter ascoltare le intercettazioni registrate in carcere tra lui ed il boss di Camorra, Umberto Adinolfi. Allo stato si attende il nulla osta da parte di tutte le procure competenti che sulle intercettazioni stanno svolgendo attività investigativa. In particolare la procura di Firenze ha riaperto il fascicolo sui mandanti delle stragi del 1993, che vede indagati l’ex premier Silvio Berlusconi e il co-fondatore di Forza Italia, Marcello Dell’Utri.
07 Dicembre 2019