Dato shock sugli aderenti in Calabria e Sicilia. C’è un dossier riservatissimo per la Commissione parlamentare antimafia. Tra quelli segnalati ci sarebbero nomi “trasversali” che imbarazzano destra e sinistra
Sono poco più di duecento gli aderenti alla massoneria, molti di questi anche con alto grado, in Calabria e Sicilia, raggiunti da provvedimenti o condanne per reati di mafia, ovvero sottoposti a indagine per concorso esterno in associazione mafiosa. E il numero raddoppia abbondantemente con riferimento ai reati contro la pubblica amministrazione.
Il dato è contenuto in un rapporto riservatissimo, con allegati elenchi dettagliatissimi, che la Guardia di Finanza ha consegnato nei giorni scorsi alla presidente della Commissione parlamentare antimafia Rosy Bindi.
Un dato impressionante, ancorché riferito solo alle logge operanti in Calabria e Sicilia e solo ad alcune delle organizzazioni massoniche con rigorosa esclusione delle cosiddette “logge spurie”, che pure abbondano soprattutto nelle province calabresi di Vibo Valentia e Reggio Calabra e in quelle siciliane di Trapani e Palermo.
L’incarico era stato conferito dalla Commissione antimafia ai vertici dello Scico della Guardia di Finanza che, forte di tale mandato, ha sequestrato gli elenchi degli iscritti, dal 1990 al 2016, alle logge di Calabria e Sicilia delle associazioni massoniche Grande Oriente d’Italia, Gran Loggia Regolare d’Italia, Serenissima Gran Loggia d’Italia e Gran Loggia d’Italia degli Antichi Liberi Accettati Muratori.
In precedenza la Commissione Bindi aveva chiesto, dopo averli convocati per una formale audizione, ai vertici nazionali delle varie fratellanze di consegnare gli elenchi dei propri “fratelli”. Alcuni Gran Maestri aderirono di buon grado, altri invece hanno opposto un secco e netto rifiuto. Tra questi il Gran Maestro della Gran Loggia d’Oriente, Stefano Bisi, da pochi anni alla guida del Goi, che resta la maggiore organizzazione massonica italiana. Bisi si ritrovava al centro delle accuse di alcuni fuoriusciti del Goi che lo accusavano di avere allargato le maglie per l’iscrizione, soprattutto in Calabria, consentendo l’ingresso di elementi collegati con la ‘ndrangheta.
Bisi oppose un netto rifiuto che ha poi inteso ribadire quando, nell’agosto scorso, la Commissione – utilizzando i poteri dell’autorità giudiziaria – lo ha risentito e ha convocato per formali audizioni anche i Gran maestri delle altre tre maggiori obbedienze massoniche d’Italia. Il “no” è stato giustificato in nome del diritto alla privacy, un’obiezione definita «assolutamente pretestuosa» dall’Antimafia. «Nel corso di missioni in Calabria e Sicilia, di documentazione acquisita e audizioni svolte, sono emersi preoccupanti elementi sul rischio di infiltrazione da parte di Cosa Nostra e della ‘ndrangheta di settori della massoneria»: con questa motivazione la Commissione autorizzava la Guardia di Finanza all’accesso presso le sedi della massoneria “ufficiale” e al sequestro degli elenchi degli iscritti ma limitandone l’acquisizione alle sole logge calabresi e siciliane.
Una scelta contestata da molti osservatori del problema e ritenuta settaria, posto che andava a violare la riservatezza solo di alcune realtà territoriali. Invece, dalle indagini della magistratura e dalla relazione della Direzione nazionale antimafia, emergeva con chiarezza che anche altre aree territoriali erano oggetto di infiltrazioni della criminalità mafiosa nelle logge. In particolare si avevano elementi che portavano all’attività di logge operanti in Toscana, Lazio, Emilia Romagna, Lombardia, Piemonte e Liguria.
Dal fronte massonico, invece, la reazione più dura all’iniziativa della Commissione Antimafia veniva assunta dal Grande Oriente d’Italia (Goi) che conta quasi 23mila iscritti: «Oggi è stata commessa una palese discriminazione nei confronti di una istituzione libera e secolare come la Massoneria e c’è stata una grave violazione della democrazia e delle leggi dello Stato. Il sequestro degli elenchi dei liberi muratori del Goi appartenenti alle logge di Calabria e Sicilia da parte della Commissione Antimafia è un atto arbitrario e intimidatorio», scriveva il Gran maestro Stefano Bisi. Lo stesso Bisi, con una nota ufficiale, informava che «il Grande Oriente d’Italia si tutelerà in tutte le sedi italiane ed europee».
A rendere isolata la protesta del Goi, però, interveniva Antonio Binni, Gran Maestro della Gran Loggia d’Italia degli Alam: «La Gran Loggia d’Italia degli antichi liberi accettati muratori, con spirito collaborativo, ha ottemperato all’ordine di consegna degli elenchi dei propri iscritti».
Ne seguiva un’accesa polemica con molti dei componenti la Commissione antimafia: «Bisi ci ha costretto a questo atto: ha sommato dinieghi, ha sfidato la Commissione, si è sottratto al dovere di collaborare a una inchiesta in cui sul banco degli imputati non c’è la massoneria ma la mafia», osservava Franco Mirabelli, capogruppo del Pd. Mentre dal canto suo il Movimento 5stelle criticava l’operato della Commissione antimafia per l’esatto contrario, accusandola di non voler andare fino in fondo. Una posizione che per i “grillini” veniva spiegata dall’onorevole Giarrusso: «Abbiamo partorito il topolino: restringere l’ambito di sequestro degli elenchi a due regioni quando il raggio d’azione delle mafie è nazionale, renderà monca l’indagine». Dal canto suo, il vicepresidente della Commissione Antimafia, Claudio Fava replicava a Bisi sottolineando che «le gravi ragioni che hanno portato all’iniziativa non sono una millanteria di questa Commissione ma evidenze giudiziarie e la necessità di approfondire queste interferenze con attenzione fa parte dei compiti per cui questa Commissione è nata, non c’è nessun accanimento».
Subito dopo lo stesso, insieme al deputato Pd Davide Mattiello, presentava una proposta di legge per sancire l’incompatibilità tra l’aderire a organizzazioni come la massoneria e lo svolgere una funzione pubblica in un ruolo apicale: magistrati, dirigenti della Pa, ufficiali dirigenti delle Forze Armate, avvocati, militari, personale della carriera diplomatica e della carriera prefettizia, personale di livello dirigenziale del Corpo dei Vigili del Fuoco.
Adesso, praticamente a fine legislatura, ecco il botto finale con la prova che quanto denunciato da alcuni Gran Maestri usciti dalla massoneria proprio per evidenziare l’ingresso di troppi pregiudicati per mafia, era tutt’altro che un’invenzione.
Il rapporto della Guardia di Finanza con gli allegati elenchi dei massoni in odor di ‘ndrangheta è ora nella cassaforte della presidente Bindi ma chi ha potuto dargli un’occhiata assicura che si tratta, in molti casi, di nomi capaci di far venire il torcibudella a più di uno schieramento politico e, in tanti casi, spiegherebbero trasversalità che anche il più attento osservatore della politica, in Calabria specialmente, non ha mai saputo spiegare. Forse è per questo che, nel dibattito che ha preceduto e seguito il sequestro degli elenchi massonici, nessuno dei parlamentari calabresi, pur presenti in numero rilevante in Commissione antimafia e solitamente molto attivi e comunicativi, ha mai ritenuto di assumere qualsivoglia posizione?
Paolo Pollichieni
13 Novembre 2017