di Gianni Barbacetto
Le cronache ci hanno messo sotto il naso, negli ultimi anni, decine di casi in cui la sana e integerrima imprenditoria lombarda risulta compromessa con uomini vicini alla cosche, per lo più della ’ndrangheta. Molti casi li abbiamo analizzati e raccontati anche su queste pagine. Dunque pensavamo di essere preparati a tutto e di essere destinati a non farci più stupire da niente. Invece ora una ricerca sui rapporti tra imprese e criminalità ci ha fatto balzare sulla sedia. Si intitola “Vale la pena di avere i Soprano a bordo?”, sottotitolo “Inquinamento della governance societaria e crimine organizzato: il caso Italia”, ed è stata svolta dal Centro Baffi Carefin dell’università Bocconi di Milano, attingendo ai dati raccolti dall’Aisi (il servizio segreto per la sicurezza interna diretto da Mario Parente).
Ebbene: i risultati sono sconvolgenti anche per chi da anni ripete che al Nord “l’inquinamento” mafioso è ormai diventato saldo “insediamento” criminale. Il dato più clamoroso: il 9 per cento delle imprese lombarde ha avuto al proprio interno amministratori che sono stati segnalati per reati tipici della criminalità organizzata; il 7 per cento ha avuto soggetti non amministratori (sindaci, soci, manager) segnalati per quei reati; un ulteriore 22 per cento ha avuto amministratori, sindaci, manager o soci segnalati per altri reati.
In totale: il 16 per cento delle società campione (16.382 aziende lombarde per un totale di 108.332 osservazioni nel periodo 2006-2013) ha avuto ai vertici soggetti segnalati per mafia, il 38 per cento per reati in generale. Solo il 62 per cento delle imprese non include alcun individuo segnalato. Peggio delle peggiori previsioni.
Ottimo il lavoro dei professori che hanno lavorato alla ricerca (Pietro Bianchi, Antonio Marra, Donato Masciandaro, Nicola Pecchiari) e dell’agenzia di Parente che ha fornito i dati, dimostrando concretamente come i servizi segreti possano dare un contributo positivo alla democrazia. “Sorprendentemente la letteratura dell’economia e della finanza”, si legge nella ricerca, “è rimasta silenziosa di fronte alle modalità attraverso le quali la criminalità organizzata inquina le imprese per perseguire scopi illegali”.
I crimini rilevati sono 1.485, dei quali 851, più della metà (57,31 per cento), sono fatturazioni per operazioni inesistenti. Sono 266 i reati contro la pubblica amministrazione: corruzione e appropriazione indebita raggiungono il 10,44 per cento, a cui si aggiunge un 7,47 per cento di altri delitti contro la pubblica amministrazione. Seguono i reati sullo smaltimento dei rifiuti (7,95), sugli appalti pubblici (6,33), riciclaggio (3,37) e poi, via via, contrabbando, contraffazione, esportazione illegale di valuta, usura, furto ed estorsione, traffico di droga…
Di fronte a questo scenario desolante, che cosa fanno i rappresentanti degli imprenditori? Assolombarda, la Confindustria di Milano e Monza, cerca da tempo di arginare il diffondersi della criminalità. “La battaglia per la legalità”, ha dichiarato Antonio Calabrò, vicepresidente di Assolombarda, “è fondamentale per la competitività di un sano sistema economico e sociale. Assolombarda è pienamente consapevole della presa crescente delle cosche mafiose a Milano e in Lombardia e dei rischi ai quali espone le imprese che, per crescere, devono stare su un mercato ben regolato e trasparente”. La mafia “droga” il mercato e fa male alle imprese: prendere atto che il problema esiste è il primo passo per cercare di risolverlo.