Massimo Zucchetti,
Sono fra i promotori della campagna per l’uscita dell’Italia dala NATO, per un’Italia neutrale.
Alla campagna possono aderire tutti, a questo link:
Una iniziativa pubblica di presentazione della Campagna #noguerra #noNATO si terrà a Roma, nei locali del Senato della Repubblica, domani, 21 aprile, dalle 10 alle 13.
Questo il testo del mio intervento
Cari amici e colleghi,
vista la quantità e qualità degli altri relatori di oggi, che tutti apprezzo e saluto, cercherò in queste righe di evitare di ribadire quanto sicuramente verrà detto con ben più ampia competenza da loro. Mi pare di essere fra i relatori l’unico “scienziato tecnologo” (sono ingegnere nucleare e insegno Protezione dalle Radiazioni al Politecnico di Torino). Mi concentrerò allora su un unico punto: perché, da scienziato e tecnico responsabile, ho aderito con convinzione alla Campagna “NO alla Guerra, NO alla NATO”. E perché la Guerra e la NATO ci vengono porti, da politici, opinion makers e media, con il loro lato “buono”, che ci parla di “interventi umanitari” e del “garantire la nostra sicurezza dalle minacce esterne”. E concluderò con due esempi recentissimi che riguardano la Sicilia, mia terra d’adozione: il MUOS e l’operazione Mare Nostrum.
Un argomento che fa buon gioco da sempre per i fautori delle spese militari riguarda le cosiddette “ricadute tecnologiche” della tecnologia militare sul civile. Ovvero: la tecnologia militare avrebbe spesso costituito il motore della ricerca scientifica; moltissime, anzi, quasi tutte le scoperte scientifiche civili avrebbero secondo costoro una paternità di tecnologia militare. Ben vengano quindi le spese militari, ben venga mantenere un esercito, ben venga stare nella NATO: alla lunga faranno il bene dell’umanità, e così sia.
Questa è senza dubbio la “bufala” più grande, e quella contro la quale uno scienziato o tecnico eticamente consapevole dovrebbe battersi con più forza: si tratta comunque di un castello facilmente smontabile con pochi punti precisi. Infatti:
- Innanzitutto, la tecnologia militare si attribuisce la paternità o il merito anche di scoperte o ritrovati con i quali ha poco realmente a che fare. Un esempio tipico è Internet: non e’ vero che Internet derivi dall’allargamento di una rete di computer militari. Internet è nata dallo sviluppo di una rete di computer universitari statunitensi e non ha nulla a che vedere con le reti di computer militari: esse si basano sul segreto e la gerarchizzazione delle rete, internet è tutto il contrario. Se nel lontano passato la tecnologia è stata in parte figlia della ricerca militare, ora possiamo ritenere che l’umanità sia cresciuta e possa agevolmente evitare questo percorso, che è, come vedremo subito, tortuoso, quasi sempre a vicolo cieco, e inutilmente dispendioso.
- Il 99% della tecnologia militare non è utilizzabile in campo civile. Perché la ricerca militare non obbedisce alle leggi di mercato e di economia delle risorse. Quindi, i prodotti che sforna non sono competitivi in ambito civile, dato che sono basati su un tipo di tecnologia che poco bada ai costi. E’ pur vero che da alcune “idee” maturate in ambito militare si hanno poi delle applicazioni civili, ma a quale prezzo complessivo? Qui passiamo al terzo e più importante punto.
- Il ricorso alla tecnologia militare è uno spreco immane di risorse. Non parliamo qui della immensa quantità di risorse o di vite che viene distrutta nelle guerre. Si parla invece del modo per arrivare ad un nuovo ritrovato tecnologico: il passaggio attraverso la “ricaduta” della tecnologia militare fa sì che, per arrivare ad ottenere — diciamo – 100 in “ricadute” in ambito civile, occorra spendere 100.000 in ambito militare. Perché allora, non spendere semplicemente 100 in ambito civile per ottenere 100 in ambito civile? In altre parole, in un sistema come la Terra – a risorse finite e limitatissime – la tecnologia militare e le sue cosiddette “ricadute” non sono altro che un immane spreco di tempo e di risorse, e quindi, per riassumere il tutto in una metafora, un parassita che succhia litri di sangue da un organismo e – ogni tanto – ne restituisce qualche goccia. Non possiamo davvero più permettercelo.
Non è possibile concludere senza citare George Orwell ed il suo 1984. Le guerre – e tutte le tecnologie che stanno loro dietro – non sono altro che il mezzo che le società oppressive (ovvero, secondo il nostro punto di vista, che mirano al controllo delle risorse da parte di pochi) hanno inventato per “consumare” periodicamente le risorse che l’umanità produce con il proprio lavoro, distraendone l’attenzione e l’ingegno dai problemi reali: si evita in questo modo un progresso reale troppo veloce dell’intera umanità, progresso che sarebbe difficilmente controllabile dai padroni attuali del mondo e che – sconvolgendone gli equilibri – li sbalzerebbe fatalmente dalla tanto amata sella. Le guerre, distruggendo risorse e consumando risorse, generano povertà, e proprio sulla povertà di una parte del mondo basa la propria esistenza quell’altra parte, quella parte alla quale anche noi, che qui scriviamo e leggiamo, apparteniamo.
Ciò ammesso, sia pur dopo lunghe riflessioni e crisi di coscienza, risulta indispensabile allora che gli scienziati e i tecnici rifuggano dall’appartenere a questa schiera; la scienza ha bisogno di esseri umani che utilizzino completamente – e non solo a compartimenti stagni – il proprio intelletto per porsi costantemente una semplice domanda: che cosa sto facendo?
Concludo con due esempi recenti di falso “lato buono” del militare, della guerra, della NATO.
In un recente articolo del Corriere della Sera, leggiamo: “A molti è forse sfuggito ma proprio mentre l’altra settimana eravamo alle prese con le minacce dello «Stato islamico» all’Italia dei crociati, l’ineffabile Tar di Palermo, con una sentenza, bloccava la costruzione, nella locale base Nato, della stazione di terra del Muos, il più avanzato sistema americano di comunicazioni satellitari. La sentenza è stata accolta con esultanza da tanti bravi cittadini della zona. Forse servirebbe una riflessione collettiva sul fatto che i danni per la salute del MUOS, se la situazione in Nord Africa continuerà a deteriorarsi, potrebbero risultare maggiori di quelli che può procurare una stazione Muos. Ma davvero la sicurezza nazionale, nonché i nostri impegni Nato, possono essere appesi alle sentenze dei Tar?”
Non entro nel merito dell’articolo, tutto in soccorso e difesa della Difesa, tutto pieno di rimpianto sul “c’eravamo poco armati”, tutto ardente di nuovo spirito guerriero, tutto scandalizzato su come molti deputati abbiano osato esprimere addirittura la loro “opposizione di principio” verso l’acquisto degli F-35, nota arma antiterroristica efficiente e a basso costo: il tutto in questo Grave Momento in cui l’ISIS — impresa con startup USA — minaccia di invadere Roma. Ma è un buon esempio di quanto ho sopra elencato in maniera generale.
Inutile dire che il MUOS non ha alcun interesse per la difesa nazionale: esso non è in funzione e gli scopi riguardano la direzione e l’uso di droni per portare la guerra più facilmente dove la si desidera. Si tratta di installazione ad uso esclusivo del Governo degli Stati Uniti d’America, e non dell’Italia. I «danni per la salute» del MUOS potrebbero essere minori di quelli che ci farebbero quelli dell’ISIS? Allora questi danni per la salute esistono, solo che sono “accettabili” in quanto la gente intorno a Niscemi dovrebbe sacrificarsi in nome della Suprema Difesa Nazionale, contro l’ISIS? Ottimo: basta saperlo. A proposito di Sicurezza Nazionale, e di vivere con le proprie case a due passi da un obiettivo militare sensibile, per nulla difeso, ed essere quindi ostaggi in una guerra fra americani e fantomatici altri, riflettiamo sul fatto che – oggi — ci si può avvicinare alle parabole del MUOS fino a poche decine di metri. Di quale “sicurezza” si parla, allora?
La sentenza non è stata accolta con esultanza da “tanti bravi cittadini della zona”, ma da tutta la Sicilia e da tutti coloro che, in Italia sono la maggioranza, sono contrari alla colonizzazione militare del nostro territorio, Sicilia e Sardegna in primis, per fare di noi gli ostaggi o la prima linea di una guerra che è uno Scontro di Inciviltà dal quale dovremmo prender le distanze: sappiamo bene che chi ne ha scatenato le origini e ampiamente armato e finanziato i “cattivi”, è lo stesso che ora manterrà ben oliata la sua macchina da guerra — sulla quale è basata la propria economia — giocando alla guerra sulla pelle altrui. Fino al prossimo spauracchio: Saddam, Gheddafi, i Talebani, Assad, l’ISIS: tutti costoro, in passato, furono armati e finanziati dall’occidente. Smettiamola di agitare spauracchi futuri per farci inghiottire rospi presenti.
Un’altra operazione di riciclaggio di reliquie militari inutili è l’operazione “Mare Nostrum”, sulla quale occorre ribadire un secco no. È infatti assurdo mandare enormi navi da guerra, con tutto lo strascico di risorse necessarie a smuoverle – risorse energetiche, finanziarie, umane — a salvare un barcone di migranti. In una parola, sarebbe come stirarsi i pantaloni con una pressa da mille tonnellate. I soccorsi ai migranti in mare non si fanno portandosi a spasso dei cannoni e giustificando esorbitanti spese militari per la Marina e per far fare carriera agli Ammiragli. Per questi soccorsi, che sono necessari e sacrosanti, ci vuole una flotta *civile* di navi e addetti concepita allo scopo: scopo, quello del soccorso di civili da parte di civili, che è L’UNICO per il quale occorre perlustrare i mari. Ci si potrà chiedere: abbiamo lì pronte le navi da battaglia che se no non servono a niente, allora usiamole. No. Non servono a niente? Appunto. Smantelliamo la Marina Militare, e con un centesimo delle risorse mettiamo a punto una Marina Civile di soccorso. Basta con questi sprechi assurdi e immorali, visto che alla fine le risorse che sprechiamo per queste inutili navi da guerra le sottraiamo ai poveri del mondo. Non è più tempo di giocare ai soldati buoni. Scompaia la Marina Militare e si diano le risorse ad una Marina Civile umanitaria. Senza cannoni e ammiragli: non servono, così come non si porta la “Pace” nei paesi esteri usando l’esercito.
Ubi solitudinem faciunt, pacem appellant. No alla guerra, no alla NATO.
Massimo Zucchetti
(Comitato Scienziate e Scienziati contro la Guerra)
20.4.2015