Una foto dal massacro a Debra Libanos, in Etiopia, nel 1937. Morirono tra le 1.400 e le 2.000 persone
Gianfranco Pagliarulo è il direttore di “Patria indipendente” e vice presidente dell’Anpi: non possiamo sottovalutare i rischi di deriva anti-democratica
Stefano Miliani
La democrazia, in Italia, in Europa, corre davvero un pericolo serio di finire in braccio a nuove forme di fascismo. Tuttavia, con le sinistre in crisi di rappresentanza, nella società vediamo sempre più spesso reazioni e iniziative contro il razzismo e le pulsioni fasciste che vi sono legate a doppio filo. Lo dice Gianfranco Pagliarulo, vice presidente dellʼAnpi, direttore della rivista dellʼassociazione dei partigiani “Patria Indipendente” ora online. Politico già senatore, giornalista, 69enne, in questa intervista ricorda in sintesi come siamo arrivati fin qui e come creare anticorpi. Annunciando tra lʼaltro un convegno internazionale a dicembre organizzato dallʼAnpi.
Pagliarulo, rischiamo di veder distrutta la democrazia?
Il pericolo esiste sempre in un regime democratico. Lo si vede bene nella storia, in particolare del ʼ900, quando il passaggio da regimi da più o meno democratici a uno autoritario è avvenuto con due componenti: una incontrovertibile di violenza e una di formale legittimità. Ci fu la Marcia su Roma ma fu il re ad attribuire a Benito Mussolini lʼincarico di fare il governo. E nel 1933 il presidente tedesco affidava il governo a Hitler, per cui la democrazia è sempre a rischio: dipende dalla quantità di anticorpi presenti nel suo corpo, se mi perdona il gioco di parole.
Possiamo parlare quindi di pericolo fascista?
Parlare di un pericolo fascista in senso storico è inesatto: quel fascismo storico difficilmente si ripete nella stesse forme ma alcuni elementi destano inquietudine.
A quali aspetti pensa?
Il primo è la non contrapposizione verso un atteggiamento razzista: non si spiega altrimenti lʼondata in corso da tempo di aggressioni e a volte di omicidi con chiara motivazione razziale.
Il secondo problema?
È la strategia comunicativa. Se il ministro Salvini dice “me ne frego”, “chi si ferma è perduto”, “noi tireremo diritto”, “tanti nemici tanto onore”, e questo lo ha detto nel giorno del compleanno di Mussolini il 29 luglio, è più che evidente una strategia comunicativa che stabilisce una relazione con il cosiddetto duce. Se vi uniamo il quadro europeo cʼè da preoccuparsi.
Alessandra Mussolini minaccia di querelare chi definisce suo nonno un criminale. Anni fa avrebbe potuto farlo?
Non dò grande importanza alle sue parole. Anzi, lo dico con ironia, va ringraziata: dicendo che denuncia chi offende il Duce sui social ha dato la possibilità a tutta lʼItalia di conoscere i crimini di Mussolini.
Prima ha parlato di anticorpi. La rivista dellʼAnpi “Patria indipendente” come lavora per tenere in circolazione quegli anticorpi?
Fino a metà settembre 2015 era una rivista cartacea importante con un pubblico ristretto. In quel mese abbiamo fatto una svolta e siamo diventati online per rivolgerci allʼintero mondo dellʼantifascismo italiano e in particolare alle nuove generazioni. Credo che abbiamo ottenuto risultati significativi e intendiamo insistere su un doppio passo.
In cosa consiste il doppio passo?
Il passo della memoria serve a ricordare cosa è avvenuto da parte del fascismo, del nazismo, con la Resistenza e il movimento partigiano. Lʼaltro passo riguarda lʼItalia di oggi: è un errore parlare solo del passato ed è un errore parlare solo del presente perché la memoria attiva ci consente di vivere criticamente lʼoggi. Tra le tante iniziative ne cito una: abbiamo fatto una mappatura dettagliata delle pagine neofasciste, neonaziste o razziste su facebook chiamata “Galassia nera”. Abbiamo rilevato circa quattromila pagine – i post sono centinaia di migliaia. Della scoperta di questo verminaio si è interessata lʼallora presidente della Camera Laura Boldrini, la stampa ne ha parlato. Risultato: la cancellazione di oltre 200 pagine di apologia di fascismo. Abbiamo documentato un mondo web di fascismo, nazismo e razzismo, che però non è solo virtuale, perché ad esso si giustappone un analogo mondo reale. Perché la sequenza continua di aggressioni è cominciata prima della sparatoria di Luca Traini a Macerata. E le aggressioni sono molto gravi anche perché il bersaglio non è quasi mai personale, si aggredisce qualcuno perché è di colore nero o perché indiano o del Bangladesh o gay.
Si aggredisce un gruppo, una categoria: ricorda qualcosa.
Ricorda, in scala minore, i pogrom che hanno lasciato una terribile scia di sangue in particolare nellʼEuropa orientale tra gli ebrei; ricorda gli attacchi del ku klux klan ai neri negli Stati Uniti. Alle forme violente del razzismo si accompagna quasi sempre il fascismo, che è impensabile senza razzismo. Non mi riferisco solo alle leggi razziali del 1938, la malattia razzista covava dalle origini. Mussolini nel 1920 disse che “di fronte a una razza inferiore e barbara come la slava non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino ma quella del bastone” e “io credo che si possono sacrificare 500mila slavi barbari a 50milia italiani”. Queste affermazioni teoriche erano un programma di lavoro poi applicato in Jugoslavia, Albania, Grecia, Libia, nellʼallora Abissinia, grazie alla visione di popoli “biologicamente” inferiori. E si parla di decine migliaia di morti, altro che “italiani brava gente”.
Può indicare alcuni di questi crimini?
Africa orientale. Fra i tanti crimini – penso allʼuso consapevole di gas mortali – ricordo il massacro nel monastero di Debra Libanos, in Etiopia, nel maggio del 1937. Diaconi, insegnanti, studenti, civili, sacerdoti sterminati. Si stimano da 1400 a oltre 2000 vittime. Una mattanza. Libia. Impiccagione pubblica del capo della resistenza Omar Al Muchtar. Assieme, deportazione forzata dalla Cirenaica di circa 100.000 persone: decine di migliaia di libici muoiono per gli stenti, le percosse, le condizioni subumane di vita. Isola dalmata di Arbe, giugno 1942 settembre 1943. Circa 1500 morti su 10.000 deportati nel lager. Il generale Gambara scrive: “Individuo malato = individuo che sta tranquillo”. Podhum, sud Jugoslavia, luglio 1942: 91 fucilati, tutti gli altri deportati. Il generale Roatta scrive: “Non dente per dente, ma testa per dente”. Poi segnalo Mallakasha, la Marzabotto albanese. Ancora, il massacro del villaggio di Domenikon, in Grecia. Poi cʼè lʼItalia: dallo squadrismo assassino a Matteotti alle leggi razziali allʼapoteosi della violenza e al culto della morte delle formazioni paramilitari della Rsi. Devo continuare?
Dai partiti della sinistra arriva oggi una risposta adeguata?
Siamo davanti a un declino delle forze sinistra sia tradizionali che più recenti, molti non se ne sentono rappresentati. È evidente la grande crisi della sinistra, europea e oltre, basti pensare alle primarie del Brasile.
Bisogna reagire come cittadini quindi?
Infatti come Anpi reagiamo promuovendo la mobilitazione della società a difesa della democrazia contro ogni razzismo. Al tema stiamo lavorando da tempo e tra i cittadini le reazioni si vedono. Non siamo soli: cʼè un universo di associazioni e di forze democratiche che sta dando vita ad un impegno crescente e la nostra bussola è quella dellʼunità. Cito a memoria: a luglio abbiamo visto le magliette rosse proposte da don Ciotti; ad agosto abbiamo visto nel foggiano i berretti rossi, per i lavoratori migranti nelle campagne; a Catania migliaia di persone davanti alla nave Diciotti al porto hanno espresso solidarietà contro la reclusione di persone su una nave battente bandiera italiana; ci sono state due manifestazioni a Milano, una per contestare lʼincontro Orban-Salvini e “intolleranza zero” una settimana fa; si sono moltiplicate le iniziative per Riace; la marcia Perugia-Assisi alle tradizionali parole di pace e solidarietà ha aggiunto il no al razzismo. La società è in movimento in un crescendo positivo e molto interessante.
E lʼAnpi, come si muove?
LʼAnpi interviene penso nel modo migliore, pur nei limiti di unʼassociazione. Tra lʼaltro daremo vita a metà dicembre a un convegno europeo delle forze sociali antifasciste e anti naziste: credo sia la prima volta in assoluto che ci confrontiamo con forze di paesi diversi per fare rete. Però non facciamo errori di miopia, quanto accade di negativo ha più ragioni che riassumo così: la grande crisi economica e finanziaria nata nel 2007 con lo scandalo americano dei subprime, la politica europea dellʼausterità che ha creato rancore, paure, drammi sociali e lʼaumento della disoccupazione, la concomitante ondata migratoria. Tutto ciò ha agevolato la visione distorta tipica del populismo che nega la distinzione fra destra e sinistra e vede il nemico “sopra”, dove cʼè lʼUnione europea o il Parlamento o le élites, e “sotto” dove stanno i più poveri di tutti, i migranti, i rom, i diversi. Nellʼimpoverimento invece di una grande alleanza fra poveri di paesi diversi, lʼideologia dominante ha messo in contrapposizione i poveri con i più poveri di altre nazionalità. È il vecchio trucco, finora in gran parte riuscito, che dobbiamo sventare altrimenti corriamo davvero un grande pericolo come Italia e come Europa.
24 ottobre 2018