“Conflitti armati, disastri naturali, carenze strutturali nello sviluppo, disuguaglianze delle economie nazionali dei paesi liberisti del Terzo Mondo, condizioni di povertà in ampi settori, mancanza di opportunità di lavoro e, in generale, il crescente divario tra povertà e ricchezza, stimolano la mobilità degli esseri umani” ha affermato il dott. Antonio Díaz Aja, direttore del Centro di studi demografici dell’Università dell’Avana.
Lo sport non è esente da queste ragioni e, anche se a volte, le motivazioni del cambio di nazionalità sono personali o familiari, nella maggioranza dei casi la principale causa sembra essere quella economica, in virtù dei grandi incentivi monetari forniti da alcune nazioni, ovviamente le più sviluppate.
Cuba però, conosce un altro tipo di migrazione sportiva: quella indotta da un lato politicamente e dall’altro economicamente con il blocco economico.
Nelle varie edizioni dei Giochi Panamericani e Centroamericani e dei Caraibi, gli atleti cubani, cresciuti in un Paese dove lo sport è gratuito per tutti sin dalla nascita, sono stati continuamente e apertamente incoraggiati a lasciare Cuba.
Nella edizione di Winnipeg-1999, fu creata appositamente una stazione radio e un giornale per spiegare agli atleti cubani come potevano abbandonare la loro delegazione; lo stesso accadde ai Giochi di Ponce-1993 e ai Giochi Panamericani di Santo Domingo-2003.
Di recente, le esortazioni a disertare dalla nazionale cubana che ha partecipato al passato torneo preolimpico di baseball, a West Palm Beach, sono state rozze e senza scrupoli.
Si è addirittura agito a livello legislativo con il colpo dell’amministrazione Trump, che ha stracciato l’accordo esistente tra la Federazione Cubana e la Major League Baseball (MLB) statunitense, la cui essenza era quella di ridurre il criminale furto di esseri umani, di cui i giocatori di baseball cubani erano vittime.
Parlando più in generale, nelle competizioni per nazioni, la situazione è ben evidente. Uno studio condotto dall’Università del Maryland ha rilevato che durante i Giochi Olimpici del 2000, 2004 e 2008 sono stati più di 300 gli atleti migranti che hanno vinto medaglie o che facevano parte di una squadra che ha vinto medaglie.
La Carta Olimpica richiede che, per partecipare ad un’edizione dei Giochi Olimpici, un atleta debba essere legato ad un Comitato Olimpico e debba essere originario di quel luogo. Ciò che è apparentemente semplice, diventa un elemento importante in tempi di grande mobilità delle persone.
Il presidente della Federazione internazionale di atletica leggera Sebastian Coe ha dichiarato: “È diventato chiaro a causa dei molteplici trasferimenti di atleti, in particolare dall’Africa, che le attuali regole non sono più adatte allo scopo. L’atletica, che ai suoi massimi livelli agonistici è uno sport basato su squadre nazionali, è particolarmente vulnerabile in questo senso. Inoltre, le attuali regole non offrono le necessarie tutele ai singoli atleti coinvolti e sono suscettibili di abusi”.
Cuba è orgogliosa non solo di essere uno dei primi 20 paesi nel medagliere generale delle Olimpiadi moderne, ma anche che il suo tesoro di 241 medaglie (85 d’oro, 71 d’argento e 85 di bronzo), è davvero un prodotto nazionale. #Tokyo2020 lo ha confermato di nuovo.
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