Aaron Pettinari
La storia della famiglia Madonia all’interno del clan di Resuttana, l’ascesa criminale di Nino Madonia ed i rapporti della sua famiglia con i Servizi di sicurezza sono stati al centro della requisitoria del sostituto procuratore nazionale antimafia Domenico Gozzo davanti al Gup Alfredo Montalto nel processo sull’omicidio di Nino Agostino, ucciso il 5 agosto del 1989 con la moglie Ida Castelluccio.
Sotto accusa nel procedimento in abbreviato vi è proprio Nino Madonia accusato di essere stato uno degli autori del delitto.
Nella scorsa udienza il sostituto procuratore generale Umberto De Giglio ha spiegato il ruolo dell’ex agente di polizia come collaboratore di Giovanni Falcone e come cacciatore di latitanti.
Proprio in quel doppio lavoro si può individuare la causale del duplice omicidio.
Secondo l’accusa, come ricostruito nella richiesta d’arresto nei confronti di Gaetano Scotto e Nino Madonia (richiesta che fu respinta dal Gip lo scorso febbraio), “Agostino fu ucciso perché, come Emanuele Piazza, era dedito alla cattura di latitanti, e sia perché nel corso della sua attività underground era venuto a conoscenza di fatti e circostanze che lo rendevano pericoloso per gli uomini d’onore e per i loro referenti collusi all’interno di apparati istituzionali deviati, determinando così una convergenza di interessi per la sua eliminazione”.
Le bombe di Capodanno
Secondo la Procura generale agli atti vi sono molteplici elementi probatori che riscontrano i rapporti tra le famiglie del mandamento di Resuttana (i Madonia a Resuttana; i Galatolo all’Arenella; gli Scotto all’Acquasanta) ed i servizi di sicurezza. E per meglio inquadrarli Gozzo ha ripercorso la storia della famiglia criminale dei Madonia che all’inizio degli anni Settanta iniziarono la propria ascesa criminale all’interno di Cosa nostra.
E’ quella l’epoca “in cui entra in azione anche Nino Madonia, alla giovane età di 18 anni – evidenziava la Procura generale nel documento di richiesta d’arresto – In quell’anno, infatti, i Madonia si imposero all’attenzione degli organi investigativi (e dei servizi di sicurezza) per alcuni attentati dinamitardi avvenuti nel periodo natalizio”. Azioni che nella prospettazione dell’accusa “possono essere definite come il primo mattone dei rapporti tra una parte dell’associazione mafiosa ed i servizi segreti, rapporti del resto intrattenuti anche durante il fallito golpe Borghese. E non è un caso che proprio Francesco ‘Ciccio’ Madonia (da allora soprannominato “Ciccio Bomba”), pater familias dei numerosi maschi Madonia, fosse stato designato per sopraintendere a questo inizio di ‘strategia della tensione mafiosa’”. Già allora lo scopo era quello di far apparire debole lo Stato.
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Nel gennaio 1971 don Ciccio, Nino Madonia e lo zio Leopoldo Di Trapani, vennero arrestati per i quattro attentati dinamitardi a mezzo di potenti ordigni esplosivi collocati presso edifici pubblici nella notte di capodanno del 1970.
Richiamando le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, come Tommaso Buscetta ed Antonino Calderone, Gozzo ha evidenziato come quegli attentati non fossero nell’interesse di Cosa nostra, ma inseriti all’interno di una manovra terroristica concordata con i servizi di sicurezza.
Il rapporto dei Madonia con i servizi
La vera scalata di Nino Madonia è poi avvenuta negli anni Ottanta. Se sostanzialmente a capo mandamento di Resuttana vi era il padre, di fatto era lui, già allora, ad avere un ruolo cruciale accanto a Totò Riina, sia in quanto killer che come figura in grado di avere importanti rapporti con apparati dei servizi e gli organi di polizia.
Ciò si evince non solo nelle dichiarazioni di diversi collaboratori di giustizia (i quali hanno raccontato anche della presenza di figure come Bruno Contrada e Giovanni Aiello nel quartiere di Vicolo Pipitone), ma anche lo stesso Totò Riina.
Il Capo dei capi corleonese, oggi deceduto, quando fu intercettato in carcere assieme alla dama di compagnia Alberto Lorusso, fece riferimento più volte alla famiglia mafiosa di Resuttana.
In particolare Riina spiegava quanto Nino Madonia (indicato come il più pericoloso) ed i suoi fratelli fossero eccezionali, come gli avevano dimostrato in varie occasioni di eseguire immediatamente i propri volleri spesso senza comunicargli i particolari delle uccisioni. Inoltre spiegava che i Madonia non avevano rapporti con i servizi, nel senso chiaro che non erano spioni, ma intrattenevano rapporti con qualcuno dei servizi.
Il 15 ottobre 2013, in un colloquio intercettato sempre nell’ora d’aria, Riina riferisce della propria disposizione per evitare la circolazione delle notizie in Cosa Nostra: “Ognuno che non è presente non si deve venire ad informare dei fatti”, ma parlava anche delle eccezioni, tanto che mandò una persona da Nino Madonia proprio perché potesse informarsi su di un omicidio, quello del capitano Russo.
Ed in quel contesto affermava che Madonia (“la persona più pericolosa che esiste”) faceva eccezione, perché non diceva niente di sé, ma doveva sapere tutto di tutti. Era troppo bravo, ma anche non era “calmo”, tanto che faceva andare la gente fuori dal seminato e la faceva “straripare”.
Anche collaboratori di giustizia come Francesco Di Carlo ed Oreste Pagano hanno parlato dei “rapporti ad alti livelli” dei Madonia.
E sempre mettendo insieme le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, secondo la prospettazione dell’accusa, si evince il ruolo di Madonia nell’omicidio Agostino, proprio perché coinvolto in prima persona dalle investigazioni di quest’ultimo. Il processo è stato rinviato al prossimo 11 gennaio con la Procura generale che dovrà continuare con la requisitoria.