A 38 anni di distanza si cerca di dare un volto al killer
di Aaron Pettinari
La Procura di Palermo ha riaperto, a 38 anni di distanza dall’omicidio, l’inchiesta sull’uccisione di Piersanti Mattarella, l’ex Presidente della Regione siciliana, fratello del Capo dello Stato, Sergio. E’ questa la notizia che anima la vigilia delle commemorazioni che si terranno domani per ricordare l’efferato delitto del 6 gennaio 1980.
I quotidiani “La Repubblica” ed “Il Giornale di Sicilia” raccontano come gli inquirenti hanno deciso di effettuare nuovi accertamenti su alcuni reperti a cui non era mai stato dato sufficiente peso, nel tentativo di dare un volto al killer che sparò in quell’Epifania. La traccia che si sta approfondendo è quella che porta ai Nar, i Nuclei armati rivoluzionari.
Una pista, quella neofascista, che era già stata seguita a partire dal ritrovamento nel 1982 di spezzoni di targhe in un covo dell’estrema destra a Torino, e che fu ipotizzata già nel 1989 dal giudice Loris D’Ambrosio in un report finito adesso, informa ancora Repubblica, alla Procura generale di Bologna che ha avocato a sé l’inchiesta sulla strage della stazione del due agosto 1980.
Non solo. Anche Falcone era convinto che i “neri” in qualche maniera fossero coinvolti nel delitto tanto che portò a giudizio Giusva Fioravanti e Gilberto Cavallini considerati autori materiali del delitto. Entrambi furono processati ed assolto dall’accusa di essere stati i killer e la richiesta di assoluzione fu fatta dal pm Giuseppe Pignatone al termine della requisitoria. Per l’omicidio vennero condannati i vertici della Cupola mafiosa, in particolare i boss Salvatore Riina, Michele Greco, Bernardo Brusca, Bernardo Provenzano, Giuseppe Calò, Francesco Madonia e Nenè Geraci.
A trentotto anni di distanza la Procura di Palermo guidata dal Procuratore capo Francesco Lo Voi ha riaperto il fascicolo traendo spunto da alcuni elementi di prova che erano stati in passato non approfonditi con la dovuta attenzione.
Il primo spunto riguarda proprio gli spezzoni di una targa ritrovati il 26 ottobre del 1982 – due anni e dieci mesi dopo l’omicidio di Mattarella – in un appartamento di via Monte Asolone a Torino, covo dei “neri”.
I carabinieri trovarono due targhe tagliate ed un primo spezzone aveva la sigla “PA” (come Palermo) e il secondo “PA 563091”. Sono gli stessi numeri, ma composti diversamente, rimasti agli assassini di Piersanti Mattarella, che avevano utilizzato due targhe rubate per camuffare la Fiat 127 del delitto.
Grazie a ricostruzioni precedenti è emerso che il giorno prima dell’omicidio, i killer avevano prelevato la 127 targata “PA 536623”. E sempre quel giorno, il 5 gennaio 1980, avevano asportato da una Fiat 124 una targa con la sigla “PA 540916″.
Successivamente era stata costruita una nuova targa utilizzando i numeri delle altre due (“PA 546623”) che fu poi ritrovata sulla Fiat 127 utilizzata per il delitto.
Mai si è saputo che fine avessero fatto i pezzi di targa rimanenti (“PA 53” e “0916”). Coincidenza vuole che a Torino i militari, nella perquisizione del covo, trovarono la targa “PA563091”. Il sospetto è che il 6 sia stato spostato dall’ultimo posto alla posizione centrale.
Questi ulteriori elementi si aggiungono anche alle dichiarazioni di un testimone di Massimo Ciancimino, figlio dell’ex sindaco mafioso di Palermo, che nel 2008 aveva riferito il presunto racconto del padre secondo cui per l’omicidio Mattarella ”si erano serviti di manovalanza romana legate alle, non so, ai brigatisti rossi, neri, non mi ricordo che colore era. E’ stato uno scambio di favori”. Lo scambio di favori, è stato ipotizzato, poteva essere il supporto logistico dei mafiosi ai ”neri” per far evadere Pierluigi Concutelli, leader di Ordine nuovo, in cambio dell’omicidio di Piersanti Mattarella.
I commenti
Certo è che la pista “nera” era già stata seguita in passato e proprio Loris D’Ambrosio nel suo dossier metteva in evidenza la “singolare coincidenza” sui numeri di targa ritrovati. La vicenda degli spezzoni di targhe di auto, (negli atti del processo per l’omicidio del presidente della Regione è scritto che gli spezzoni mancanti non furono trovati), era stata scritta nel libro di Giovanni Grasso ”Piersanti Mattarella, da solo contro la mafia”, edito nel 2014, e poi ripresa nel libro di Paolo Bolognesi e Roberto Scardova ”Italicus. L’anno delle quattro stragi” anch’esso edito nel 2014. Nei volumi è scritto che i ”pezzi rimanenti furono rinvenuti il 20 ottobre 1982 nel covo torinese di via Monte Asolone gestito da Terza posizione”.
Secondo Bolognesi, presidente dell’Associazione dei familiari delle vittime dell’esplosione alla stazione di Bologna, intervistato da La Repubblica, “c’è un filo che lega i delitti del presidente Piersanti Mattarella, del giudice Mario Amato e la strage di Bologna“. Secondo il deputato Pd, “i killer neri erano legati alla P2 e ad ambienti deviati dei servizi segreti”. In un rapporto del giudice Loris D’Ambrosio, risalente al 1989, che indicava una pista precisa da seguire, afferma Bolognesi, c’erano “preziosi spunti di indagine” che “non sono stati mai approfonditi. È venuto il momento di farlo“. “Intanto, bisognerebbe digitalizzare gli atti di tutte le inchieste e di tutti i processi che hanno cercato di fare luce sulle stragi italiane. È fondamentale uno sguardo d’insieme. I ministri Orlando e Franceschini avevano firmato un protocollo d’intesa per creare un archivio digitale dei processi, ma nulla è stato ancora realizzato“. Bene la direttiva firmata nel 2014 da Renzi per la desecretazione dei documenti che potrebbero riguardare le stragi, aggiunge, “ma il problema è che oggi una serie di archivi importanti non ci sono più. Ad esempio, quelli della Marina e dell’Aeronautica, relativi al periodo 1980-1987, avrebbero potuto dire molto sulla strage di Ustica. Ci sono altri archivi, quelli dei servizi di sicurezza, che restano inaccessibili“. “Come deputato del Pd ho fatto parte della commissione parlamentare d’inchiesta sul delitto di Aldo Moro. In questa veste, ho chiesto ai rappresentanti dei Servizi convocati in commissione i fascicoli personali dei componenti della cosiddetta Gladio nera, il Nucleo di difesa dello Stato ufficialmente sciolto nel 1973, di questa struttura ci aveva parlato il generale Inzerilli. Ebbene, i rappresentanti dei Servizi hanno detto alla commissione che ci sono problemi di privacy e che quelle schede non possono essere consegnate. La ritengo una risposta inaccettabile“.
Per il momento la famiglia Mattarella non commenta l’apertura della nuova inchiesta ma, secondo quanto riferito da alcune agenzie, la stessa non ha avuto alcun contatto con la Procura di Palermo né formale, attraverso i legali, né informale, per sollecitare la riapertura dell’indagine sull’omicidio dell’ex presidente della Regione siciliana Piersanti Mattarella.
05 Gennaio 2018