Crediamo che la memoria sia una delle attività più importanti per chi pensa ancora che la politica debba esser lo strumento di cambiamento. Questo è uno dei motivi per cui vogliamo approfondire e contrastare i processi di revisionismo storico che, in Italia e nel mondo, stanno stravolgendo la realtà e la storia dei fatti. In questi giorni, grazie all’ottimo libro di Massimo Recchioni “il Comandante Gemisto, un processo alla Resistenza” possiamo dire la vera realtà dei fatti storici ed imbastire una controffensiva alle menzogne revisioniste che, aiutate da una certa pseudo sinistra per ora maggioritaria, rischiano di far passare le vittime per carnefici e viceversa. E’ questa la storia di Francesco Moranino, Iscritto al Partito Comunista clandestino nel 1940, e condannato l’anno seguente a 12 anni di carcere da parte del Tribunale speciale per la difesa dello stato. Venne liberato nel 1943 a seguito della caduta del fascismo e, dopo l’armistizio, entrò nella Resistenza.
Inviato dal PCI nel Biellese, assunse il nome di battaglia di “Gemisto”, diventando comandante del Distaccamento delle Brigate Garibaldi ”Pisacane”.
In seguito Moranino comandò la 50ª Brigata Garibaldi fino a che, con l’incarico prima di comandante e poi di commissario politico, fu destinato alla XII Divisione Garibaldi “Pietro Paietta” .
Moranino era giovane ma aveva già dato prova di grande affidabilità, per cui fu assegnato a comando del Pisacane, dove mise in luce, sin dal primo momento, spiccate doti di organizzazione.
Col “Pisacane” Gemisto organizzò scioperi operai: il suo carattere lo portò ad ignorare quelli che lo invitano a limitarsi alla sua attività militare di partigiano. In realtà il lavoro di Moranino fruttò tantissimo perché l’interazione con gli operai portò sia nuovi partigiani al Pisacane che rafforzamenti nelle retrovie, consentendo di mettere in atto grosse iniziative militari contro i nazifascisti : Moranino aveva costituito un retroterra popolare di supporto, indispensabile per l’esistenza e l’attività clandestina di una banda partigiana.
Nel dopoguerra Moranino divenne segretario della Federazione comunista biellese e valsesiana. Candidato dal PCI a Torino con 11.909 preferenze, il 2 giugno 1946 fu eletto deputato all’Assemblea Costituente, il 3 febbraio 1947 ,nel terzo governo De Gasperi, fu nominato sottosegretario alla Difesa, il 18 aprile 1948 fu eletto deputato nel Fronte Popolare (PCI e PSI) con 69.452 preferenze a Torino; a giugno del 1953, Moranino fu rieletto per il PCI con 52.647 preferenze.
Nel 1953, sotto il governo Pella, Moranino fu incriminato per fatti avvenuti durante la Resistenza, ritenuti non compresi tra i reati amnistiati da Togliatti nel 1946.
Il 27 gennaio 1955, durante il Governo di Scelba, la Camera dei Deputati, con una maggioranza di centrodestra, votò l’autorizzazione a procedere nei confronti di Moranino su richiesta della Procura di Torino. Quella di Moranino fu la prima autorizzazione all’arresto di un parlamentare concessa dalla nascita della Repubblica e fino al luglio 1976 rimase anche l’unica.
Il 2 aprile 1956, il processo in contumacia si concluse con la definitiva condanna all’ergastolo per sette omicidi che erano invece atti di guerra partigiana.
Interessante il punto di vista dell’ANPI (dell’epoca), come viene indicato nel sito istituzionale:
“Era così evidente l’intento persecutorio contro il comandante partigiano che, nel 1958, il presidente della Repubblica, Giovanni Gronchi, decretò la commutazione della pena in dieci anni di reclusione.”
Moranino si sottrasse alla cattura fuggendo clandestinamente in Cecoslovacchia .
Moranino si rifiutò sempre di tornare in Italia fino a quando non fosse stata riconosciuto come innocente in quanto combattente della guerra partigiana, finché il 27 aprile 1965 venne poi definitivamente graziato dal presidente della Repubblica Giuseppe Saragat, che venne accusato dalla destra di aver barattato l’appoggio dei comunisti alla sua elezione con questa scelta di esercitare il diritto di grazia. Comunque Moranino non utilizzò la grazia e rientrò in Italia solo in seguito all’ amnistia, il 19 maggio 1968 , PCI e PSIUP annunciarono la candidatura nel collegio senatoriale di Vercelli del partigiano. Moranino sarà rieletto come senatore con 38.446 voti di preferenza. Morirà, tre anni dopo, nel 1971 , stroncato da un infarto.
E’ la storia di un grande comunista che ha pagato duramente le sue scelte, ma è anche la storia, come si evince recentemente dal libro di Massimo Recchioni, di quanto l’Italia che nacque dalla Resistenza non fu certo il paese che volevano i partigiani e le stesse scelte (di totale parlamentarizzazione dei rapporti di forza) del PCI ci spingono a riflettere seriamente sull’involuzione complessiva del movimento operaio. Significativa in tal senso è la frase del grande organizzatore comunista della Resistenza al Nord, Pietro Secchia: “tra il fare l’insurrezione ed il non far nulla ce ne passa”. Come ad indicare non certo l’esperienza tentata in Grecia, dove i Comunisti furono massacrati a centinaia di migliaia nel tentativo rivoluzionario dall’esercito inglese, ma certo a produrre un effetto molto più incisivo proprio a partire dai bagliori di democrazia popolare instaurata dai Resistenti nella fase della liberazione dell’Italia dai nazifascisti, che certo avrebbero reso diverso oggi il nostro Paese.