L’istituzione della “Giornata del Ricordo” del 10 febbraio dedicata alle foibe e a quanto avvenuto dopo la Liberazione nella zona del confine orientale è frutto di una lunga – e indecorosa – trattativa politica tra ex fascisti ed ex comunisti.
Questa trattativa segna di fatto il passaggio dalla “Prima repubblica” nata dalla Resistenza, nella quale in virtù del cosiddetto “arco costituzionale” i neofascisti erano esclusi dal dibattito politico ufficiale, alla cosiddetta “Seconda repubblica” dove l’estrema destra riconquista una piena agibilità politica.
Dopo la dissoluzione del blocco sovietico il ceto dirigente dell’ex PCI, che gli equilibri geopolitici della Guerra Fredda avevano confinato all’opposizione, cerca di aprire una nuova fase e superare questa pregiudiziale. In questo tentativo si inserisce anche la sua disponibilità a riconoscere le “ragioni dei vinti” (è nota la definizione di “ragazzi di Salò” coniata da Violante) e a costruire una “memoria condivisa” nella quale ritrovasse legittimità anche la scelta di essersi schierato con il nazifascismo.
Una “memoria condivisa” già di per sé è un’aberrazione da regime autoritario, ma in questo caso è soprattutto la negazione delle radici stesse di una repubblica che aveva scelto come proprio elemento costituente la messa al bando di un’ideologia intrinsecamente razzista, bellicista e totalitaria, responsabile del grande massacro della Seconda Guerra mondiale.
Ed è negli anni ’90 che si moltiplicano le iniziative editoriali sulle ritorsioni ai danni dei “vinti” dopo il 25 aprile e sui “crimini della Resistenza”, dimenticando che in realtà in Italia non c’era stata alcuna epurazione, che i crimini di guerra erano rimasti impuniti e che l’apparato amministrativo e repressivo della nuova repubblica era rimasto sostanzialmente in mano a funzionari già in carica o formatisi durante il Ventennio, che furono protagonisti della repressione del movimento operaio negli anni ’50.
Inoltre nel 1991 la dissoluzione della Repubblica jugoslava ravvivava negli ambienti reazionari italiani l’ambizione di rimettere in discussione i trattati di pace del dopoguerra e i confini da essi definiti. La stessa data che verrà scelta per la “giornata del ricordo”, cioè l’anniversario dei Trattati di Parigi del 1947, ha un significato chiaro ed evidente.
Nel contesto politico culturale di questi anni viene dunque riesumata la vecchia narrazione sugli “eccidi delle foibe”, che era stata utilizzata nell’immediato dopoguerra come pretesto per negare l’estradizione dei criminali fascisti in Jugoslavia. Alla nuova collocazione atlantica dell’Italia era funzionale il mito degli “Italiani brava gente” e l’occultamento dei crimini di guerra commessi nei territori della ex Jugoslavia così come in Grecia, Libia ed Etiopia. Ma negli anni successivi la vicenda delle foibe rimase confinata negli ambienti della destra più estrema, anche perché varie inchieste avevano chiarito che si trattava di episodi circoscritti, analoghi a quelli avvenuti in tutti i paesi europei liberati a danno di chi aveva collaborato con i regimi nazifascisti.
Nella nuova narrazione dominante della Seconda Repubblica i crimini di guerra del fascismo continuano a essere occultati, mentre foibe ed esodo delle popolazioni di origine italiana dai territori riconquistati dalla Jugoslavia vengono ricompresi in un presunto progetto di “pulizia etnica” da parte dei “comunisti”. Viene sostanzialmente capovolta la realtà storica, in cui l’unica pulizia etnica attuata in quelle regioni è stata l’italianizzazione forzata delle popolazioni slave messa in atto a partire dalla fine della Prima Guerra mondiale.
La denigrazione della resistenza jugoslava, la più importante d’Europa, in cui avevano militato circa 20mila italiani, rappresenta un’operazione di delegittimazione della resistenza tout-court. Sul numero degli “infoibati” vengono sparate cifre a casaccio, senza alcun riscontro documentale, e racconti presi dalla vecchia propaganda neofascista vengono spacciati per verità.
L’istituzione della giornata delle foibe a pochi giorni di distanza dalla Giornata della Memoria dedicata alle vittime dell’Olocausto nazifascista viene palesemente a proporre un impossibile bilanciamento e una omologazione tra vittime e carnefici, tra oppressori e liberatori.
Inoltre questa operazione di rilettura della storia dell’estrema destra in Italia non riguarda soltanto il Ventennio del regime, ma anche il periodo che va dall’immediato Dopoguerra fino agli anni ’80, quello delle “trame nere”, con la nascita di strutture paramilitari golpiste come Gladio e con la strategia della tensione, nella quale i neofascisti hanno costituito la manovalanza al servizio di poteri occulti intenzionati a contrastare anche con le bombe e gli omicidi politici i movimenti di lotta.
A partire dall’istituzione della giornata delle foibe film e pubblicazioni di aperta propaganda neofascista sono stati realizzati anche con soldi pubblici, e con il pretesto di ricordare questa vicenda fascisti di tutte le risme hanno avuto via libera a diffondere il loro materiale perfino nelle scuole, mentre ambienti di sinistra malati di opportunismo e succubi delle mode culturali hanno abbracciato il nuovo “politically correct” in cerca di visibilità e di riconoscimenti.
Il risultato di questo lungo percorso di falsificazione storica è sotto gli occhi di tutti: in una fase di generale imbarbarimento della società la penetrazione di una cultura fascistoide, razzista e reazionaria è un elemento sempre più evidente e sempre più pericoloso: basti pensare alle continue aggressioni verso i tradizionali bersagli della violenza dell’estrema destra: avversari politici, comunità ebraiche, immigrati, omosessuali. L’epoca della subalternità culturale della sinistra deve finire. Vi invitiamo a discuterne in un seminario on line che si svolgerà il prossimo 10 febbraio alle ore 17,30, e a cui parteciperanno Tomaso Montanari, Alessandra Kervesan e Tommaso Fattori.
Per assistere al seminario basterà collegarsi alla pagina Facebook il 10 febbraio alle 17:30
Il seminario sarà poi trasmesso anche su youtube
29 Gennaio 2022