Ci sono tanti paesi al mondo che, nonostante le apparenze, non vorrei mai frequentare o proporre ad altri come modello perché hanno sviluppato, grazie a pessimi legislatori, una cultura machista per nulla accogliente o con insufficienti diritti sociali. Paesi che erano riusciti in passato a conquistare un bellissimo approccio con la civiltà evolutiva dell’uomo ma, poi, l’individualismo, l’egoismo, l’idiozia, le bugie, il miraggio della ricchezza a tutti i costi, l’essere più furbo di tutti… hanno fatto la loro parte da distruggere il buon convivere civile che era basato su solidarietà, cooperazione e sinergia gli uni con gli altri.
Sotto, solo, alcune brutture o frutti marci di un paese che non vorrei mai proporre ad amici o conoscenti.
MOWA
Carabiniera molestata, un’intervista non disonora l’Arma. Gli abusi, sìBeppe GiuliettiAngela Rizzo, carabiniera in forza alla compagnia di Firenze, è stata accusata di aver leso l’immagine dell’Arma per le dichiarazioni rilasciate alla giornalista Giulia Bosetti di Presa diretta, la trasmissione di Rai3 condotta da Riccardo Iacona. La sua testimonianza, difficile e tormentata, riguardava le molestie subite da lei e da altre colleghe ed era inserita nella puntata dedicata a “Sesso e potere”, un’inchiesta che ha illuminato situazioni di arbitrio e di umiliazione e che è riuscita a dare voce a chi non aveva mai trovato il coraggio di ribellarsi e di denunciare. Tra queste voci quella di Angela Rizzo che ha raccontato storie di abusi che, forse, avrebbero dovuto essere denunciate e stroncate proprio da chi ora l’accusa di aver leso l’immagine dell’Arma dei Carabinieri. A disonorare il corpo non è stata l’intervista di Angela Rizzo (comunque l’articolo 21 della Costituzione vale anche per lei), ma chi abusa della divisa per molestare lei e le sue colleghe. Una donna – soprattutto se indossa una divisa – fatica a denunciare, conosce il rischio dell’isolamento e della calunnia, sa che forse non potrà contare sulla solidarietà dei superiori e di tanti colleghi. Eppure Angela ha scelto di parlare, perché il peso che portava dentro era troppo grande per restare nascosto, in attesa dei tempi di un’inchiesta interna, magari continuando a incontrare e a vedere quelli che Lei considera i suoi molestatori. Per questo Angela ha fatto bene a denunciare e per questo ci sembra giusto invitate tutte e tutti a condividere la campagna #iostoconangela. |
Respinto il ricorso della lavoratrice licenziata da Ikea a MilanoSecondo il giudice la donna, che aveva rifiutato un cambio di orario giustificandosi con la cura di due figli di cui uno disabile, avrebbe avuto comportamenti tali da giustificare l’allontanamento
Il giudice ha respinto il ricorso della mamma lavoratrice, licenziata nei mesi scorsi da Ikea a Milano, che riteneva il licenziamento discriminatorio e chiedeva il reintegro e il risarcimento del danno. Per il giudice che ha analizzato il ricorso, i comportamenti dell’ex dipendente del negozio milanese, Marica Ricutti, sono stati “di gravità tali da ledere il rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore e consentono l’adozione del provvedimento disciplinare espulsivo”. Ricutti ha lavorato nello store Ikea di Corsico per 17 anni, girando tanti reparti, ma all’ultimo cambio di mansione, che avrebbe previsto di anticipare l’inizio del lavoro alle 7, si era rifiutata dichiarando di non poter arrivare a quell’ora perché, madre separata, deve portare i figli a scuola e assicurare a uno dei due una cura specialistica, trattandosi di un bambino disabile. Dalla parte della donna si erano schierati in maniera compatta i sindacati, con la Cgil che aveva definito il licenziamento “un segnale per tutti” da parte della catena svedese, e la Cisl che aveva parlato di “mortificazione per le donne madri”, che sottolinea “quanto sia difficile nel nostro paese per le donne conciliare il lavoro con la cura della famiglia”. Di diverso avviso Ikea, che in una nota aveva parlato di decisione “difficile quanto necessaria, nel rispetto dei propri valori e alla luce dei fatti avvenuti”, pur riaffermando “il proprio modo di lavorare che sostiene e sviluppa le proprie risorse interne”. La società, quindi, pur avendo “fatto il possibile per andare incontro alle richieste della lavoratrice”, aveva ritenuto “non accettabili comportamenti che hanno compromesso la relazione di fiducia”, ad esempio il fatto che la dipendente, “per sua stessa ammissione”, si era “autodeterminata l’orario di lavoro senza alcun preavviso o comunicazione di sorta, mettendo in gravi difficoltà i servizi dell’area che coordinava e il lavoro dei colleghi, creando disagi ai clienti e disservizi evidenti e non tollerabili”.
03 aprile 2018
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“Posti di lavoro in cambio di voti”. Ai domiciliari l’ex deputato Salvino CaputoL’avvocato è stato commissario straordinario di Palermo del movimento “Noi per Salvini” durante le scorse amministrative. Provvedimento anche per il fratello candidato non eletto della Lega alle ultime regionali di SALVO PALAZZOLO Con l’accusa di voto di scambio i carabinieri del comando provinciale di Palermo hanno arrestato l’ex deputato regionale siciliano Salvino Caputo, dirigente di “Noi con Salvini”. L’ex parlamentare, avvocato di Monreale, commissario straordinario per i comuni della provincia di Palermo del movimento leghista durante le elezioni della scorsa primavera, è finito agli arresti domiciliari su proposta della procura della repubblica di Termini Imerese. Ai domiciliari anche il fratello, Mario Caputo, avvocato pure lui, candidato non eletto durante le ultime elezioni dell’Ars nelle liste del movimento “Noi con Salvini”. Un terzo provvedimento riguarda Benito Vercio, 62enne, ritenuto un procacciatore di voti, è di Termini Imerese. Nel corso delle indagini, la Procura diretta da Ambrogio Cartosio ha accertato “dodici episodi di compravendita di voti in cambio di promesse di posti di lavoro o altre utilità”, questa l’accusa. L’indagine dei carabinieri si riferisce alle regionali del novembre 2017, in cui era candidato Mario Caputo detto Salvino, un chiaro riferimento al fratello più celebre Nel 2013, Salvino Caputo era stato costretto a lasciare l’Assemblea regionale siciliana dopo che nei suoi confronti era divenuta definitiva una condanna ad un anno e cinque mesi per tentato abuso d’ufficio. L’ex deputato regionale di An e poi Pdl cercò di fare annullare alcune multe quando era sindaco di Monreale. 4 aprile 2018 |
Caso Skripal. Il Regno Unito non ha le prove che il gas nervino provenga dalla RussiaGli scienziati britannici non hanno le prove che il gas nervino utilizzato per avvelenare l’ex spia russa Sergei Skripal e sua figlia Yulia a Salisbury sia stato fabbricato in Russia. A dare la notizia è stato il capo del laboratorio militare di Porton Down: “Siamo stati in grado di stabilire che si trattava del Novichok, di accertare che era un agente nervino di tipo militare. Non abbiamo identificato l’esatta fonte“. Il governo di Theresa May ha dunque utilizzato altre prove per stabilire che il gas provenisse da ambienti vicini al Cremlino. Il caso legato a Skripal assume ulteriori lati oscuri “liberando” per un istante le responsabilità dirette da Londra contro Mosca. La vicenda ha portato all’espulsione di numerosi diplomatici russi (almeno 150) dai Paesi alleati del Regno Unito (Stati Uniti, Italia e Francia tra gli altri, Nato compresa). La risposta della Russia non si è poi fatta attendere. Il 30 marzo Putin ha risposto in egual misura all’offensiva occidentale, portando le relazioni con Washington al loro punto più basso dall’annessione della Crimea nel 2014. Mentre Yulia Skripal non è più in pericolo di vita (si è risvegliata il 30 marzo), la domanda da porsi è quale tipo di informazione possieda il Regno Unito, e di conseguenza i Paesi che hanno appoggiato la sua linea d’accusa, dal momento che è caduto l’indizio principale che avrebbe inchiodato la Russia. (Foto credits: Ansa) 03.04.2018
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Israele, il nodo dei profughi che Netanyahu vuole cacciareSono soprattutto eritrei e somali. Dopo il no dell’Africa al loro ricollocamento, il premier ha provato a coinvolgere i Paesi occidentali che accolgono più migranti. Con l’avallo dell’Onu. Il piano per ora è saltato ma la questione resta. Barbara Ciolli Il passo indietro e le smentite del primo ministro israeliano Benyamin Netanyahu sulla notizia eclatante, soprattutto per le destinazioni interessate, degli oltre 16.200 profughi interni da ricollocare in cinque anni – con l’avallo dell’Onu – in Paesi occidentali quali il «Canada, la Germania e l’Italia» non bastano a chiudere, né tanto meno a chiarire, la vicenda che ha fatto sobbalzare le cancellerie citate e anche l’Ue. Soprattutto perché la questione dell’espulsione di migliaia di richiedenti asilo da Israele si trascina da anni e certo la non cancellerà l’annuncio improvvido e impreciso, poi ritirato, di un premier populista come Netanyahu. LE PRESSIONI DELL’ESTREMA DESTRA. Il misterioso piano concordato con l’Alto commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite (Unhcr) non è stato «cancellato» da Israele perché lesivo del diritto d’asilo di chi si vuole cacciare. Né perché non era stato ancora illustrato, com’è poi emerso, ai governi interessati dai ricollocamenti. Bensì perché giudicato “buonista” dagli alleati di estrema destra dell’ultimo esecutivo di Netanjanu come Casa ebraica. I profughi che si trovano in Israele sono circa 40 mila e il premier aveva prospettato di espellerne meno di un terzo, appena 16 mila nel primo anno e mezzo. Troppo pochi anche per il Likud, il suo partito conservatore che con i centristi di Kulanu, Casa ebraica e gli ultra-ortodossi sionisti di Shas e Giudaismo unito nella Torah è intento a costruire uno Stato etnico ebraico, attraverso due direttive: colonizzare illegalmente Gerusalemme Est e i territori palestinesi della Cisgiordania, riducendo in disgrazia la Striscia di Gaza (15 i morti e centinaia i feriti negli scontri al confine nella settimana di Pasqua) e ripulire Israele dai cosiddetti «infiltrati» stranieri. Secondo le stime delle ong e delle associazioni per i diritti umani anche israeliane, tra i 39 mila e i 42 mila richiedenti asilo africani nel Paese. ERITREI E SUDANESI. In larghissima maggioranza si tratta di eritrei (l’80% circa) e di sudanesi (il 20%), in fuga dai conflitti in Darfur e Sud Sudan o esuli dal durissimo regime militare dell’ex colonia italiana, che non possono essere bollati come «infiltrati» o alla meno peggio come «migranti» da Netanyahu. In qualsiasi altro Paese civile e democratico che – come Israele – abbia firmato la Convenzione dell’Onu di Ginevra sui rifugiati, quelle poche migliaia di richiedenti asilo di suddette nazionalità verrebbero in pochi mesi riconosciuti come rifugiati politici o profughi titolari di protezione internazionale. Invece per anni Israele ha rifiutato di integrare questi africani, concedendo loro permessi di lavoro a scadenza ogni due mesi e lasciandoli di fatto nell’irregolarità, ammassati soprattutto nella periferia a sud di Tel Aviv a vivere di lavori in nero o attività illecite. Prima che nel 2012 fosse costruita e militarizzata una barriera con l’Egitto, ne erano arrivati circa 60 mila. Da allora il flusso è stato stroncato, nonostante attraverso i trafficanti del Sinai continuino a entrare in Israele alcune centinaia di stranieri l’anno e in circa 20 mila sarebbero rientrati «volontariamente» in Stati terzi disponibili come il Ruanda, che avevano stretto accordi con Israele in cambio di aiuti. LA PRIGIONE DI HOLOT. Nel deserto del Negev, a Holot, è stato poi aperto un centro di detenzione per «migranti», capace di ospitarne fino a 3.400. Un limbo per migliaia di stranieri non graditi che, con l’accelerata sulle deportazioni annunciata dal premier israeliano a partire dal primo aprile 2018, non trovano Paesi terzi disposti a prenderli in carico. Anche Ruanda e Uganda, che prima accettavano gli incentivi di Israele, stavolta hanno rifiutato. Lo stesso vale per il Ghana. Nessuno dà il placet all’ultima legge di Netanyahu che dal mese corrente impone il carcere ai richiedenti asilo che non scelgono l’espulsione in cambio di 3.500 dollari e del biglietto aereo pagato. La Corte internazionale di Giustizia dell’Aja ha cassato come incostituzionali le leggi «anti-infiltrazioni» israeliane e anche la Corte suprema israeliana ha congelato temporaneamente le espulsioni. Per calmare l’opinione pubblica interna, che per il 66% appoggia le misure sull’immigrazione, il premier israeliano ha annunciato le deportazioni verso Paesi terzi anche «senza il loro consenso», citando infine le destinazioni in Occidente e il piano dell’Onu. L’aspetto più inquietante è proprio la disponibilità delle Nazioni Unite, che si sono appena viste negare da Israele un’inchiesta indipendente sugli ultimi morti di Gaza, a trattare con Netanyahu. IL PIANO CON L’ONU. Israele è lo Stato occidentale con il più alto rifiuto di richieste d’asilo: quasi 7.300 sono pendenti da anni, sistematicamente ignorate. Dal 2009 solo 11 rifugiati (10 eritrei e un sudanese) sono stati accettati e ad appena 200 sudanesi è stata riconosciuta la protezione internazionale. Eppure l’Unhcr non nega l’esistenza del piano, in via di definizione, rinnegato da Netanyahu: non ci sono ancora accordi con altri governi ma, ha commentato il portavoce dell’agenzia Onu sui rifugiati William Spindler, «per 16 mila persone confidiamo di trovare un posto». Un luogo che sia meglio di Holot e delle carceri israeliane Quella di Netanyahu è stata solo una mezza gaffe. Dal suo gabinetto hanno precisato che «l’Italia era solo un esempio di Paese occidentale», una destinazione buttata lì, insieme col Canada e la Germania, gli Stati che (con la Svezia) accettano più migranti. Berlino ha dichiarato di non aver ricevuto alcuna richiesta «né da Israele, né dall’Onu», e anche il governo italiano ha smentito «qualsiasi accordo a riguardo». Ma per Israele e probabilmente anche per le Nazioni Unite il piano saltato era una conquista. VIA I MASCHI SINGLE. Spedire 16.250 richiedenti asilo in Paesi neanche informati significava regolarizzare in Israele circa 12 mila persone. Qualcosa di mai fatto prima, un enorme passo in avanti che all’estrema destra sionista non è andato giù e che, per questo, è stato affossato. Netanyahu aveva affermato che sarebbero stati accettati i «profughi» più profughi degli altri cioè donne, anziani, bambini, malati e altre categorie particolarmente vulnerabili. A Tel Aviv da mesi marciano centinaia di donne africane con i bambini al seguito. Per i maschi single e senza figli non restano che le deportazioni. Ma anche la definizione di single e di matrimonio è tutt’altro che scontata nello Stato di Israele retto dal diritto ebraico. 03 aprile 2018 |
Spagna, lezioni sull’esercito ai bambini delle scuole elementariUn’integrazione dei curriculum educativi formulata dal Ministero della Difesa spagnolo prevede che l’esercito nazionale diventi una delle materie a scelta per gli alunni delle scuole elementari del Paese. I bambini di età compresa tra i 6 e i 12 anni dovranno saper rispondere a domande sulle marce militari come La Banderita, utilizzata durante le guerre coloniali in Marocco, oppure ricreare veicoli militari in miniatura con la plastilina dopo averli visti in parata. Tra le attività ci sono anche riconoscere le differenze tra città prima e dopo una guerra oppure giocare a tris usando gli stemmi dell’esercito, della marina o dell’aviazione. Alcuni materiali del corso sono stati criticati da Save the Children che ha protestato anche per l’inserimento di “immigrazione” in una sezione intitolata “minacce ai valori spagnoli”. Le lezioni sono facoltative e il governo suggerisce che potrebbero sostituire altre materie non obbligatorie come la religione. Il mese scorso i nazionalisti catalani non sono riusciti a far accantonare la proposta nel Parlamento spagnolo che è così passata.
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