Remocontro
La caduta di Imran Khan, carismatico primo ministro del Pakistan prima sfiduciato e poi condannato al carcere, sarebbe il risultato di un’operazione coperta degli Stati Uniti. Lo scoop è targato The Intercept, uno dei più rinomati portali di giornalismo investigativo del mondo, e il caso ha voluto che fosse curiosamente realizzato alla vigilia dell’80esimo anniversario della congiura americana che ha cambiato la storia del Medio Oriente.
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Operazione Ajax bis
Una operazione catastroficamente sporca che tira l’altra, il dubbio di Emanuel Pietrobon su InsideOver, se si chiade e ci chiede s anche l’operazione Khan verrà ricordata, un domani, come il punto d’origine di un capolinea oggi invisibile. Ripasso storico. L’operazione Ajax (nome ufficiale TP-AJAX per gli statunitensi, operazione Boot per i britannici) fu una missione segreta promossa nell’agosto del 1953 dai governi del Regno Unito e degli Stati Uniti per sovvertire il regime democratico dell’Iran, allora governato da Mohammad Mossadeq, che aveva da poco nazionalizzato l’industria petrolifera. Mossadek ucciso e lo scià Reza Pahlavi al potere per recuperare il controllo sui redditizi giacimenti petroliferi iraniani,
Operazione Imran Khan
Sini ad una settimana fa solo una teoria del complotto, strillata a gran voce da più di mezzo pop0lo pachistano, ma pur sempre una teoria del complotto. Ma dal 9 agosto ha trovato riscontro in una fuga di documenti classificati finiti nelle mani di ‘The Intercept’, che i segreti si sa leggere, verificare e svelare.
Khan deve cadere
7 marzo 2022. Manca poco meno di un mese alla nascita della crisi politico-costituzionale che porterà alla sfiducia di Imran Khan da parte del parlamento, la prima nella storia di Islamabad, e tre persone si sono incontrate per discutere della condotta del premier pakistano e delle eventuali misure che potrebbero essere adottate per metterlo fuori gioco in vista delle elezioni generali dell’anno seguente.
Il politico più popolare
I sondaggi dicono che Khan è il politico più popolare del Pakistan, e il suo secondo mandato sembra sicuro. E questo per gli Stati Uniti è un problema: non solo il primo ministro ha sigillato le relazioni con la Cina, ma ha mostrato di essere intenzionato ad avviare un disgelo persino con la Russia, rivale di vecchia data, porgendo come ramoscello d’ulivo l’assunzione di una «postura aggressivamente neutrale” nella guerra in Ucraina». E questo per Washington proprio non può andare.
I tre cospiratori
Le tre persone che stanno cercando il modo di chiudere il ‘fascicolo Imran Khan’, sono l’ambasciatore del Pakistan a Washington, Asad Majeed Khan, e due ufficiali del dipartimento di Stato Usa, Donad Lu ( ex ambasciatore nel Kirghizistan e poi in Albania) e Les Viguerie. E sono questi due che a pranzo con l’ambasciatore Khan avanzano la loro proposta ‘politica’: deporre Khan con un voto di sfiducia in cambio di ‘relazioni più cordiali’, molto più cordiali con gli Stati Uniti e ‘perdono per i suoi misfatti fino cinesi e russi’. Perdono economico al Pakistan. L’alternativa è una ‘non-alternativa’: «isolamento».
Washington decide
Il 7 marzo, mentre Khan è già entrato in campagna elettorale e accusa l’Occidente davanti a folle oceaniche di simpatizzanti di volere e trattare il Pakistan come uno ‘schiavo, Washington ha deciso segretamente il suo futuro: dovrà cadere. Dovrà cadere e l’agenda russa su Islamabad dovrà cambiare in maniera radicale e subito. Perché il tempo per agire è poco: gli Stati Uniti vogliono creare una coalizione internazionale a supporto dell’Ucraina e il comportamento spregiudicato di Khan, che al momento dell’invasione si trovava a Mosca e che si è astenuto da una risoluzione di condanna discussa e votata al Palazzo di vetro. Pessimo esempio ad invogliare altri.
Il bastone e la carota
Nel documento giunto nelle mani di The Intercept sono riportati degli estratti dei dialoghi fra i tre giustizieri di Khan. Lu è, nel gruppo, quello che parla di più. Promesse in caso di successo del piano (tutto vi verrà perdonato) e minacce in caso del suo fallimento (il Pakistan verrà isolato dagli Stati Uniti e non solo). L’ambasciatore Khan è concorde sul fatto che il premier abbia gettato benzina sul fuoco delle già ustionate relazioni bilaterali, ma è pur sempre un diplomatico e un patriota, perciò prova a spiegare che «mentre gli Stati Uniti si sono sempreattesi il supporto del Pakistan su ogni argomento che fosse importante per loro, non hanno mai ricambiato». L’8 marzo, il giorno dopo la trilaterale, l’ambasciatore pakistano ha evidentemente trasmesso a chi di dovere in patria i messaggi di Lu:
l’opposizione avvia la procedura che poco più di un mese dopo, il 10 aprile, culminerà nello storico voto di sfiducia. L’inizio di un anno di gravi disordini, tra le forze dell’ordine e i simpatizzanti del deposto premier, e di un’altrettanto feroce lotta all’interno delle stanze dei bottoni.
Un nuovo effetto Ajax?
La sfiducia solo l’inizio del progetto di cancellazione del personaggio, basato su censura, purghe, repressione e scandali a orologeria, che nell’arco di un anno ha portato le forze armate, storiche custodi del Potere in Pakistan, a fare terreno bruciato attorno a Khan e alla sua creatura, il Movimento per la giustizia, per falsare le elezioni generali in arrivo. Il partito di Kan vittima di due scissioni, ma la rabbia del Pakistan profondo non sembra placarsi. Anzi, l’intensità e la frequenza delle dimostrazioni a favore del premier sono cresciute di pari passo con la repressione sempre più feroce. Risultato: più di 60 morti, 7000 arresti e 1000 feriti dall’aprile 2022 all’agosto 2023.
Colpo di Stato mascherato
Khan, che il 5 agosto di quest’anno è stato condannato a tre anni di prigione per ‘aver venduto illegalmente degli assetti statali’, e a cinque anni di incandidabilità, causa «l’inaugurazione di uno stato poliziesco de facto comandato dall’Esercito», la struttura di potere che di fatto ha compiuto o permesso il ‘golpe bianco’ contro l’ex premier. «La destituzione eterodiretta di quello che è stato il politico del Duemila più apprezzato dai pakistani, in particolare dai giovani, potrebbe presentare delle conseguenze nel medio-lungo termine», avverte Emanuel Pietrobon.
«Non soltanto Khan è destinato a diventare un martire nell’istante in cui metterà piede in carcere, come insegnano i casi di Erdoğan e Lula, ma la feroce reazione popolare indica che questo golpe bianco sta venendo vissuto alla stregua di un ‘furto generazionale’. E la storia, prima o poi, presenta il conto».
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ULTIM’ORA
Alcune centinaia di persone hanno attaccato con bastoni e pietre diverse chiese cristiane nella città di Jaranwala, nella regione del Punjab, accusando la comunità cristiana locale di blasfemia (in Pakistan l’Islam è religione di stato, e il suo oltraggio è considerato un reato punibile anche con la pena di morte).
16 Agosto 2023
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AVEVAMO DETTO