di Gianni Barbacetto
Il Consiglio superiore della magistratura sta discutendo un testo che potrebbe diventare una circolare per regolare i rapporti tra dirigenti e pm nelle Procure. Una corrente dei magistrati, quella di Autonomia e indipendenza di Piercamillo Davigo, ha lanciato l’allarme “deriva autoritaria”, segnalando che la bozza in discussione alla Settima commissione del Csm potrebbe avere l’esito di una completa gerarchizzazione delle Procure, rafforzando i poteri del procuratore e togliendo ogni autonomia ai suoi sostituti. “È una storia antica quella dell’autonomia del pubblico ministero”, racconta Giovanni Palombarini, che è a sua volta un pezzo di storia della magistratura italiana: tra i fondatori, nel 1964, di Magistratura democratica, ne è stato segretario nazionale tra il 1982 e il 1986 e poi presidente fino al 1990.
“Tutto nasce quando, agli inizi degli anni Ottanta, l’allora presidente del Consiglio Bettino Craxi propone una radicale ristrutturazione della giustizia. Le scelte dell’azione penale – sostiene – le deve fare la politica. Le Procure devono diventare uffici gerarchici, in cui i pm rispondono ai procuratori e questi a un procuratore nazionale, il quale all’inizio dell’anno riceve indicazioni dal Parlamento e alla fine dell’anno al Parlamento deve riferire gli esiti del lavoro compiuto. Io allora ero segretario di Magistratura democratica, che fece un’opposizione durissima a questo disegno”.
La riforma non fu mai realizzata. “No, ma quei temi rimasero sul terreno”, continua Palombarini. “Si ripresentarono violentemente nel novembre 1991, quando il Consiglio superiore della magistratura cominciò a discutere in commissione i rapporti tra capi dell’ufficio del pubblico ministero e sostituti, con la prospettiva di riconoscere ai sostituti un’ampia autonomia. Quando la discussione stava per essere portata al plenum del Consiglio, arrivò il diktat di Francesco Cossiga, allora presidente della Repubblica. Due parole: ‘Non consento’. E arrivarono perfino i carabinieri davanti al portone del Csm”.
Qualche anno dopo entrò Silvio Berlusconi nel portone di Palazzo Chigi. “E nel 2005 Roberto Castelli, suo ministro della Giustizia, propose una riforma dell’ordinamento giudiziario che prevedeva la separazione delle carriere tra pm e giudici, i concorsi interni per progredire in carriera e molto altro ancora”. Prosegue Palombarini: “La magistratura si oppose nettamente. Quando, l’anno dopo, andò al governo Romano Prodi, il nuovo ministro della Giustizia, Clemente Mastella, mostrò un atteggiamento dialogante e accettò di ridiscutere tutta la riforma con i rappresentanti dell’Associazione nazionale magistrati”. Gli uomini di Magistratura democratica dentro l’Anm erano Nello Rossi, Edmondo Bruti Liberati, Vittorio Borraccetti, Claudio Castelli. Loro condussero la trattativa con Mastella.
Ma a un certo punto ci fu una frattura dentro Md. “Il peggio della riforma Castelli fu scongiurato: niente separazione delle carriere, niente concorsi interni… Ma rimaneva la sostanziale gerarchizzazione delle Procure. Io capisco quello che ci dicevano i nostri rappresentanti dentro l’Anm: ‘Abbiamo svuotato per i due terzi la riforma Castelli’ ed erano giustamente fieri di questo risultato. Ma alcuni dentro Magistratura democratica – tra cui l’ex segretario di Md Juanito Patrone e io – non hanno mandato giù le norme sul procuratore, che diventa titolare esclusivo dell’ufficio del pubblico ministero, dà le direttive, assegna i fascicoli, dà indicazioni su come condurre le indagini, può intervenire nelle inchieste e nei processi… No, questa parte del nuovo ordinamento giudiziario negoziato da alcuni di Md io non l’ho mai digerita”.
Arriviamo a oggi. E alle discussioni in corso dentro il Consiglio superiore della magistratura. “Non me la sento di fare valutazioni perentorie”, conclude Palombarini. “La riforma Mastella, con la sua sostanziale gerarchizzazione delle Procure, oggi è legge. Quello che il Csm potrebbe fare è affiancare alla legge una circolare che assicuri un equilibrio tra i poteri del procuratore e la giusta autonomia dei suoi sostituti. Salvo casi singoli, in questi anni le Procure sono state gestite con equilibrio, la cultura dell’autonomia di ogni magistrato si è affermata. Ma ora il Csm potrebbe cercare con una sua circolare di rendere meno rigida e perentoria l’organizzazione degli uffici e di limitare la verticalizzazione delle Procure. Ecco quello che spero: che il Csm possa integrare e migliorare la legge, garantendo maggiore autonomia al pm e introducendo anche verifiche sulla professionalità e sui risultati ottenuti”. Vedremo presto in quale direzione si muoverà il Csm.