by DameVerte on nov 6, 2014
Questa settimana, dopo aver pubblicato il post di introduzione al progetto “Parole come armi” (lo trovate [qui]), abbiamo ricevuto numerose email e telefonate da parte di persone che avevano vissuto o stavano vivendo una situazione di violenza psicologica, da parte di chi si occupa o si è occupato di accoglienza di donne che hanno subito violenza, da parte di chi è interessato a questo fenomeno e vorrebbe solo saperne di più.
Vi ringraziamo molto di questa risposta positiva. In primis perchè significa che il problema è sentito e c’è un reale interesse da parte di molt* nel cercare di cambiare le cose.
Secondo, ma non meno importante, perchè c’è un grosso desiderio di confronto, di condivisione, di comprensione: il silenzio non è mai una soluzione davanti alla violenza, di qualsiasi tipo sia. Cominciare a scrivere, parlare, leggere testi sull’argomento, non può che dare maggiori strumenti, maggiore consapevolezza per affrontare queste gravissime situazioni di abuso, sia da parte di chi lo vive in prima persona, sia da parte di chi è vicin* a qualcun* che lo vive in prima persona, o anche per chi lo ha vissuto, ma non ne ha mai avuto idea.
Vorrei cominciare citando un libro che è, ormai, una pietra miliare; un libro che ha permesso a migliaia di donne (e non solo) in tutto il mondo di aprire gli occhi davanti a centinaia di situazioni di violenza psicologica diverse e che le ha aiutate a distaccarsi dai propri aguzzini.
Il libro a cui mi riferisco è “Donne che amano troppo” della psicoterapeuta e scrittrice Robin Norwood.
Sicuramente, molte di voi l’avranno letto, ma credo possa sempre essere utile rileggere questo passaggio:
“Quando essere innamorate significa soffrire, stiamo amando troppo. Quando nella maggior parte delle nostre conversazioni con le amiche intime parliamo di lui, dei suoi problemi, di quello che pensa, dei suoi sentimenti, stiamo amando troppo.
Quando giustifichiamo i suoi malumori, il suo cattivo carattere, la sua indifferenza o li consideriamo conseguenze di una infanzia infelice e cerchiamo di diventare la sua terapista, stiamo amando troppo.
Quando non ci piacciono il suo carattere, il suo modo di pensare e il suo comportamento, ma ci adattiamo pensando che se noi saremo abbastanza attraenti e affettuose lui vorrà cambiare per amor nostro, stiamo amando troppo.
Quando la relazione con lui mette a repentaglio il nostro benessere emotivo e forse anche la nostra salute e la nostra sicurezza, stiamo decisamente amando troppo.
A dispetto di tutta la sofferenza e l’insoddisfazione che comporta, amare troppo è un’esperienza tanto comune per molte donne che quasi siamo convinte che una relazione intima debba essere fatta così.”
Robin Norwood, con questo libro profondissimo, mette in risalto l’esistenza della violenza psicologica, dei manipolatori, ma anche della dipendenza affettiva e di tutti quei caratteri socio-culturali che portano le donne a dirsi che devono sacrificarsi per l’altro, per il compagno e che non si sentiranno mai complete da sole, ma avranno sempre bisogno di qualcuno che le faccia sentire appagate.
Fin dall’infanzia ci vengono trasmessi dei valori diversi rispetto a ciò che dovremo provare o desiderare da grandi: le bambine si sentono, fin dai primi giorni, raccontare favole e storie su principesse che aspettano principi azzurri, i film romantici (soprattutto quelli nord-americani) e i format tv ci trasmettono il messaggio che il giorno da desiderare di più sia quello del matrimonio. Le protagoniste si prodigano in maniera quasi compulsiva nella ricerca del partner perfetto, del vestito perfetto, del “giorno perfetto”.
L’esaltazione del matrimonio non si discosta dal fatto che ci viene insegnato a guardare alla maternità come alla massima aspirazione esistente: prima con bambolotti di cui saremo “mamme” (tranne rari casi di bambine che si autodefiniscono “sorelle” o “zie”) e che dovremo accudire amorevolmente; poi con piccole cucine e lavatrici con cui ci insegneranno i comportamenti della “brava massaia”.
Quando si diventa adolescenti si comincia a ricevere il messaggio che o ci si accosta il più possibile all’idea di “corpo perfetto” che viene indicato dai media, o non saremo accettate dagli altri.
Questa “perfezione imposta” non sarà mai raggiungibile, con gravissime conseguenze sull’autostima e sulla considerazione di sé.
Questi sono solo alcuni degli input che vengono dati a bambine e ragazze durante la crescita.
Perciò mi domando: come pensate che per una donna, da adulta, sia facile “bastare a se stessa”? Come pensate possa essere facile discostarsi da quei modelli che, da secoli, hanno suggerito alle donne di avere “bisogno” dell’uomo per sentirsi, finalmente, complete?
A maggior ragione in un contesto dove sia presente una manipolazione affettiva e dove un partner svaluti costantemente la propria compagna, se le basi culturali che l’hanno circondata per una vita sono queste, come potrete pensare che il suo amore per se stessa potrà aiutarla a capire che non ha bisogno di lui per vivere?
Agli uomini, fin dall’infanzia, viene insegnato a bastare a se stessi, crescono (seppur con qualche inevitabile insicurezza) con la consapevolezza di essere persone “complete”: il loro legarsi a qualcun* sarà un “di più” rispetto a ciò che già sono.
La criminologa Cinzia Mammoliti spiega molto chiaramente: “[…] Ma non è solo l’innamoramento a determinare un abbassamento delle soglie dell’attenzione. A volte si tratta di condizionamenti infantili, regole sociali implicite, ruoli culturali di genere che assegnano determinati comportamenti stereotipati. La gentilezza, la tolleranza, la pazienza sono tuute doti che le donne perbene dovrebbero possedere per definirsi tali.
Ci è stato insegnato sin da bambine a sopportare senza lamentarci, ad aspettare pazientemente e a posticipare la soddisfazione di bisogni e desideri. Ecco perchè a molte di noi appare normale relazionarsi con uomini assenti o problematici: perchè abbiamo appreso modalità che nelle relazioni a due sono destinate a rivelarsi assolutamente disfunzionali e che si riassumono perlopiù nell’illusoria convinzione che possano aver luogo cambiamenti e trasformazioni di situazioni che non sempre e non necessariamente possono mutare.”
Anche la psicoterapeuta Robin Stern si domanda come mai la manipolazione psicologica sia diventata così diffusa e perchè tante donne forti ed intelligenti si trovino bloccate in relazioni debilitanti e ipotizza tre ragioni principali “di questa epidemia, un potente insieme di messaggi insiti nella nostra cultura che supera qualsiasi motivazione individuale per continuare un rapporto manipolativo.”
1) La prima ragione è il veloce mutamento del ruolo femminile e la reazione degli uomini a tale cambiamento.
Il cambiamento più drastico è avvenuto durante la Seconda Guerra Mondiale, quando moltissime donne entrarono a far parte della forza lavoro per occupare i posti lasciati dagli uomini per arruolarsi.
Al rientro, molti di questi ultimi, secondo la psicoterapeuta, si sarebbero sentiti minacciati dalle “nuove” richieste femminili di parità nella vita pubblica e privata. Negli anni ’40, infatti, ci fu una risposta hollywoodiana a questi nuovi ruoli femminili, con numerosi film come “Gaslight” (ne abbiamo parlato [qui]).
Da allora ad oggi, le donne hanno assunto un nuovo potere nella vita professionale e personale.
“Di conseguenza[…] alcuni uomini reagirono cercando di controllare quelle stesse donne forti e intelligenti da cui erano attratti. Alcune risposero “riprogrammando” attivamente se stesse per dipendere dai loro uomini, non solo per l’appoggio emotivo, ma anche per la concezione che dovevano avere di loro stesse. Da qui ebbe origine un’intera nuova generazione di manipolatori e vittime.”
2) L’individualismo rampante e l’isolamento che lo accompagna
Oggi, rispetto ad anni fa, a causa della concentrazione della società sul consumismo, tendiamo ad essere più isolati a livello sociale.
In questa solitudine, un compagno può sembrare l’unica fonte di sostegno emotivo e si concentra la nostra necessità di approvazione su questo rapporto, aspettando ci completi o definisca la percezione che noi abbiamo di noi stesse.
Più legami emotivi abbiamo (lavorativi, amicali, parentali) più ci si sente sicure e forti; al giorno d’oggi è difficile mantenere tutti questi contatti ad un livello profondo, perciò tendiamo a concentrare la nostra attenzione su un singolo rapporto, cercando quelle conferme sul fatto che siamo brave, capaci, degne di amore e di affetto. Più ci concentriamo sulla singola persona e più ci isoliamo e diventiamo facilmente manipolabili.
Il confronto è indispensabile!
3) La cultura della manipolazione psicologica
Viviamo in una società dove la manipolazione è utile per convincere l’acquirente/il cliente/il paziente che solo le aziende/le ditte/i “capi” possono dirci cosa sia giusto o sbagliato e dove sono altri a decidere per noi quello che ci deve o non ci deve piacere.
“Piuttosto che essere incoraggiati a scoprire o a creare la nostra realtà, siamo bombardati da una marea di autorevoli richieste di ignorare le nostre reazioni e fare nostri qualsiasi bisogno o visione vengano al momento pubblicizzati.”
Per questo motivo è indispensabile che tutt* si rendano conto che, la migliore “arma” contro la violenza è la prevenzione, a partire da quei modelli a cui ci chiedono di attenerci, che sono essi stessi violenza.
Dobbiamo trasmettere il messaggio che nella vita reale non funziona e non deve funzionare come nelle favole: siamo tutte “persone brave, capaci e degne d’amore” e che non abbiamo bisogno “dell’approvazione di un compagno idealizzato”.
Se una donna vorrà essere madre, sarà perchè è lei a sceglierlo, autonomamente, tra le tante possibilità che la vita può offrirle; se una donna deciderà di sposarsi, sarà perchè lei, in totale armonia con se stessa, deciderà che quella cosa per lei ha un significato. E così per ogni cosa che riguardi la sua vita.
Dentro ognuna di noi c’è una forza profonda che ci aiuterà a liberarci dall’effetto gaslight e da qualsiasi possibile manipolazione.
Bibliografia e link:
C. Mammoliti: “I serial killer dell’anima”, 2012. Ed. Sonda
R. Norwood: “Donne che amano troppo”, 1989. Universale Economica Feltrinelli
R. Stern: “Non mi puoi manipolare. Riconoscere e difendersi dagli abusi emotivi.”, 2007. Ed. Tea