Gli attivisti di Action4Assange sostengono l’iniziativa della deputata di origine palestinese Rashida Tlaib [1]. Questo martedì partiranno all’assalto del Campidoglio di Washington – non come i sostenitori di Trump due anni fa, ma pacificamente e diplomaticamente. Sit-in anche a Roma e Genova.
Nel quarto anniversario della detenzione di Julian Assange nella prigione di Belmarsh (Londra), dove attende l’estradizione negli Stati Uniti, attivisti da ogni parte degli USA convergeranno a Washington DC per far firmare ai loro rappresentanti una lettera redatta dalla deputata Rashida Tlaib, che chiede al Procuratore Generale Merrick Garland di far cadere le accuse penali contro l’editore australiano e di ritirare la richiesta di estradizione emessa dal suo Dipartimento sotto l’amministrazione Trump e attualmente pendente con il governo britannico.
Il prossimo 11 aprile, infatti, a partire dalle 10 del mattino (in Italia le 16), decine di attivisti di Action4Assange si incontreranno nella caffetteria dell’imponente House Office Building e si divideranno in piccoli gruppi per fare pressione su una lista selezionata dei membri del Congresso. Diranno loro di mettere da parte le loro opinioni personali su Julian Assange e di firmare la richiesta per il suo rilascio, in quanto sotto attacco non c’è solo un uomo, bensì la stessa libertà di stampa.
Contemporaneamente a Roma gli attivisti di FREE ASSANGE Italia terranno un sit-in in piazza della Repubblica a partire dalle 15, con la collaborazione di altri gruppi come Italiani per Assange e Free Assange Wave. Anche a Genova gli attivisti di FREE ASSANGE Italia terranno un sit-in in piazza De Ferrari dalle 11 alle 18. Queste due proteste in Italia, come quella a Washington, denunceranno l’incarcerazione senza processo del giornalista australiano iniziata l’11 aprile di quattro anni fa.
La lettera che gli attivisti statunitensi chiederanno ai loro membri del Congresso di firmare è stata scritta dalla deputata Rashida Tlaib una settimana fa e ha già raccolto le firme dei suoi colleghi più progressisti: Jamaal Bowman, Ilhan Omar e Cori Bush; sembra che stiano per firmare anche Ro Khanna, Pramila Jayapal e Alexandria Ocasio-Cortez. Ma gli attivisti vogliono allargare il cerchio dei firmatari per includere i democratici di centro e persino alcuni repubblicani. “La libertà di espressione e la libertà di stampa ci riguardano tutti trasversalmente,” dicono.
Dopo pranzo la loro azione di lobbying continuerà fino alle 16 (le 22 in Italia), giusto in tempo per unirsi al sit-in che Action4Assange terrà fuori dall’ufficio del Procuratore Generale Garland sulla Pennsylvania Avenue, all’altezza della 10th St NW.
Di seguito il testo della lettera.
Onorevole Procuratore Generale Merrick Garland,
Le scriviamo oggi per chiederLe di rispettare le tutele previste dal Primo Emendamento per la libertà di stampa, ritirando le accuse penali contro l’editore australiano Julian Assange e ritirando contestualmente la richiesta di estradizione attualmente pendente presso il governo britannico.
I principali organismi a difesa della libertà di stampa, delle libertà individuali e dei diritti umani hanno sottolineato quanto i capi d’accusa contro Assange rappresentino una minaccia grave e senza precedenti per l’attività giornalistica, costituzionalmente tutelata, e quanto un’eventuale condanna di Assange rappresenterebbe un arretramento epocale per il Primo Emendamento. I principali mass media concordano con questo punto di vista. Infatti, il New York Times, il Guardian, El Pais, Le Monde e Der Spiegel hanno compiuto lo straordinario gesto di pubblicare una dichiarazione congiunta per opporsi all’incriminazione, avvertendo che essa “costituisce un pericoloso precedente e minaccia di minare il Primo Emendamento americano e la libertà di stampa”.
L’ACLU, Amnesty International, Reporter senza frontiere, Human Rights Watch, il Comitato per la protezione dei giornalisti, quello per la Difesa dei diritti e del dissenso, tra le tante associazioni, le hanno scritto tre volte per esprimere queste preoccupazioni. In una di queste lettere hanno affermato: “L’incriminazione di Assange minaccia la libertà di stampa perché gran parte delle attività descritte nell’atto di incriminazione rappresenta ciò che i giornalisti fanno quotidianamente – e che devono per forza fare per svolgere il lavoro che il pubblico si attende da loro. Infatti, i giornalisti di tutte le principali testate giornalistiche parlano regolarmente con le loro fonti, chiedono chiarimenti o maggiore documentazione, ricevono e pubblicano documenti che il governo considera segreti. A nostro avviso, creare un precedente del genere condannando Julian Assange sarebbe effettivamente criminalizzare il lavoro giornalistico investigativo”.
La persecuzione di Julian Assange, semplicemente per aver svolto l’attività ordinaria del giornalismo investigativo, diminuisce notevolmente la credibilità dell’America come difensore della libertà di stampa, minando il prestigio morale degli Stati Uniti sulla scena mondiale e concedendo di fatto copertura ai governi autoritari nel mondo, i quali potranno additare l’incriminazione di Assange per poter tranquillamente ignorare le critiche per i loro abusi dei diritti umani e per aver criminalizzato chiunque abbia rivelato le loro attività illecite.
Molti leader dei paesi democratici nel mondo, molti organismi internazionali tra i più importanti, e molti parlamentari di tutto il pianeta si oppongono al perseguimento di Assange. L’ex Relatore Speciale delle Nazioni Unite sulla tortura Nils Melzer e il Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa Dunja Mijatovic si sono entrambi dichiarati contrari all’estradizione. Il Primo Ministro australiano Anthony Albanese ha chiesto al governo statunitense di porre fine alla persecuzione di Assange. I leader di quasi tutte le principali nazioni latinoamericane, tra cui il Presidente messicano Andrés Manuel López Obrador, il Presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva e il Presidente argentino Alberto Fernández hanno chiesto che le accuse vengano ritirate. Parlamentari di tutto il mondo, tra cui Regno Unito, Germania e Australia, hanno chiesto che Assange non venga estradato negli Stati Uniti.
Questa protesta globale contro l’azione giudiziaria del governo statunitense nei confronti di Assange ha messo in evidenza il conflitto tra i valori dichiarati dagli Stati Uniti, per quanto riguarda la libertà di stampa e il trattamento che continua a riservare ad Assange. Il Guardian ha scritto: “Questa settimana gli Stati Uniti si sono proclamati il faro della democrazia in un mondo sempre più autoritario. Se Biden intende seriamente proteggere la capacità dei media di considerare responsabile chi ci governa, dovrebbe cominciare col ritirare le accuse contro Julian Assange”. Allo stesso modo, la redazione del Sydney Morning Herald ha dichiarato: “In un momento in cui il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha appena tenuto un vertice per la democrazia, sembra contraddittorio continuare a impegnarsi tanto per vincere una causa legale che, se avrà successo, limiterà de facto la libertà di parola”.
Come Procuratore Generale, Lei ha giustamente difeso la libertà di stampa e lo Stato di diritto, sia negli Stati Uniti che nel mondo. Proprio lo scorso ottobre il suo Dipartimento di Giustizia ha apportato delle modifiche alle sue linee guida riguardanti i mass media; queste nuove linee guida impediscono ai procuratori federali di utilizzare mandati di comparizione o altri strumenti d’indagine contro i giornalisti che possiedono e pubblicano informazioni riservate, nel corso del loro lavoro per tenere informato il pubblico. Siamo grati per queste modifiche che favoriscono la libertà di stampa e riteniamo che sarebbe perfettamente in linea con queste nuove misure anche l’archiviazione delle accuse contro Assange formulate a suo tempo dal Suo dicastero e l’interruzione di tutti le procedure per estradare Assange negli Stati Uniti.
Julian Assange è accusato di 17 capi d’imputazione ai sensi della Espionage Act, nonché di associazione a delinquere finalizzata all’intrusione informatica. Le accuse ai sensi dell’Espionage Act derivano dal ruolo svolto da Assange nella pubblicazione di informazioni sul Dipartimento di Stato americano sulla Baia di Guantanamo e sulle guerre in Iraq e Afghanistan. Molte di queste informazioni sono state pubblicate da giornali mainstream come il New York Times e il Washington Post, che spesso hanno collaborato direttamente con Assange e WikiLeaks. Secondo la logica di questi capi d’accusa, anche i giornali appena menzionati potrebbero essere perseguiti per aver svolto le medesime attività di denuncia. Infatti, poiché ciò che Assange è accusato di fare è giuridicamente indistinguibile da ciò che fanno giornali come il New York Times, l’amministrazione Obama ha giustamente rifiutato di formulare capi di accuse. L’amministrazione Trump, che invece le ha formulate contro Assange, si è dimostrata decisamente meno preoccupata della questione della libertà di stampa.
L’incriminazione di Assange segna la prima volta nella storia degli Stati Uniti in cui un editore che rivela informazioni veritiere viene incriminato ai sensi di una legge sullo spionaggio. Quest’azione penale contro Assange, se avrà successo, non solo creerà un precedente legale in cui giornalisti o editori potranno essere perseguiti, ma anche un precedente politico. In futuro il New York Times o il Washington Post potrebbero essere perseguiti quando pubblicano articoli importanti basati su informazioni riservate. Oppure, cosa altrettanto pericolosa per la democrazia, potrebbero astenersi dal pubblicare tali articoli per paura di essere perseguiti.
Assange è detenuto in custodia cautelare a Londra da oltre tre anni, in attesa dell’esito del procedimento di estradizione a suo carico. Nel 2021, una giudice distrettuale del Regno Unito si è pronunciata contro l’estradizione di Assange negli Stati Uniti, sostenendo che ciò lo avrebbe esposto a un rischio eccessivo di suicidio. L’Alta Corte del Regno Unito ha annullato la decisione dopo aver accettato le rassicurazioni degli Stati Uniti sul trattamento che Assange avrebbe ricevuto in prigione. Ma nessuna delle due sentenze affronta adeguatamente la minaccia che le accuse contro Assange rappresentano per la libertà di stampa. Il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti può fermare questi procedimenti dannosi in qualsiasi momento, semplicemente ritirando le accuse contro Assange.
Le siamo grati per aver prestato attenzione a questo problema urgente. Ogni giorno in cui il procedimento giudiziario contro Julian Assange va avanti è un altro giorno in cui il nostro governo compromette inutilmente la propria autorità morale nel mondo e riduce la libertà di stampa sancita dal Primo Emendamento nel nostro Paese. La esortiamo pertanto a ritirare immediatamente le accuse risalenti all’era Trump contro Julian Assange e a fermare questo pericoloso procedimento giudiziario.
Cordiali saluti
Primi firmatari:
Rashida Tlaib, Jamaal Bowman, Ilhan Omar e Cori Bush
CC: Ambasciata britannica; Ambasciata australiana
[1]L’avvocata 46enne Rashida Tlaib è nata a Detroit da immigrati palestinesi della classe operaia. Sua madre è nata a Beit Ur El Foka, vicino alla città cisgiordana di Ramallah, mentre suo padre metalmeccanico è nato a Beit Hanina, un quartiere di Gerusalemme Est. È una dei pochi democratici che sono anche membri dei Democratic Socialists of America. Rappresenta il 13° distretto congressuale del Michigan, che comprende parti di Detroit.
* Patrick Boylan, già professore di Inglese per la Comunicazione Interculturale all’Università “Roma Tre”, si è laureato nella sua nativa California e di nuovo alla Sorbona di Parigi, dove ha anche insegnato come visiting professor. Ora co-dirige il Journal of Intercultural Mediation and Communication (Cultus), svolge training interculturali, ed è attivista per la Rete NoWar e le associazioni PeaceLink e Statunitensi per la pace e la giustizia.