La nomina del renzianissimo Faraone a segretario regionale spacca ulteriormente il partito. Il sospetto è che si arrivi a un accrocchio moderato con Forza Italia.
Maurizio Zoppi
La polemica che ha accompagnato la corsa alla segreteria del Partito democratico siciliano, con le primarie annullate a 48 ore dall’apertura dei gazebo, senza congressi nei circoli, è arrivata dritta e veloce a Roma. E si è trasformata in caso nazionale. Il renzianissimo Davide Faraone è da pochi giorni il segretario regionale. Lo ha deciso un voto espresso a maggioranza risicata (quattro contre tre) della commissione regionale di garanzia. La sua avversaria politica, Teresa Piccione, franceschiniana di AreaDem e vicina al presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, ha rinunciato alla corsa accusando i renziani di violare le regole e annunciando ricorso al Tar. Sull’Isola è andata così in scena, in modo plastico, l’ennesima resa dei conti tra correnti. E già si sente l’aria di scissione.
L’APPELLO DI NICOLA ZINGARETTI
«Purtroppo stiamo vedendo un modello di partito che io non voglio», ha commentato Zingaretti, candidato favorito alle primarie per la segreteria nazionale, «ci sono molte federazioni che non hanno aperto il tesseramento, non hanno fatto votare gli iscritti, ci sono pesanti ingerenze di un altro partito nella vita democratica del nostro e credo che, e su questo faccio un appello, dovremmo reagire tutti insieme e tutti compatti. Ci sono troppe decisioni anche sulle regole prese a maggioranza, così si distrugge, non si costruisce: così diventa addirittura banale dire che bisogna salvare l’Italia e non ci si preoccupa di salvare il nostro partito».
I DUE PD DELLA SICILIA
Ciò che sta accadendo in Sicilia può aprire nuovi scenari politici. Quel che è certo, secondo Piccione, è che ci sono due partiti sull’Isola: quello di Renzi, che di fatto ha il controllo dell’intera assemblea regionale piddina, e quello zingarettiano, materialmente «sbattuto fuori» dalla corsa. L’assemblea poi non è neanche completa, visto che mancano 120 delegati, dopo che da Roma al momento, sono stati sospesi tutti i congressi locali. La nomina di Faraone è stata definita senza giri di parole dll’ex governatore Rosario Crocetta «un golpe», «la fine della democrazia». «Siamo davanti a una sorta di commissariamento del partito», ha aggiunto, «una decisione ‘abusiva’ perché la Commissione regionale per il congresso ha il compito di verificare l’andamento delle primarie, non certo di nominare il segretario del partito».
I SOSPETTI SUL VOTO DI CENTRODESTRA
E se Davide Faraone al momento cerca di ricomporre un partito regionale, aprendo le porte principalmente all’area dei moderati, Teresa Piccione parla di «territori e circoli che non sono stati rispettati». «Proprio dai territori arrivano segnalazioni che ingenti masse di centrodestra, movimentate appositamente da Davide Faraone avrebbero votato a suo favore», dice l’ex candidata a Lettera43.it. «Questo è il partito di Renzi, che proprio Faraone definisce il contenitore di tutte quelle forze in contrapposizione a Lega e Movimento 5 stelle».
IL FEELING TRA FARAONE E MICCICHÈ
Intanto il neo segretario regionale pare avere un buon feeling con il presidente dell’Assemblea regionale siciliana, il berlusconiano Gianfranco Miccichè. I due si sono fatti ritrarre senza timidezza alla Leolpoldina organizzata lo scorso ottobre a Palermo proprio dal senatore del Pd. Presenti anche Lorenzo Guerini e Pier Ferdinando Casini. «Non è detto che ci sarà il Pd in futuro», affermava Faraone ai giornalisti durante la kermesse. Insomma l’obiettivo è creare un bel minestrone che richiama un po’ la vecchia Democrazia cristiana coagulando un polo politico moderato in grado di poter contrastare l’ascesa dei grillini e dei leghisti di Matteo Salvini. La Sicilia, dunque, si confermerebbe per l’ennesima volta laboratorio d’Italia.
LE NEW ENTRY ALLE ULTIME REGIONALI SICILIANE
Una idea che, secondo i rumors, serpeggia da tempo nella testa di Matteo Renzi, nonostante l’ex segretario dem abbia sempre smentito ogni ipotesi di spaccatura del partito. Gli indizi però si sommano e manca poco perché si trasformino in una prova. Il primo fra tutti è il ritiro dell’ex ministro degli Interni, Marco Minniti alle primarie nazionali del Pd dopo che gli era venuto meno il soccorso del senatore di Rignano. Il quale di fatto, pur non rivestendo alcuna carica nel partito, controlla ancora numericamente l’assemblea del partito. «Chiedetemi tutto ma non di fare il piccolo burattinaio al congresso del Pd», scriveva Renzi su Facebook commentando il ritiro della candidatura dell’ex ministro degli Interni. «I media parlano di nuovo delle divisioni del Pd», aggiungeva. «E naturalmente c’è sempre qualche fonte anonima che dà la colpa a Renzi. Strano». Un altro elemento importante viene proprio dalla Sicilia ed è andato in scena alle ultime Regionali. Su 11 deputati eletti, pochi sono piddini della prima ora. Tra le nuove leve, il catanese Luca Sammartino ex Udc e oggi renziano di ferro, che ha portato al partito ben 32 mila voti. E l’ex forzista Nello Dipasquale, eletto sindaco a Ragusa nel 2006 con la coalizione del centrodestra.
IL CASO DI SICILIA FUTURA
Ma gli uomini forti del Pd in Sicilia hanno anche altre provenienze. Si prenda Sicilia Futura, movimento politico regionalista di ispirazione autonomista e democristiana fondato nel 2013 da Salvatore Cardinale, ministro delle Comunicazioni nel secondo governo D’Alema e alla cui assemblea fondativa parteciparano l’allora vice segretario Pd Lorenzo Guerini e l’allora sottosegretario all’Istruzione Faraone. Daniela Cardinale, figlia di Totò, renzianissima e vicina a Luca Lotti, è stata rieletta per la terza volta alla Camera proprio nelle file dem. Intanto Piccione affila le armi: «Il prossimo congresso nazionale sarà riformativo e noi lotteremo per il nostro progetto. Soltanto una area del partito guarda le radici storiche, i suoi fondamenti». Una difesa dell‘identità, insomma. Contro ogni inciucio e Nazareno locale. Si vedrà.
17 dicembre 2018