di Franco Astengo
Francamente desta un po’ di stupore che una persona dai buoni studi, dalle frequentazioni e dagli ascendenti di Fabrizio Barca insista nel cercare di analizzare la realtà del PD (in questo caso romano, ma comunque emblematico di una situazione più generale) e di proporre rimedi alla situazione di malversazione e degrado morale in cui quel “partito” (triple virgolette) si trova.
La questione, infatti, non verte su questo o quell’episodio fronteggiabile con provvedimenti di natura organizzativa, amministrativa, disciplinare ma è di carattere strutturale: riguarda la natura del “partito” (sempre triple virgolette), la sua modalità di costruzione sul piano teorico che lo rendono irredimibile al riguardo di fenomeni degenerativi essendo impossibili misure di immunizzazione.
Tutto nasce, è doloroso ricordarlo a distanza di tanti anni, dalle modalità di scioglimento del PCI che avvennero, come molti ricorderanno, all’insegna di uno slogan molto preciso, quello dello “sblocco del sistema politico”.
A parte la categoria dello spirito dell’ottimismo, derivante soprattutto da una cattiva lettura della caduta del Muro di Berlino e dell’accettazione della visione che ne derivava di “fine della storia”, non si ravvedeva nessun’altra indicazione di prospettiva sul piano ideale e politico, nessuna ricerca di identità, nessun filo che tessesse un barlume di continuità con il passato che non fosse quella fideistica dei militanti chiamati a osservare il dettato del gruppo dirigente.
Su quel punto si verificò un primo momento di frattura, anche molto rilevante: quello della terza scissione, circa 800.000 militanti non scelsero né il PDS, né Rifondazione, semplicemente tornandosene a casa e alimentando, oggettivamente, quell’area di “antipolitica” che, in Italia, è sempre stata molto ampia e consistente.
Via via che la storia dipanava la sua matassa e raggiunta l’agognata meta del governo, il PDS, poi DS mutava la propria natura da partito “all catch party” come si era tentato di programmare all’inizio, pur senza base ideologico – politica e al di fuori da un’analisi concreta del reale in ispecie sul piano internazionale vedi lettura sbagliata della crisi e del suo affrontamento da parte del reaganismo – tachterismo e l’insensata identificazione con l’Europa che andava presentando visibilmente le caratteristiche di assunzione del deficit democratico e di allineamento totale alle logiche monetariste.
Il PDS, poi DS, e ancor più la Margherita, assumevano così la veste di partito non radicato sul territorio, formato da potentati locali di tipo personalistico, percorso da lotte di corrente finalizzate a sistemi più o meno importanti di potere, corroso da una “questione morale” diffusa e del tutto sottovalutata.
Inoltre la leadership di quel periodo era esercitata trascurando del tutto (anzi negando) la funzione di un partito risultando sovrapposta a una logica di coalizione (rissosa e squinternata) posta in rapporto con un bipolarismo mai funzionante nella storia politica di questo Paese.
Il sogno del comunista D’Alema e del fascista Fini dell’”alternanza temperata” era destinato a fallire proprio per la realtà intrinseca al sistema politico italiano: infatti tutte le elezioni svoltesi tra il 1994 e il 2008 assunsero la caratteristica di un referendum, sì o no, attorno ad una persona per niente moderata. L’estremista (ed eccessivo in tutte le sue manifestazioni) Silvio Berlusconi.
I contenuti espressi sul piano programmatico e dell’azione di governo dal cosiddetto centro – sinistra fosse questo Ulivo o Unione, risultavano prodotto di un accomodamento verso quelli della destra populista ed estremista allora egemone e, addirittura, verso quelli del separatismo leghista .
sotto quest’aspetto furono commessi due madornali errori, proprio nel periodo di governo: la modifica del titolo V della Costituzione e le famigeratissime “Leggi Bassanini”: errori da aggiungere a quello del tutto esiziale riguardante il ruolo dell’Unione Europea e della moneta unica.
Con la formazione del PD questi fenomeni sono precipitati in una vera e propria voragine: mantenuti i centri di potere a livello periferico, smarriti completamente elementi peculiari di identità politica, accorciata la visione internazionale(anche per via del modificarsi della situazione in esito alle guerre mediorientali e l’incapacità dell’amministrazione Obama di proporre e produrre soluzioni adeguate) si sono esaltati due meccanismi risultati del tutto decisivi per aprire la frana irreversibile di carattere etico – politico dentro la quale il PD si trova.
Il primo punto è quello della esasperazione del personalismo, arrivato ormai a livelli parossistici non soltanto al centro, con la figura ormai già logora in pochi mesi di Renzi, ma soprattutto in periferia, luogo di presenza di arrivismi infiniti .
E stata questa dell’arrivismo sfrenato, tra l’altro, la causa della sacrosanta e benedetta sconfitta del PD in Liguria: un arrivismo troppo evidente che ha dato fastidio a tanti che si sono ulteriormente allontanati magari soltanto per reazione epidermica a un fenomeno francamente insopportabile.
Il secondo, alimentato dalla sciagurata entrata in campo di primarie senza regole nate soltanto per ratificare ciò che era stato deciso e poi, com’era logico, mutate di natura in scontri da morti e feriti.
Le primarie hanno prodotto il fattore di completamento della degenerazione dell’agire politico che il PD rappresenta: quello dell’individualismo competitivo, per reggere il cui passo sono necessari potere e soldi.
Un “partito” (sempre triple virgolette) quindi frequentabile soltanto, dal punto di vista anche soltanto della militanza attiva e propositiva, attraverso il filtro dell’appartenenza ai vari “cerchi magici” che si sono formati al centro come in periferia.
“Cerchi magici” i cui componenti di maggior spicco agiscono la politica soltanto nel senso dell’acquisizione di potere: si spiega così la presenza di cordate che, nei vari circoli, fanno capo a soggetti con precedenti politici in quelle formazioni che del potere per il potere avevano fatto una bandiera assoluta come UDC e UDEUR.
Fenomeni di diffuso e ormai intollerabile trasformismo che, di nuovo, abbiamo ben visto all’opera anche nell’occasione delle elezioni regionali in Liguria, dove però la transumanza ha dato esiti disastrosi e coloro i quali si erano traghettati all’ultimo momento (Sindaci, Assessori, mica roba da poco) si sono trovati, alla fine, con un pugno di mosche in mano.
Se ne deduce che “Mafia Capitale” non sarà fenomeno isolato: in altre forme questo PD (e non potrà più esserci un altro PD) sarà sempre permeabile alle più pericolose e improvvisate infiltrazioni.
Rimane, purtroppo, il grande equivoco del PD rappresentante di una parte della sinistra italiana: un mito del tutto fallace che si sta esaurendo nell’astensionismo ma che permane nonostante tutti i provvedimenti di pura destra assunti in questi mesi, dal job act, alla legge elettorale e a quelli tentati, dalla riforma della Scuola alla modifica della Costituzione.
Un equivoco che ci auguriamo sia presto ulteriormente sciolto, e in misura più larga di quanto non sia già avvenuto.
La sinistra è attualmente priva di rappresentanza politica, prima di tutto per ragioni di ordine strutturale sul terreno della natura dell’agire politico prima ancora che rispetto all’ideologia, al rapporto con la storia del movimento operaio, ai programmi.
Sarebbe necessario ragionare prima di tutto su un partito (questa volta senza virgolette) e sulle sue funzioni, proprio in un momento dove sotto quest’aspetto si potrebbe apparire del tutto alieni alla realtà.
Un ragionamento fondato su tre punti, attorno ai quali sarebbe necessario avviare una profonda riflessione:
Tre punti sui quali svolgere la propria azione dovranno comunque caratterizzare l’operato di un partito della sinistra:
1) L’intellettuale collettivo che elabora nelle forme scelte di sviluppo dei principi democratici all’interno e all’esterno della propria soggettività;
2) L’attivatore periodico ricostruendo, all’interno di una società tendenzialmente atomistica, un intenso sentimento di solidarietà e di partecipazione svolgendo una funzione di tipo pedagogico;
3) Il collettore delle domande che pervengono dai gruppi subalterni, sintetizzandole nei momenti di opposizione e insieme di proposta politica, fuori e dentro le istituzioni.